Avevo sette anni ed era estate

Avevo sette anni ed era estate

Avevo sette anni ed era estate. Nel mio immaginario, la parola estate non sarà mai valigie, mare, spiagge affollate o caldo asfissiante. La parola estate, nel mio vocabolario, sarà sempre riassunta nella frase: “Alzati e véstiti che ti porto da nonna”.

Mi piace che il tuo nome mi ricordi l’estate: è l’unico pensiero che riesce a sedare quel senso di smarrimento che hai lasciato al tuo posto.

Arrivammo a casa tua qualche minuto prima delle otto e ti trovammo irriconoscibile: un nido di vespe nel quale ti eri imbattuta aprendo le finestre, ti aveva sfigurato il viso. Rifiutasti l’ospedale ma piena di ansie com’eri (chissà chi me la ha trasmesse…) con il passare del tempo cominciasti ad accumulare paura. Anche in quell’occasione, com’è stato per tantissimi anni a seguire, fui il tuo confidente: “Gabriele, questo è il numero di papà. Se mi sento male chiamalo subito. Nonna è vecchia, facci attenzione”.

Raggiunsi il giardino carico di responsabilità: “Nonna è vecchia – mi ripetevo, spaventandomi – in effetti quanti anni ancora potrà campare?

Ventisette per la precisione.

Te ne sei andata all’alba dei miei trent’anni: non avevo fatto ancora nulla, nonna! Non avevo ancora scritto un libro, non mi ero affermato nel mondo del lavoro, non avevo nemmeno una fidanzata stabile. E’ così triste…

Quando al telefono, una voce rotta in tanti pezzetti, mi ha soffiato all’orecchio che non c’eri più, ho finto forza. Risolutezza. Fatalismo. Mi sono stretto nel mio cappotto bucato da sognatore-squattrinato e sono rimasto chiuso in ascensore. Un guasto al motore e il traffico che ritardava l’intervento del tecnico, mi intrappolarono in quella gabbia per più di un’ora. Un momento bellissimo: potevo pensarti senza paura di essere interrotto. Da quella cella fatta di specchi e tasti illuminati, inviai un messaggio a mio fratello.

E mo’? – scrissi.

E’ finita un’era – rispose.

Non solo, lo corressi mentalmente mentre una voce attraverso il microfono della pulsantiera mi chiedeva come stavo, non era solo una questione di tempo. Era anche un problema di spazio: per me spariva l’unico posto in cui mi ero sentito veramente al sicuro in tutta la vita.

Eravamo in prima linea, ormai. Non eravamo più nipoti.

Qualcuno ha detto che i nonni dovrebbero essere proclamati patrimonio dell’umanità. Nulla di più vero. Questa vita “ritardata” alla quale ci stanno costringendo, che ci porta ad essere genitori in età sempre più avanzata, priverà i nostri figli di una figura fondamentale. Una violenza che non possiamo accettare.

“Fai bei sogni, dormi bene” ripeteva la mia nonna rimboccandomi le coperte, cospargendomi di una serenità che non sono più riuscito a provare. Più che ai ristori, questa bastarda società in cui viviamo dovrebbe concentrarsi sul dare vita a un distillato simile. L’abuso di gocce al sapor erbaceo crollerebbe immediatamente.

Gabriele Ziantoni #DisperatamenteMalinconico

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Gabriele Ziantoni

Giornalista per hobby, polemico per professione, speaker per necessità. Gabriele Ziantoni nasce a Marino, un piccolo paese in provincia di Roma, il 12 dicembre 1983. Solitario, testardo e vagamente intollerante, vive con una penna in mano e un foglio bianco davanti agli occhi fin da quando ne ha memoria. Dopo varie esperienze nel campo del giornalismo, soprattutto sportivo, dal 2011 affronta in maniera ondivaga il rapporto con il suo secondo amore dopo la scrittura: quello con la radio. Direttore Artistico di New Sound Level 90 FM, ha all’attivo tre libri: “Un secondo dopo l’altro” (L’Erudita, 2017), “Nonostante tutto” (L’Erudita, 2019) e “Rudi Voller. Il Tedesco Volante” (Perrone, 2020).

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