Storie da raccontare/22 – Il carro dei perdenti

Storie da raccontare/22 – Il carro dei perdenti

Tempo di lettura: 4 minuti

Canzone consigliata: Marracash – Io

Sono seduto al tavolino di un bar e guardo. Non faccio altro, se non sentir crescere in me la convinzione di non saper vivere diversamente.

Io guardo. Osservo. Scruto. Studio. E’ un modo per evitare la vita? Per valutarla in maniera sicura sulla pelle degli altri? Per limitare le sofferenze? Può darsi. Sebbene io faccia altro, perché Io interrogo, io MI interrogo. E finisco per stringere tra le mani solo delusioni.

Sono il gancio meccanico di quei giochini ruba soldi dei Luna Park: seguo un rito. Addirittura, forse, sono io stesso il rito. Guardatemi: che figura ridicola. Un burattino che incespica nei fili. Che si fruga nelle tasche, soppesa le monete, ne ascolta il precipitare in una sorta di fosse comune, muove la cloche, schiaccia i bottoni, trattiene il respiro, produce segatura sfregandosi le mani intagliate in un legno scadente, aspetta il momento, decide il momento, vede l’arto meccanico, protesi di ogni sua aspettativa, stringersi intorno al nulla, diventa merce di scambio, si trasforma in niente. Se non in una tasca meno pesante, alleggerita da una massa inutile di spicci.

Sono seduto al tavolino di un bar e guardo: sposto gli occhi dal bicchiere di birra alla fine della strada. Impossibile ignorare un simile parallelismo: la schiuma scema, la gente è scema. Sarà che questo “pregio” sembra rappresentare l’unico pass necessario per salire sui carri che mi corrono vicino. A velocità altissima. Barcollando in maniera pericolosa e imprevedibile. Dove vanno? Quanta strada devono ancora percorrere? Qual è la loro meta? Mi pare di immaginarlo il loro destino. Roseo, chiaro, liscio come un tavolo da biliardo. Giusto oserei dire. Splendente e pulito come un sorriso. Come i denti.

Ecco i carri dei vincenti

Non c’è spazio. Né per te, né per me, né per noi, bimba. Anche ci fossero posti liberi non ci farebbero mai salire. Te ne rendi conto, vero? Si giustificano dicendo che li rallenteremmo. Ne comprometteremmo la stabilità. Finiremmo per affondarli, ci dicono. Se solo riuscissero a capire la differenza sottile ma netta che esiste tra l’essere pesanti e l’essere profondi.

La birra, intanto, è ancora lì. Ne bevo un sorso. Poi un altro e un altro ancora. Brindo.  A quello che non ho. Alle possibilità che mi sono state negate. A quelle che non avrò nemmeno la possibilità di immaginare. Alla solitudine che mi sento incastrata nella schiena, sotto la pelle, come una specie di tatuaggio adolescenziale.

A tutti i rischi che non ho corso. A tutte le donne immaginate come amore che ho lasciato scendere senza seguirle. Ai figli che non avrò. Alle poesie, le canzoni, i libri che mi germoglieranno in testa. Per poi morire poco dopo supplicando una sola goccia d’acqua.

Direi che c’è poco da osservare. C’è da agire, scuotersi. Inventarsi. Probabilmente scoprirsi. E allora sai che c’è? Il carro me lo costruisco da me. I materiali non mancano: li ho tutti a disposizione. Si tratta solo di cannibalizzarsi cuore e carne.

Un carro fatto di illusioni, di passioni, di musica. Di storie e film. Di Sogni. Quelli pieni di te, in cui a turno, reciti la parte di ogni personaggio. Quelli che quando apri gli occhi dimentichi miseramente. Eppure mia nonna me lo diceva sempre di non toccarmi i capelli appena sveglio: smarrisce la poesia, ne offusca il ricordo.

Voglio un carro di parole inconsistenti, vuote.

Talmente tanto ripetute da perdere significato. Voglio un carro di vagiti negati, di cassetti chiusi e di anelli lasciati nella giacca. Le vedi, bimba, quelle due fedi che cadono dal cuscino per poi rotolare a ritmo cadenzato e allegro verso un tombino? Sembrano attratte da una forza sconosciuta e allegra. Chissà da dove viene. Chi la produce. Chi sa, poi, dove ti conduce.

E poi lo voglio colorato: rosso sangue, nero rabbia, grigio disperazione, bianco nulla.

Soprattutto voglio che sia potente. Veloce. Competitivo. Per correre dietro agli altri. Magari speronarli. Per capire dove vanno, quanto viaggiano, cosa fanno. Vorrei affiancarli. Poi sterzare leggermente ma in maniera repentina. Per metterli fuori strada. Per vedere il pagliaccio, il mangiafuoco, il prestigiatore, la macchina dello zucchero filato e il giostraio sbalzare via come pupazzi per poi schiantarsi contro il primo ostacolo utile.

Non mi infastidirebbe il loro sangue che disegna figure indefinite alla Pollock. Anzi, mi darebbe piacere. In fondo sono anni che questi vampiri si nutrono del mio.

Perché il mondo pensa siano migliori di me, tutti questi fantocci che adorano un dio del quale fatico a trovare figura e senso: il sesso? Il denaro? Il successo? Idoli fittizi, immaginari, inesistenti. Braccioli sgonfi per nuotare in un mare di merda.

E quando passerò davanti casa tua, tu chiuditi bene dentro.

Quella casa buia, con le tapparelle abbassate per non fare entrare luce. Quella con le librerie vuote, l’aria senza note, gli abbracci senza amore. Quella piena di indici puntati alle pareti, che ti seguono qualunque cosa fai. Quella da cui osservare di nascosto gli altri e giudicarli.

Quella casa di merda.

Avvicinati all’ingresso. Chiudilo bene: dagli due mandate. Non rispondere a nessuno. Fidati. Prendi il cane e il gatto ed entra di corsa dentro camera tua. Siediti con la schiena contro la porta e incastra la testa tra le gambe. Non aprire per nessun motivo le finestre. Aspetta. Tendi le orecchie. Senti il rumore.

Lo riconosci?

Questo è il Carro dei Perdenti, stronza. E stiamo venendo a prenderci quello che è nostro. Fosse anche l’eterna imperfezione.

Gabriele Ziantoni #DisperatamenteMalinconico

SEGUI DISTANTI MA UNITE!

Sulle nostre pagine social  FacebookTwitterInstagram e Telegram.

Gabriele Ziantoni

Giornalista per hobby, polemico per professione, speaker per necessità. Gabriele Ziantoni nasce a Marino, un piccolo paese in provincia di Roma, il 12 dicembre 1983. Solitario, testardo e vagamente intollerante, vive con una penna in mano e un foglio bianco davanti agli occhi fin da quando ne ha memoria. Dopo varie esperienze nel campo del giornalismo, soprattutto sportivo, dal 2011 affronta in maniera ondivaga il rapporto con il suo secondo amore dopo la scrittura: quello con la radio. Direttore Artistico di New Sound Level 90 FM, ha all’attivo tre libri: “Un secondo dopo l’altro” (L’Erudita, 2017), “Nonostante tutto” (L’Erudita, 2019) e “Rudi Voller. Il Tedesco Volante” (Perrone, 2020).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *