Termini nuovi per fenomeni vecchi

Termini nuovi per fenomeni vecchi

C’è una proliferazione di termini inglesi che descrivono fenomeni, comportamenti sempre più diffusi. Fenomeni che prima si verificavano ma non esistevano nella lingua. Termini nuovi per fenomeni vecchi.


Io penso a chi se li trova davanti, non conosce l’inglese, fa fatica a contestualizzare, è costretto a googlare. Cosa che talvolta succede anche a me. Che poi ne cerchi uno, scopri di che si tratta e ti ritrovi a pensare: “ah, ma questo mi è capitato”.
Ne ho scelti alcuni, un po’ a caso, un po’ a sentimento, un po’ perché qualcuno di questi mi ha sfiorato.


Iniziamo da uno facile, catcalling. E’ il suono con cui si richiamano i gatti ma è diventato il termine con cui si definisce una molestia sessuale, verbale, che avviene in strada. Questa è capitata a tutte almeno una volta nella vita. Solo che prima, quando per le strade del centro qualcuno seduto sui gradini della scuola ci rivolgeva questa felina attenzione, non c’era un termine per definirla. Oggi c’è e ha la gravità di una molestia.

Tutti quei ragazzi, poco più che adolescenti, che cercavano la nostra attenzione erano dei molestatori. E noi, che in alcune occasioni abbiamo gongolato pensando fosse lusinghiero, eravamo delle vittime. I fatti sono questi, le conclusioni non le traggo perché, in tutta onestà, non sono in grado. Credo che la linea di demarcazione tra ciò che è tollerabile e ciò che è condannabile sia sempre più labile e sempre più spostata verso il deprecabile. Così basta un passo, basta un fischio e sei colpevole.


Mi aggiro nel campo semantico delle relazioni, prevalentemente tossiche, e qui c’è da sbizzarrirsi con gli anglicismi.


Uno familiare è ghosting, diventare fantasmi, scomparire. Così si interrompono le relazioni, sentimentali e non solo. Si smette di esserci, di scrivere, di rispondere al telefono, di farsi trovare. Una scelta da codardi, una strategia volta a risparmiare tempo e lagne.
Non voglio più avere nella mia vita una persona, faccio ghosting. Sparisco senza dare spiegazioni, senza cercare confronti e sorbirmi le recriminazioni dell’altro, che capirà e se ne farà una ragione. E’ il gioco del silenzio e, si sa, non si è mai divertito nessuno a questo gioco.

Uno strumento di tortura nelle mani di egoisti e un meccanismo che rende impotente chi lo subisce. Io dico che potevano bastarci gli scheletri nell’armadio, e invece no, pure i fantasmi. Un Halloween quotidiano, dove i clown la fanno da padroni.


Ma non voglio allontanarmi da questo status di disagio e quindi ne tiro fuori un altro di termine in voga e di comportamento altrettanto frequente: orbiting. Una sorta di evoluzione del punto precedente, frutto di un pallido ripensamento o di un conato di nostalgia. In cosa consiste? Nell’orbitare, appunto, attorno alla persona che abbiamo lasciato. Quindi tendenzialmente va in scena sul palco delle relazioni sentimentali. Ed è una pantomima da parte del partner che se n’è andato.

Dopo essere scomparso per un lungo periodo, pensa bene di dare segni di vita: lo fa online con un like qui e là sui social, visualizzazioni delle stories, commenti random. Niente di serio, ma tutto molto nocivo per chi lo riceve. Chi subisce orbiting si illude che dietro questi segnali ci siano delle intenzioni, buone intenzioni. In realtà c’è solo noia, maledetta noia, di chi orbita ma non ha la minima intenzione di fermarsi dove è già stato.


E, dulcis in fundo, il sempreverde mansplaining. In origine aveva carattere sessista, ma via via ha preso anche altre forme. Quella che non cambia è la sostanza e per spiegarla faccio un esempio.
Vado dal meccanico per un problema alla mia auto. Conosco il problema, ne capisco di motori e glielo comunico in modo da fargli capire che possiamo parlare liberamente senza gap “culturale”. Bene, lui comunque si rivolge a me come se stesse parlando con una che non distingue una marmitta da una marmotta. Mi parla come se io non fossi in grado di capire perché sono donna e, quindi, quella non è materia mia. 

Il mansplaining è l’atteggiamento paternalistico di certi uomini quando spiegano a una donna qualcosa di ovvio, anche qualcosa su cui lei è ferrata, perché convinti di saperne comunque di più.
Un atteggiamento che talvolta hanno gli adulti, donne e uomini indistintamente, verso i giovani perché in quanto tali sempre con meno esperienza su tutto.
Ciò che rende il mansplaining insopportabile è un mix letale: arroganza e condiscendenza. Cerco di compiacerti intavolando una conversazione che ci vede alla pari ma poi mi arrogo il diritto di spiegarti per dimostrarti che ne so più di te.


Ecco, sia chiaro, questo pezzo è scritto con umiltà. Tra queste righe non si è consumato nessun (wo)mansplaining.

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Ivana Figuccio

Sono Ivana, trentabbé anni, siciliana nell'anima e a tavola ma ormai da qualche anno a Milano per amore...del giornalismo. Mangio, bevo e scrivo: spesso simultaneamente. Ma lo faccio anche per lavoro, sia chiaro. Il food&wine è infatti uno dei settori che più si addice alla mia penna e la mia bilancia lo sa bene. Odio correre ma amo guardare gli altri che lo fanno. Non pratico yoga e nemmeno lo yogurt. Lo sport nella mia vita c'è solo per alleggerire i sensi di colpa per i miei peccati di gola. Confesso il mio smodato amore per il cioccolato ma non mi pento. Da buona sicula adoro il mare e il vento di Scirocco. Ma non chiedetemi qual è casa, perché nel mio cuore c'è posto per la sabbia e per la nebbia.

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