Dodici novembre duemilatre

Dodici novembre duemilatre

Una mattina autunnale. Mani che ricamano un fiocco per un’imminente nascita, mentre sogni si polverizzano in una nuvola di fumo acre e nero. Silenzio e angeli ricamati. Terrore, fuoco e spari assordanti. Due realtà distanti. Mondi che si uniscono piangenti, tra l’orgoglio e il dolore. E’ il dodici novembre duemilatre. Italia e Iraq sono separate da 4500 chilometri. Ore 10.40 irachene, ore 8.40 italiane. All’improvviso, un battito di ciglia e una deflagrazione terribile. Frazioni di secondo che durano un’eternità e il nome di una città che risuona nella testa. Nassiriya (Nāṣiriya).

Dodici-novembre-duemilatre
Dodici novembre duemilatre

Il conflitto in Iraq è ufficialmente finito da sei mesi, ma una risoluzione Onu ha invitato tutti gli Stati a contribuire alla rinascita del Paese. Il contributo italiano si concretizza con la missione di pace denominata Antica Babilonia. Gli obiettivi dell’incarico sono il mantenimento dell’ordine pubblico, l’addestramento delle forze di polizia del posto, la gestione dell’aeroporto e gli aiuti da portare alla popolazione. Il Comando Italiano è a 7 chilometri da Nassiriya. Le due basi, Maestrale e Libeccio, sono situate nel centro dell’abitato per mantenere uno stretto contatto con la gente del posto.

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Quel 12 novembre sembra una giornata come le altre.

All’improvviso su base Maestrale piomba a tutta velocità un camion cisterna blu, carico di esplosivo. Circa 300 chili di tritolo. Il Carabiniere di guardia all’ingresso spara e uccide due kamikaze impedendo che il camion esploda all’interno della base stessa. Purtroppo però la deflagrazione è incontenibile e fa saltare in aria anche il deposito munizioni. Lo scenario che ne deriva è quello di una strage. Macerie annerite, corpi senza vita e una voragine enorme.

Muoiono i carabinieri Andrea Filippa, Massimiliano Bruno, Giovanni Cavallaro, Giuseppe Coletta, Enzo Fregosi, Daniele Ghione, Ivan Ghitti, Domenico Intravaia, Horacio Majorana, Filippo Merlino, Alfio Ragazzi e Alfonso Trincone.

E decedono anche i militari dell’Esercito Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Alessandro Carrisi, Emanuele Ferraro e Pietro Petrucci, che scortavano il cooperatore Marco Beci e la troupe del regista Stefano Rolla, impegnato nelle riprese di uno sceneggiato sulla ricostruzione dell’Iraq. Beci e Rolla muoiono anche loro.

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In tutto le vittime italiane furono diciannove, quelle irachene nove. E tantissimi furono i feriti.

Tra coloro che persero la vita quel giorno ci fu il Brigadiere dei Carabinieri Giuseppe Coletta, chiamato il Brigadiere dei bambini per il particolare rapporto che riusciva a instaurare con i piccoli e per come da loro veniva ricambiato. Margherita Caruso, sua moglie, con l’Associazione Coletta non ha mai smesso di portare avanti l’opera del marito nel mondo.

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Giuseppe Coletta aveva una missione, quella di aiutare i bambini. Non importava in quale parte del mondo fossero. Una sua foto, che lo ritraeva con un bimbo kosovaro in braccio, era stata inserita nel calendario 2001 dell’Arma dei Carabinieri.

Giuseppe negli occhi di quei bambini forse ritrovava lo sguardo di suo figlio Paolo, che gli era morto fra le braccia a soli sei anni a causa della leucemia. Con la morte di Paolo era scattata in Giuseppe una forma di vocazione. Infatti da quell’esperienza luttuosa, il Carabiniere si era impegnato in tante missioni di pace e soprattutto a sostegno dei bambini.

