Campioni per la vita

Campioni per la vita

Il sorriso di chi non si è mai arreso portando con sé quella luce negli occhi che punta al traguardo. Braccia e gambe ma soprattutto testa, tesi al risultato finale. Come un arco che si tende per scoccare la freccia e fare centro. C’è chi è capace naturalmente di dare il massimo, chi non è in grado di arrendersi. In qualsiasi situazione e in ogni circostanza, anche la più terribile, alcuni riescono a tirare fuori il meglio. La loro determinazione e perseveranza li rende, appunto, campioni per la vita.

“La freccia è l’intenzione che si proietta nello spazio. Una volta che è stata scoccata, non c’è più nulla che l’arciere possa fare, tranne osservarne la traiettoria in direzione del bersaglio. Quando l’arciere tende la corda, può vedere il mondo intero dentro il suo arco. Quando segue il volo della freccia, questo mondo gli si avvicina, lo accarezza, dandogli la perfetta sensazione di aver compiuto il proprio dovere”.

( Paulo Coelho)
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Queste anime inarrestabili sono le protagoniste dei racconti di Vite da Campioni, un libro che è anche però la metafora della strada percorsa dell’autrice, Elisabetta Mazzeo nella sua ascesa verso gli obiettivi sognati da sempre.
Elisabetta in quest’opera è riuscita a tracciare, come un pittore, i profili dei personaggi che ha incontrato nel suo cammino professionale legato allo sport. Persone incredibili e intense. Ha creato con loro quell’intimità e quella connessione che traspare in ogni pagina del suo libro.
Noi, sue collaboratrici di questa bellissima avventura che è “Distanti ma Unite”, l’abbiamo intervistata per voi. Per farci raccontare la storia di questo lavoro letterario e ciò che rappresenta.
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Presentazione “Vite da Campioni” al Salone d’Onore del CONI – Campioni per la vita
 

Quanto c’è di Elisabetta bambina nel libro? (Sabrina)

C’è tanto. O forse tutto.
Quella bambina ha imparato presto a sognare, o meglio a crearsi un mondo tutto suo per proteggersi dal dolore e della sofferenza.

Papà, da quando sono piccola, è malato di un’artrite reumatoide degenerativa che oggi lo costringe a letto. Una lunga battaglia la sua, iniziata proprio durante la mia infanzia. Lui e mamma stavano lontani da casa anche per settimane. Io mi chiudevo nella mia cameretta e fantasticavo, scrivevo, raccontavo e inventavo storie per un pubblico immaginario. Quando tornava a casa, aspettavo con ansia che mi portasse con lui a vedere le partite di calcio in tv. E ogni domenica ascoltavamo “tutto il calcio minuto per minuto”. Lui, ex calciatore, mi ha insegnato non solo ad amare il pallone, mi ha trasmesso i valori dello sport, quelli che crescendo, sempre di più, ho ritrovato nelle discipline olimpiche e paralimpiche.

Di quella bambina nel libro c’è la grinta, la determinazione, il non arrendersi mai, il superare le difficoltà con il sorriso, il dar voce ai silenzi, il colorare con la fantasia le giornate buie. C’è il riscatto di chi ha sempre sentito il peso di dover regalare lei delle soddisfazioni ai propri genitori per ripagarli di una vita faticosa e in salita. A cui ero, sono e sarò eternamente grata. Per avermi sempre lasciata libera di scegliere, di sbagliare e di animare le mie passioni. Nel diario di quella bambina c’era indicato il suo destino: voleva fare la giornalista, la scrittrice ma soprattutto la mamma. Quella bambina sono io.

Quale minimo comune denominatore, secondo te, lega tutti i campioni che hai intervistato? (Angela)

Innanzitutto l’umiltà. Una qualità non scontata quando hai a che fare con “personaggi” più o meno famosi. Con ognuno degli atleti nel corso dei nostri incontri, si è creato un rapporto di empatia, simpatia e stima reciproca così genuino che le distanze tra giornalista e intervistato si sono annullate. Regalandomi un racconto sincero e senza filtri.

C’è una storia che avresti voluto raccontare e che non sei riuscita ad inserire? (Ivana)

Assolutamente sì. Il lavoro di selezione delle interviste da includere nel libro è stato particolarmente faticoso. Da una lista di quasi duecento atleti ho dovuto scegliere solo una ventina di storie. Una decisione sofferta ma inevitabile, per ovvi motivi dovuti allo spazio. Ne sarebbe venuta un’enciclopedia piuttosto che un libro se le avessi inserite tutte. Ma ce n’è una in particolare che manca all’appello: quella dell’alpinista Daniele Nardi scomparso nel marzo del 2019. Non ho fatto in tempo a contattarlo per chiedergli l’autorizzazione ad includere la sua storia nel mio libro. Era appena partito per la sua spedizione sul Nanga Parbat, da cui non è più tornato. E dopo la sua morte non me la sono sentita di contattare la moglie con una richiesta che sarebbe sembrata intempestiva e inopportuna. Per cui ho lasciato il capitolo dedicato a lui “nel cassetto”.

La trasmissione “Vite da Campioni” ha sempre dato spazio ai campioni, alla loro carriera agonistica ma soprattutto alla storia che c’è dietro ogni successo. Durante le interviste, saranno stati tanti i momenti emozionanti. Ce ne racconti un paio? (Giovanna)

Sicuramente in due occasioni ho avuto difficoltà a trattenere le lacrime. Ho vissuto emozioni forti nel raccontare la storia del presidente del Cip Luca Pancalli e l’ex capitano della nazionale di basket in carrozzina Matteo Cavagnini. La disabilità di mio padre negli anni mi ha reso particolarmente sensibile nell’affrontare determinati temi, a cui cerco di approcciarmi sempre con delicatezza e sensibilità.

Del racconto di Luca (Pancalli) mi ha colpito la descrizione della caduta da cavallo che ha compromesso per sempre la sua mobilità. Nei suoi occhi ho visto sì sofferenza ma anche e soprattutto forza, grinta, determinazione. Quella che lo ha portato ad essere l’uomo e il dirigente che è tutt’oggi.

Altrettanto bene ricordo la grandissima emozione dopo una frase di Matteo (Cavagnini) al termine della registrazione di una puntata che l’aveva visto protagonista. Anche in quell’occasione mi ero messa alla prova vestendo i panni dell’atleta. Ma salire in carrozzina per me era stata quasi un’esperienza traumatica. Lui e i suoi compagni di squadra mi avevano fatto sentire talmente a mio agio da riuscire a pensare solamente ai canestri da mettere a segno. Si era creata una complicità tale da farlo esclamare sul finale: “come vedi, tra di noi non c’è nessuna differenza”. Una frase che porterò sempre nel cuore, a memoria di un incontro che mi ha lasciato il segno.

Tra le persone che hai intervistato, ce n’è una che volevi assolutamente intervistare più delle altre e perchè? (Anna)

Penso di poter dire che ci tenevo particolarmente ad intervistare Annalisa Minetti. Mi incuriosiva molto quella sua carriera sportiva nata a seguito di un percorso del tutto diverso, com’era stato quello dello spettacolo (con Miss Italia) e della musica. Ed è stato un racconto illuminante su quanto ogni persona non debba porsi dei limiti e debba essere curiosa di esplorare e di vivere nuove esperienze. Lei però è riuscita bene in ogni impresa in cui si è cimentata, ma… questa è un’altra storia.

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Campioni per la vita

Dalle interviste video per Retesole alla raccolta di testimonianze in un libro. Com’è nata la voglia di trascrivere su carta le emozioni provate nel conoscere tantissimi campioni?  (Giulia)

In realtà è frutto dell’intuizione del mio editore Jean Luc Bertoni a cui va il merito di aver saputo riconoscere le potenzialità di un eventuale racconto scritto guardando le puntate della trasmissione. Io ho colto il suo invito ad accettare la sfida ed eccomi qui.

