Quel sogno che comincia da bambino

Quel sogno che comincia da bambino

Muove masse, sposta interessi e genera turbamenti. Fiumi di parole e una miriade di gesti. Fiumi di denaro e una marea di emozioni. Un pallone, gli amici, lo stadio, la famiglia, le gradinate, l’odore dell’erba. Quel sogno che comincia da bambino. Le notti insonni e l’ansia. Un piccolo angolo di mondo, una strada o un giardino. Ricordi senza tempo, di gioia e spensieratezza. La giovinezza e la maturità. Una casa, una famiglia, la partita, la condivisione. Le regole e gli insegnamenti etici. Il legame profondo con le nostre radici. La città, la squadra, i colori, gli stemmi, i simboli. Il regalo di passioni vere e profonde. La vittoria, la sconfitta e la lealtà. La gioia e il dolore. Matrimoni, battesimi e funerali. Con il cuore in gola.

Il calcio crea abbracci, tradizioni, eredità. Il calcio è famiglia.

La partita non è solo il momento in cui si affrontano due squadre. E’ anche l’occasione di una forte intimità. E’ l’attimo perfetto, in cui si ferma il tempo circostante. Sia per chi gioca, sia per chi assiste. Esiste il campo e lo stadio, la casa e il divano, la radio e la tv. Il resto è contorno sfocato.

E’ l’esaltazione della volontà, il ciclo continuo delle generazioni, l’aggregazione trascinante.

E’ il testimone astratto, che i genitori passano ai figli, da custodire e onorare. Una bandiera, di valori e ideali. Di padre in figlio non è solo un modo di dire, ma di sentire. La responsabilità e l’unione destinata a durare per sempre.

E’ un prato verde, un goal, la sconfitta e la vittoria, un gruppo e una squadra.

E’ la sublimazione dell’amicizia.

Abbracciare e stringere forte un fratello, non lasciarlo andare. Donarsi reciprocamente con forza, gioia e lacrime.

Difficile spiegare cosa sia il calcio.

E’ un po’ come immaginare l’infinito. Uno spazio che non ha contorni, né di tempo né di spazio. Complicato vederlo fisicamente.

Ebbene, possiamo usare innumerevoli modi per definire il calcio, nessuna spiegazione sarà sufficiente. Banalmente lo si può ridurre a regole di gioco, poeticamente raffigurarlo con la celebrazione dei sentimenti. Mai nessuna interpretazione però riuscirà ad andare nel profondo, a chiarire cosa significhi.

I ricordi delle partite giocate da bambini con gli amici, le vittorie impossibili, le corse ad abbracciare i compagni di squadra. Emozioni indelebili, come il più bello dei tatuaggi. Sensazioni che possono restare sopite un’intera settimana, pronte a riemergere ed esplodere nel giorno della partita della nostra squadra, la sera di una finale, o nell’istante in cui si arriva sul gradino più alto.

sogno
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La squadra di calcio e la famiglia.

Si piange per gli insuccessi e si gioisce per i traguardi importanti. L’obiettivo è comune e ogni cosa è meno difficile e più bella se i problemi si affrontano insieme e se la felicità si condivide. Più si è uniti e maggiormente si riesce ad affrontare le difficoltà e ad uscirne vincenti.

Si dice che il calcio sia metafora della vita, in realtà il calcio è la vita stessa. E’ la linfa che ci scorre dentro. Il sogno accarezzato, sfuggito, voluto. E’ la vittoria della vitalità contro l’apatia. Il vaccino morale alla malattia e alla morte.

I valori e l’educazione che ricevi nella famiglia poi te li porti dietro per tutta la vita

Gabriele Paparelli

E il calcio fa parte di quell’educazione. Quando non è già presente nel DNA.

Chi di noi è cresciuto in questo modo, è consapevole di non attraversare una semplice fase dell’esistenza.

Sì, è veramente complicato spiegare il calcio a chi non lo vive. Far comprendere che i rapporti familiari sono illuminati da una luce particolare.

Ricordo me bambina, mentre tenevo la mano gigante di papà affrontando la scalata dei gradoni dello stadio. Ricordo ogni partita vista e ascoltata con lui, a casa e per strada. La memoria corre alle trasferte, ai commenti, alle disquisizione tattiche, agli insegnamenti. Ai flashback delle botte che ricevevo in partita, della tristezza per la sconfitta, dell’allegria della vittoria. Rivivo le telefonate all’uscita dalla stadio, con la sua voce che rideva. Le finali vinte, i festeggiamenti, la cultura della sconfitta. E ricordo il momento del nostro distacco fisico. In quel giorno di dolore, sordo e infinito, il calcio ha continuato a unirci. Così gli ho affidato ciò che lui anni prima aveva donato a me: una sciarpa e un cappello, comprati in un’occasione importante e speciale per la nostra squadra. Da lui a me, da me a lui. Anche in quell’ultimo viaggio terreno ha potuto portare con sé la nostra storia.

Come si può spiegare il legame di una figlia e del proprio padre in questi termini?

Come si può, se non lo si sente dentro?

Alcuni credono che il calcio sia una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Il calcio è molto, molto di più.

Bill Shankly

Il calcio è lo srotolarsi di un racconto umano. Fatto di tanti piccoli tasselli.

E’ talmente storia di vita che gli eroi, da semidei assumono spesso la dimensione umana più bella. Le lacrime di gioia che solcano i loro volti diventano espressione di empatia e solidarietà.

L’abbraccio tra Roberto Mancini e Gianluca Vialli entra di diritto nella storia. La loro è la cronaca di un’amicizia profonda, di una fratellanza indissolubile, la filosofia di persone tenaci. E’ su questo loro rapporto che la Nazionale Italiana si è plasmata.

Dopo il rigore parato da Gigio Donnarumma e il trionfo dell’Italia, il Ct e il Capo Delegazione stringendosi forte si sono sciolti in un pianto liberatorio. L’immagine di chi ha combattuto, sofferto e superato le difficoltà, puntando sui legami umani. Un abbraccio emblema di una rivincita, di uno sfogo, di una battaglia vinta. E noi abbiamo pianto insieme a loro, idealmente ci siamo stretti a loro, accarezzando le difficoltà di Luca e strizzando l’occhio all’amico Roberto, che lo ha voluto fortemente accanto.

Roberto e Luca. Il loro sogno è cominciato da bambini.

Gemelli del goal, nella Sampdoria delle meraviglie. Il 20 maggio 1992 sul prato di Wembley, al termine di una combattutissima finale di Coppa dei Campioni, l’ultima ad essere denominata in questo modo, Mancini e Vialli crollano a terra, stremati e sconfitti. Il trofeo lo vince ai supplementari il Barcellona di Johan Cruijff.

La Nazionale, da loro tanto adorata e rispettata, non li incorona come i due eccelsi giocatori che sono stati.

Succede poi che l’11 luglio 2021, Luca e Roberto si trovano in quello stesso stadio che li ha visti sconfitti con la Samp. Si giocano la finale del Campionato Europeo con la Nazionale Italiana.

Accade che l’Italia vince. Che Mancio realizzi l’assist più bello a Vialli. Che i due amici, in un abbraccio compenetrante che commuove tutti, si prendano la loro rivincita. Non sul calcio ma sulla vita.

sogno
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Di padre in figlio, oltre la morte.

Amicizia e fratellanza, che sfida la morte.

Non chiamatelo solo calcio, perché vuol dire non capire l’esistenza stessa.

Non è semplicemente un pallone che rotola. E’ la passione, il sacrificio, è il crederci sopra ogni cosa. Una filosofia, un modo di essere, uno stile di vita.

La loro vittoria è la dedica a una nazione che ha sofferto la pandemia. Agli uomini e alle donne che sono morti. A chi è oggi in difficoltà economica, a tutti coloro che sognano. E’ una canzone che risuona dal 1990 e che i calciatori intonano a squarciagola.

Quel sogno che comincia da bambino E che ti porta sempre più lontano. Non è una favola e dagli spogliatoi escono i ragazzi e siamo noi

Un’estate italiana – E. Bennato e G. Nannini

Cantano gli Azzurri

Ognuno di noi ha un sogno da bambino. E’ l’espressione dei nostri sentimenti più profondi, dei desideri che vorremmo realizzare a tutti i costi, le passioni che ci rendono vivi. Poi cresciamo e qualche volta accantoniamo quel nostro sogno, per paura o per necessità.

Però se riusciamo a resistere agli urti della vita, se abbiamo la fermezza di coltivare e cullare il nostro sogno, senza mai mollare, a testa alta e pronti a tutto, allora può accadere di piangere di gioia.

E come nell’inno più bello, stringendoci a coorte, serrando le fila. Pronti a morire e decisi a esultare.

Il calcio può essere poesia e metafora.

La partita può assumere un’importanza straordinaria.

E la vittoria può diventare un simbolo.

L’immagine di Roberto Mancini e Gianluca Vialli ha fatto il giro del mondo. Ha reso fiera una Nazione intera, riconosciutasi in quel sentimento così autentico che ha oltrepassato gli anni, la malattia, le delusioni e gli inciampi. Quel trasporto emotivo che si è incastonato, come una pietra preziosa, nel cuore di tutti.

L’abbraccio di questi due amici è la spiegazione migliore di cosa sia il calcio. Il loro essere uno il prolungamento dell’altro è diventato la firma di un popolo.

#IrriducibilmenteLibera

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Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

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