L’arte di disfare: quando ricominciare è resistenza

L’arte di disfare: quando ricominciare è resistenza

È una notte silenziosa e solitaria, come ne sono venute tante dal giorno in cui le navi hanno abbandonato il porto. Fuori, la quiete è rotta solo dal frinire delle cicale, mentre dentro una stanza si può sentire il fruscio di una mano che percorre la tela, laboriosa e decisa, alla luce debole di una lucerna. Unica nel suo genere, quella mano non attraversa il telaio per creare nuovi disegni, ma per disfare il lavoro di un’intera giornata: è quella di Penelope, la moglie di Ulisse «dal multiforme ingegno» che da troppi anni ormai è lontano dal regno. Rimasta sola con un figlio ancora inesperto, deve resistere alle pressioni di un centinaio di giovani nobili, i Proci, che insistono perché scelga uno di loro per risposarsi.

L’inganno del tempo: creare per distruggere, distruggere per creare

Quello di Penelope è un fare circolare, ripetitivo: di giorno crea e la notte disfa la propria opera. È celebre l’inganno raccontato nell’Odissea: aveva promesso di scegliere uno dei pretendenti solo dopo aver terminato il sudario del suocero Laerte, ma passava le notti a disfare segretamente quello che aveva intessuto. Un gesto che dà al ricominciare un significato preciso: resistenza femminile in un mondo di uomini che vorrebbero imporre su di lei la propria volontà, disponendo, per farlo, di armi di ben altro genere.

Astuzie a confronto: Ulisse conquista, Penelope resiste

Penelope è scaltra quanto Ulisse, il celebre ideatore di un altro inganno, quello del cavallo di Troia, ma la sua astuzia è diversa: non conquista, ma resiste. Non sottomette l’altro, ma cerca di preservare la propria autonomia. La sua genialità sta nel manipolare il tempo stesso, trasformando l’attesa – quella dimensione che è stata a lungo riservata alle donne – da passività a scelta attiva. Dove gli uomini agiscono per modificare la realtà, lei fa dell’aspettare un’arma per ritagliarsi uno spazio di libertà.

Disfare e Ricominciare per non cedere

Ma cos’è che rende così sovversivo questo gesto apparentemente semplice? Penelope non temporeggia: modifica la forma stessa del tempo. Prende il tempo lineare, tipico del nostro immaginario, e lo trasforma in tempo ciclico, basato su una ripetizione che potrebbe durare all’infinito. Ricomincia non perché ha fallito, ma per non lasciarsi sopraffare.

La saggezza della ciclicità: Julia Kristeva e il tempo femminile

La linguista e filosofa Julia Kristeva, a questo punto, direbbe che solo una donna avrebbe potuto pensare qualcosa di simile. Secondo lei, che è anche psicanalista, la soggettività femminile è profondamente legata alla dimensione della ripetizione e della ciclicità, diversamente da un modo di definire il tempo come progettualità, progressione, linearità, tipicamente maschile, che è quello che ha dato forma al nostro modo di rapportarci con esso.

Sherazade e Penelope: sorelle di filo e parola

Mentre Ulisse usa la sua astuzia per andare avanti, per superare l’ostacolo e proseguire la corsa, Penelope accetta di ricominciare ogni giorno per difendere la propria autonomia. Del resto, non è anche quello che fa Sherazade per garantirsi di sopravvivere a ogni notte trascorsa col sultano? Penelope e Sherazade sono più simili di quanto sembri. Entrambe sono tessitrici – di fili reali o di parole – ed entrambe si rifiutano di completare l’opera per mantenere viva una dimensione di possibilità.

Disfare per sopravvivere

Di più: diventano ‘de-tessitrici’, smontando insieme alle loro trame anche il potere maschile. Sherazade si impossessa dell’arte della narrazione e con essa sottrae al sultano il potere di vita e morte che egli ha su di lei, negandogli la conclusione della storia – il punto di arrivo di quel tempo lineare – per ricominciare la narrazione l’indomani. Penelope usa invece il tipo di tessitura che nel suo mondo era una delle poche occupazioni concesse alle donne, ma proprio questo diventa lo strumento per imporre una propria capacità di agire e intervenire nella storia.

Ricominciare come atto di libertà

Penelope ci insegna che ricominciare può essere non solo una risposta a un trauma o a una perdita, ma un vero e proprio atto di libertà, forse non travolgente come l’eroismo dei guerrieri omerici, ma non per questo meno radicale. Mentre siamo abituati a pensare le nostre vite in una costante tensione verso il futuro, verso un prossimo traguardo, ricominciare può avvicinarci all’idea di abitare il tempo con un atto di fedeltà e di coraggio.

Fedeltà al gesto: la vera resistenza

Ricominciare può voler dire anche non arrendersi, restare dove si è, eppure continuare a intessere la propria trama, giorno dopo giorno. E in questo gesto silenzioso, ribadire – come Penelope e Sherazade – che ogni storia può avere mille nuove partenze, anche quando il finale sembra già scritto.

Silvia Mazzucco

DmU magazine

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