Anche a Nassiriya Giuseppe aveva di nuovo il suo personalissimo compito da assolvere. E appena ne aveva il tempo si recava nell’ospedale pediatrico a salutare i suoi piccoli amici, portando loro biscotti, cioccolatini e caramelle.

Anche oggi sono stato dai bambini. Mi dispiace lasciarli. Qui manca tutto e vederli sorridere per un regalo, anche banale, è una gioia immensa. Adesso che rientro però, voglio organizzare una colletta. C’è bisogno di cibo, farmaci, attrezzature mediche

Da l’ultima telefonata di Giuseppe alla moglie Margherita

Era il dodici novembre, ancora un paio di giorni e il quindici Giuseppe sarebbe tornato in Italia. Dopo sei mesi in Iraq e le due precedenti missioni in Kosovo, era giunto il momento di far ritorno a casa e dedicarsi alla famiglia. Invece non arrivò lui ma quella mattina giunse lo squillo di un cellulare. A rispondere fu Margherita, sua moglie.

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Margherita aveva solo 33 anni quella mattina del dodici novembre duemilatre. E di nuovo si trovava, come anni prima per la perdita di suo figlio, a dover affrontare il dolore atroce e dilaniante, come se il cuore le venisse strappato.

Mi alzai molto presto quel mattino. Da tre giorni avevo l’animo turbato e non avevo dormito bene la notte. Mi misi a ricamare un fiocco, degli Angeli, un regalo per una mia amica. La mia piccola Maria, che aveva due anni e mezzo, dormiva. La svegliai, non stava bene e dovevo portarla dal medico. Ci preparammo e ci avviammo in macchina verso la pediatra.

Pochi metri in auto. Poi la suoneria del cellulare e la storia che cambia. Margherita era ancora ignara di tutto. Le ultime notizie di suo marito risalivano alla telefonata della sera prima.

Una conversazione particolare perché Maria non volle parlare col papà “Io non ci parlo! tanto lui non torna più” disse la bambina.

Al telefono le fecero quel nome. Nassiriya. E una giovane moglie sentì il suo mondo sgretolarsi. Giuseppe non c’era più. Era stato ucciso. Fatto saltare in aria da 300 chili di tritolo, insieme ai suoi colleghi e amici, gli stessi con cui pochi minuti prima forse aveva preso il caffè e con cui aveva scambiato le sue ultime parole.

Dodici novembre duemilatre

Giuseppe era una persona normale, un uomo buono e semplice. Un ragazzo d’oro, sempre col sorriso. Quando salutava qualcuno partiva da lontano agitando il braccio e gli andava incontro.

Giuseppe Coletta era morto insieme a quelle persone e a quei bambini a cui aveva sorriso tante volte. Lasciando in Italia sua figlia e sua moglie, con la quale aveva stabilito un connubio d’amore e d’intenti.

Se non fosse stato per la Fede, quel dolore sarebbe stato umanamente insopportabile. Mi sono aggrappata alla mia unica certezza, che vi fosse un disegno divino anche se a me incomprensibile.

La storia di Margherita ha colpito molti. Una donna dal coraggio inesauribile. Provata e piegata, capace di reggere all’urto della tragedia. Non rinchiusa nel dolore ma in grado di sorridere ancora.

Gli occhi verdi di Giuseppe non avrebbero più guardato Margherita. Il suo sorriso non c’era più. Il suo corpo era stato devastato dal tritolo.

Mio marito è stato un dono di Dio e ringrazio il Signore per averlo avuto al mio fianco, anche se l’ho avuto per poco. E’ stato l’amore vero.

Io dormo e il mio cuore veglia. La voce del mio diletto batte alla porta

Cantico dei Cantici

La voce di Raoul Bova racconta l’essere eroe. Le immagini sono del Brigadiere Giuseppe Coletta.

Dallo strazio di Nassiriya sono nati dei fiori bellissimi. Il primo a sbocciare è stato l’Associazione, a cui Margherita Caruso si dedica. Poi a seguire un libro e un fumetto.

