Ha riaperto la scuola, la felicità!

Ha riaperto la scuola, la felicità!

Devo ammettere che questa settimana sono a corto di idee. Perciò devo lasciarmi ispirare da quello che è successo nel mondo là fuori, perché nel mio mondo poca roba. L’unico evento sconvolgente che mi riguarda è l’acquisto di un balsamo per capelli. Cosa che comunque non va affatto sottovalutata perché è un piccolo passo per una donna qualsiasi, ma un gigantesco passo per me che vivo di nodi che non vengono mai al pettine.  Dunque, settimana prossima vi dirò di come ho districati i miei capelli, nel frattempo pensiamo a un altro argomento.

Niente, volevo sottrarmi al grande topos di questi giorni ma non riesco. Come posso tacere su Al Bano che piange miseria perché con 1.470 euro di pensione non può nemmeno offrire un caffè agli amici? Ora, ha ragione, perché se vuole invitare un amico a bersi un Arabica nella regione di Harar, come fa con 1.400 euro a pagare il biglietto aereo per l’Etiopia per sé e per l’amico suo? Cioè, manco un caffè si può permettere, figurarsi un bicchieredivinoconunpaninolafelicità.

Ma siccome questa storia mi strazia il cuore, preferisco parlare di qualcosa che è passato un po’ sottobanco, un argomento che non ha avuto l’attenzione che meritava, un avvenimento su cui i riflettori non sono stati puntati. E a cui io invece reputo vada prestata attenzione. Tipo la riapertura della scuola. Perché se non ve ne siete accorti, lunedì la campanella ha suonato in 12 regioni più la provincia di Trento. E lo so che non ve ne siete resi conto, distratti dall’inizio del Grande Fratello Vip e dall’uscita di The Revenant 2 dal San Raffaele di Milano. Però, insomma, la scuola è ricominciata. Ora, lungi da me esprimere un’opinione su rotelle, robot, percorsi a ostacoli per raggiungere la cattedra e, una volta tagliato il traguardo e igienizzato le mani, vincere una bella interrogazione in classico greco. Io posso solo manifestare la mia stima per tutti, docenti, studenti, bidelli e compagnia bella che riusciranno sicuramente ad arrivare a fine anno scolastico. Come Al Bano arriva a fine mese, con qualche sacrificio e senza debiti.

Posso però dire che sono sempre sollevata quando inizia la scuola e io realizzo che per me è finita da un pezzo. Non ho troppa nostalgia, bei ricordi molti ma non tornerei indietro per riviverli. Tanto meno vorrei essere oggi nei panni di queste giovani leve che hanno lo zaino pieno di amuchina e di mascherine. Che io già me lo immagino nello zaino il panino con il salame napoli imbevuto di disinfettante per le mani. O la mascherina che profuma di mortadella. Perché, ragazzi, così sarebbe stato per me se fossi andata a scuola oggi.

Devo poi supporre che i genitori abbiano tempo e pazienza la mattina per sbrigare tutte le pratiche: dalla misurazione della temperatura all’accompagnamento a scuola con gli ingressi scaglionati (che basta cambiare una vocale e abbiamo anche una perfetta descrizione dell’umore di tutti i componenti della famiglia alle otto del mattino). Io non so come sarebbe andata se fosse successo “ai miei tempi”. Perché le mattine degli anni della scuola in casa mia non erano esattamente come quelle nella famiglia Mulino Bianco. Credo somigliassero più a quelle in un centro di addestramento di Marines. Mio padre accompagnava me e i miei fratelli prima di andare in ufficio. E, qualunque ora fosse, era sempre tardi. “Svegliatevi che è tardi”, “sbrigatevi che è tardi”, “chiamate l’ascensore che è tardi”, “salite in macchina che è tardi”. Un nervosismo che esplodeva in auto, nel traffico di una città che ha più automobili che patentati. La mattina poteva accadere di tutto. Un giorno, ad esempio, saliamo sulla Lancia Musa (acquistata da circa un mese), usciamo dal parcheggio condominiale e un rumore sordo come di fiancata contro colonnina della fotocellula del cancello ammutolisce tutti e quattro. Ho detto COME? No, era proprio quello. Ho detto ammutolisce tutti? No, mio padre disse molto. Naturalmente la colpa era nostra perché era tardi e se fosse stato presto quel paletto lo avrebbe visto. Non so come sia fare una tampone oggi, ma io quel tamponamento non me lo scorderò mai.

Ivana Figuccio

Sono Ivana, trentabbé anni, siciliana nell'anima e a tavola ma ormai da qualche anno a Milano per amore...del giornalismo. Mangio, bevo e scrivo: spesso simultaneamente. Ma lo faccio anche per lavoro, sia chiaro. Il food&wine è infatti uno dei settori che più si addice alla mia penna e la mia bilancia lo sa bene. Odio correre ma amo guardare gli altri che lo fanno. Non pratico yoga e nemmeno lo yogurt. Lo sport nella mia vita c'è solo per alleggerire i sensi di colpa per i miei peccati di gola. Confesso il mio smodato amore per il cioccolato ma non mi pento. Da buona sicula adoro il mare e il vento di Scirocco. Ma non chiedetemi qual è casa, perché nel mio cuore c'è posto per la sabbia e per la nebbia.

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