John Proctor is the villain

Non capita tutti i giorni di trovarsi a New York. E non capita tutti i giorni di camminare per Broadway e imbattersi nella prima di uno spettacolo nuovo. Un’opera fresca e spregiudicatamente attuale, come John Proctor is the villain.

A condire il tutto poi c’è la scoperta che, proprio in quello spettacolo, la protagonista è una giovane attrice di 23 anni che sta diventando una vera e propria star di Hollywood.
Parlo di Sadie Sink, già ammirata in Stranger Things e in The Whale ed ora pronta per il nuovo Spider-Man in uscita nel 2026.

Un classico letterario
Per chi è appassionato di letteratura, di storia o di politica, il nome di John Proctor non è assolutamente nuovo.
Egli infatti non è solo il protagonista de “Il crogiuolo” di Arthur Miller, una delle opere letterarie più famose ed importanti del dopoguerra.
Ma, per gli Stati Uniti, simboleggia la lealtà, il coraggio e la resistenza alle autorità.
Non per Kimberly Belflower, però.
Perché, con il suo John Proctor is the villain, con estrema audacia, mette in discussione proprio la sua figura di eroe (seppur tragico).
Lo spettacolo a Broadway
Lo spettacolo è ambientato in una scuola superiore di una città rurale della Georgia nel 2018.

Anno in cui si diffonde il movimento #meToo che, per molti intellettuali ed attori, fu visto proprio come una “caccia alle streghe”.
L’evento ispira alcune studentesse a creare un vero e proprio club femminista della scuola, prendendo l’insegnante di letteratura Carter Smith come sponsor.
L’idea del club nasce anche e soprattutto in seguito ad un presunta violenza del pastore locale verso una studentessa della scuola.
Nel frattempo, dopo un “anno sabbatico”, fa rientro a scuola Shelby (interpretata da Sadie Sink) che, in passato, aveva avuto una fugace relazione con Lee. Quest’ultimo è il fidanzato di Raelynn, una delle promotrici del club femminista.
Il rientro di Shelby avviene proprio quando il professor Smith assegna agli studenti la lettura e l’interpretazione de “Il crogiuolo” dando vita ad un dibattito, in chiave femminista, dell’opera di Miller.
La libertà di reinterpretare un classico
È proprio Shelby, con il suo carattere sanguigno e un’intelligenza sopra le righe, a mettere in cattiva luce la figura di Proctor.
Attraverso una sua personale rilettura, lo identifica come un peccatore a tutti gli effetti e moralmente ambiguo, trovando il consenso soprattutto tra le sue amiche studentesse.
Ne “Il crogiuolo” infatti, la relazione, seppur fugace, tra Proctor e la sua inserviente quindicenne Abigail, diventa il punto centrale del dramma di Miller.
Aver confessato alla propria moglie (e successivamente di fronte a tutto il villaggio) il suo tradimento “salva” Proctor agli occhi della sua consorte (?). (E agli occhi del lettore?).
L’aver rifiutato la possibilità di sfuggire alla gogna pur di salvare il proprio nome (inteso come reputazione, come onore) è un concetto che Shelby non accetta.
Nella sua personale visione della vita infatti, il corpo ha molto più significato del nome stesso (“a name doesn’t mean anything if it doesn’t have a body to be attached to; your name doesn’t have a memory”).
Il corpo come unicità
Il corpo, secondo Shelby, è un qualcosa di unico, di irripetibile, legato solo ed esclusivamente a noi stessi. Nessuno avrà mai un corpo identico ad un’altra persona. Mentre il nome no.
Può essere in comune con tante altre persone e, in chiave squisitamente femminista, lei rifiuta categoricamente l’idea di associare il nome del marito alla moglie (la sig.ra Proctor nel nostro caso).
Inoltre, il corpo di Proctor, non potrà mai più essere salvato poiché ormai è “sporcato” dal peccato (non in chiave cattolica) dopo aver tradito la moglie con Abigail.
Per questo, quindi, John Proctor è il cattivo!
Nei continui scambi di battute tra i protagonisti, si percepisce come l’autrice, attraverso la sua rilettura del Crogiuolo, esprima tutta la libertà di andare contro un’idea consolidata costruita attorno ad una figura (o ad un concetto) troppo spesso ritenuta salvifica ma che di salvifico non ha proprio nulla.
L’orgoglio di essere fuori dal coro
Kimberly Belflower in sintesi, con estremo coraggio, si dimostra quindi libera e scevra da qualsiasi condizionamento culturale sedimentato.

Dando vita a personaggi che prendono coscienza del proprio potenziale intellettuale rifiutando eroi tradizionali e falsi narratori.
Spesso infatti, nelle interviste rilasciate in seguito alle rappresentazioni della sua opera (diventato ormai un fenomeno newyorkese), ha ribadito che le sarebbe piaciuto vivere i suoi diciotto anni proprio in questo preciso momento storico (la nascita del #meToo).
Un periodo caratterizzato dal coraggio di voler denunciare quello che per anni/secoli è stato visto con vergogna o, peggio, rassegnazione.
Dove troppo spesso la vittima viene confusa con il carnefice e la libertà di vestirsi e lasciar esprimere il proprio corpo fu mal interpretato dando vita a tragici epiloghi.
#ValerioArtemis