Dodici novembre duemilatre

Giuseppe Coletta, Il brigadiere dei bambini. Questo il titolo del fumetto uscito in occasione del sedicesimo anno dall’attentato di Nassiriya. Un racconto di ventisette pagine per ricordare la storia di Giuseppe e di quella missione. Foto, frasi, racconti affidati a Margherita dal marito durante ogni telefonata e che lei ha voluto riportare in questo fumetto perché nessuno dimentichi.

Sul fumetto Margherita ha scritto: a Nassiriya inviammo subito tre incubatrici, come Giuseppe desiderava. Inoltre, utilizzando una parte del risarcimento ricevuto dallo Stato per la morte di mio marito, abbiamo aperto centri per l’infanzia e orfanotrofi in Italia e all’estero. Nessuna somma può ripagare la perdita della persona che si ama ma proprio per questo per me era importante spenderla in qualcosa che lo rappresentasse.

E’ uscito anche un libro, scritto con l’aiuto di Margherita, che racconta Giuseppe, una storia d’amore e una testimonianza di fede. Dal giorno della strage ripercorre a ritroso le vicende umane di chi aveva scelto di dedicarsi ai bambini, nelle zone di guerra o in condizioni di estrema povertà.

Entrambi i coniugi hanno trovato, ognuno a suo modo, una risposta alla guerra e alla morte. Il loro legame è andato oltre. Al di là della vita e della sofferenza.

La missione di Giuseppe continua ogni anno, ogni giorno. E Margherita traduce tutto in gesti concreti.

Come l’acquisto e la consegna, da parte dell’Associazione Coletta, di 15 biciclette a bambini e ragazzi di Ussita, dopo il tremendo terremoto che aveva colpito le Marche.

Chiunque fa qualcosa per aiutare un bambino nella sua vita è un eroe per me.

Fred Rogers


Dopo la morte di Giuseppe c’era la voglia di ricordare e dare un senso a ciò che era stato. Margherita quasi senza rendersene conto riesce a dare vita all’Associazione Coletta- Bussate e vi sarà aperto. Era l’ottobre del 2004 e da quel giorno molti progetti sono stati compiuti.

Le donazioni sono il sostentamento dell’Associazione. Specialmente nel periodo di Natale e Pasqua. In questo periodo grazie all’acquisto del panettone artigianale alla birra possiamo dare corpo alle idee.

I panettoni sono realizzati dai ragazzi della pasticceria “Giotto” del carcere “I DUE PALAZZI” di Padova. All’interno del carcere dolci di altissima qualità si uniscono al valore umano e alla possibilità di riscatto personale e reinserimento sociale attraverso il prezioso strumento del lavoro.

In questo modo anche chi ha sbagliato e sta pagando per la sua colpa entra a far parte di un circolo virtuoso, per cui dal bene nasce il bene.

L’Associazione Coletta si prefigge lo scopo di risolvere quelle problematiche che hanno un inizio e possono avere una fine. Ad esempio in Burkina Faso, sempre con lo sguardo ai bambini, sono stati costruiti dei pozzi per l’acqua, un orfanotrofio e un parco giochi. Piccole cose che regalano sorrisi.

Tutti possono aiutare e sentirsi un eroe, riscoprendo l’essenziale a cui dedicarsi.

E Mentre il mondo cade a pezzi
Io compongo nuovi spazi e desideri che
Appartengono anche a te
Mi allontano dagli eccessi e dalle cattive abitudini
Tornerò all’origine e torno a te – Marco Mengoni, L’essenziale.

Ogni anno, nel giorno della ricorrenza mi stupisco dell’affetto da cui sono avvolta. Quel primo abbraccio ricevuto da tutto il popolo italiano nel giorno della tragedia, lo ritrovo costante e presente a diciassette anni di distanza.

Un mondo cade a pezzi e un seme viene piantato. Una ferita difficile da rimarginare è curata e il dolore sovrumano viene placato. Una fiamma di speranza e rinascita prende il posto della nuvola nera che ha portato via la vita.

Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

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