La scrittura e i video reportage sono stati i due strumenti che ti hanno permesso di entrare nelle vite dei protagonisti. Che differenze ci sono e quali emozioni diverse ti hanno suscitato i due approcci utilizzati per raccontare queste storie? (Martina)

Nel video non esistono momenti di vuoto o di silenzio. Laddove ci sono, parlano i sorrisi, le espressioni, gli sguardi. La difficoltà nella trasposizione letteraria di un format televisivo era proprio quella di rendere onore a questi attimi che, in tv, arricchiscono il racconto e creano empatia con il pubblico. Un uso attento della punteggiatura e un approccio descrittivo al racconto mi hanno aiutato a mettere su carta quelle sensazioni vissute dal vivo. Se ci sono riuscita dovremmo chiederlo ai lettori.

Anche tu, nel tuo percorso di giornalista, hai iniziato da una piccola realtà per poi arrivare a suon di sacrifici ad una tv nazionale. Ti chiedo quindi se qualcuna delle testimonianze che hai raccolto ti ha ricordato anche la tua storia? Ti sei sentita particolarmente vicina o “simile” a qualcuno degli atletiche hai intervistato? (Eleonora e Eloisa)

Per la nostra origine comune (siamo entrambe calabresi) mi sono sentita molto vicina alla storia di Rosalba Forciniti. Una ragazza che come me è cresciuta con la grinta di voler emergere, nonostante le possibilità, nella sua così come nella mia realtà di piccolo paesino del Sud, fossero a dir poco limitate. Entrambe abbiamo coltivato un sogno, abbiamo fatto sacrifici per raggiungere i nostri obiettivi, siamo cadute ma nonostante tutto abbiamo continuato a crederci sempre. Un legame che ci ha unito e continua ad unirci anche a telecamere spente.

Quando ti cimentavi dal vivo nella vita dei campioni che hai intervistato, ci sono state volte in cui hai pensato: “ Oddio che  fatica”, oppure “ ma chi me lo ha fatto fare”? (Paola)

Sì molte volte.Quando sono salita in canoa con Vincenzo Abbagnale, per esempio. O quando il giovanissimo campione di bike trial, Diego Crescenzi, a bordo della sua bici si mise in testa di divertirsi a saltare l’ostacolo umano disteso per terra, cioè io! O in piscina con Cristina Chiuso quando a tenere la testa sott’acqua per più di qualche secondo proprio non ci riuscivo.

In compenso a mio favore posso dire di essermi trovata molto a mio agio con una sciabola, un fioretto o una spada in mano e di essermela cavata senza troppi traumi nelle arti marziali. Pugno di Sara Cardin a parte. Di quello, nonostante avessi un bel cuscinetto protettivo a fare da filtro, ricordo ancora la potenza…E non certo con piacere.

Potremmo spendere tante parole per definire Elisabetta Mazzeo, ma il suo libro la descrive meglio di tutto.

“Vite da Campioni” è anche la dimostrazione che ogni nostra vita può essere come quella di un campione. Ci vuole sacrificio, impegno, costanza, ci vogliono anche prove fallite, una giusta dose di carattere, momenti di incertezza e quelli in cui invece sappiamo di essere vincenti. Perché le medaglie sono la giusta ricompensa ad una vittoria. Ma anche unire le menti per un progetto comune, crederci, portarlo avanti con convinzione è come il percorso che fa uno sportivo. Perché in ognuno di noi c’è un  campione che aspetta solo di poter scendere in pista.

Campioni per la vita

* Questo articolo è stato realizzato da tutte le fantastiche donne che compongono la squadra di Distanti ma Unite. Grazie per aver sopportato il mio “stalkeraggio” via Whatsapp e un grazie particolare a Sabrina Villa che mi ha aiutato a mettere insieme i pezzi.

Paola Proietti

Paola Proietti

Classe '77, giornalista professionista dal 2008. Ho lavorato in radio, televisione e, vista l'età, anche per la vecchia carta stampata. Orgogliosamente romana, nel 2015 mi trasferisco, per amore, in Svizzera, a Ginevra, dove rivoluziono la mia vita e il mio lavoro. Mamma di due bambine, lotto costantemente con l'accento francese e scopro ogni giorno un pezzo di me, da vera multitasking expat.

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