Grazia Deledda. Un Nobel dal cuore sardo

Grazia Deledda. Un Nobel dal cuore sardo

Ha scritto di vite fragili, di sogni infranti e di cuori che si legavano come fiori selvatici. Il suo stile poetico si è intrecciato con il suo spirito ribelle, ansioso di riscatto. Un teatro di emozioni. Una fiera determinazione, a creare una letteratura tutta sarda, unica e inconfondibile. Grazia Deledda. Prima vincitrice italiana del premio Nobel per la letteratura, nel 1926. Prima donna ad essere candidata al Parlamento italiano, nel 1909, quando ancora le donne non potevano votare. Acclamata non solo in Italia, ma anche in Europa. Tra gli scrittori più aplauditi e conosciuti del ‘900.

Trentasei romanzi, 250 racconti, due drammi teatrali, pochi versi, un libretto d’opera, la sceneggiatura per il film che fu tratto dal romanzo Cenere, interpretato da Eleonora Duse, una raccolta di tradizioni popolari sarde.

E’ imponente l’opera di Grazia Deledda. Centocinquantaquattro centimetri di altezza, tutta determinazione e spavalderia.

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E’ nel suggestivo contesto della Sardegna, dove il vento accarezza i campi d’orzo e il mare culla la costa, che la giovane Grazia fiorisce. Nata a Nuoro nel 1871, resterà qui a vivere per 29 anni. E alla sua terra rimarrà per sempre legata.  

La famiglia le permette di seguire gli studi privatamente, con lezioni soprattutto di italiano, latino e francese. Fin da subito sente la necessità di dare sfogo a ciò che più desidera, la scrittura. Deve però scontrarsi con genitori e società. Una mentalità chiusa che vede un unico destino per la donna. Ovviamente, quello tra casa e figli. 

La sua penna invece, pervasa di passione e lirismo, a dispetto di tutto e tutti, decide di alzarsi in volo sulle pagine di racconti e romanzi, dipingendo paesaggi animati da passioni elementari e destini avvinghiati.

Tra le mani di Grazia, la parola è diventata colore, trasportando i lettori in mondi lontani, tra l’ombra delle querce e le ridenti colline. La sua narrativa è arricchita del folclore delle genti sarde, mentre lei, con uno sguardo profondo, scruta l’animo umano nelle sue sfaccettature più intime.

Io non sogno la gloria per un sentimento di vanità e di egoismo, ma perché amo intensamente il mio paese, e sogno di poter un giorno irradiare con un mite raggio le fosche ombrie dei nostri boschi, di poter un giorno narrare, intesa, la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri
così vilipeso e dimenticato e perciò più misero nella sua fiera e primitiva ignoranza.
Avrò tra poco vent’anni, a trenta voglio avere raggiunto il mio sogno radioso quale è quello

di creare da me sola una letteratura completamente ed esclusivamente sarda.
Sono piccina piccina, sa, sono piccola anche in confronto delle donne sarde che sono piccolissime,

ma sono ardita e coraggiosa come un gigante e non temo le battaglie intellettuali.

Grazia Deledda

Coraggiosa e ardita. Così si è definita lei stessa. Ed in effetti la sua storia è una dimostrazione di tanto valore. E’ riuscita ha mescolare, come un canto, le note struggenti del suo passato doloroso con le melodie di speranza per il futuro.

La sua gioventù, segnata da tragedie familiari, si è trasformata in una fiamma creativa che ha bruciato intensamente. Tanto da varcare i confini dell’isola e conquistare il mondo.

Una lunga serie di dolori che però non fermano Grazia.

Ad iniziare dal fratello maggiore, Santus, che abbandona gli studi e diventa un alcolizzato. Poi il più giovane, Andrea, arrestato per piccoli furti. Il padre morto per una crisi cardiaca, quando Grazia aveva soltanto 21 anni. E quattro anni più tardi muore anche la sorella Vincenza.

La giovane nuorese, che nel frattempo ha iniziato a scrivere, pubblica la sua prima novella nel 1886, all’età di soli quindici anni, su un giornale locale. Due anni dopo comincia anche a collaborare con altri giornali e riviste. Ormai il suo trionfo è in cammino e la sua marcia è inarrestabile. Pian piano, diventata nota e apprezzata.

La sua carriera letteraria debutta ufficialmente nel 1888, nel momento cui invia a Roma alcuni racconti come Sangue sardo e Remigia Helder, pubblicati poi dall’editore Edoardo Perino sulla rivista L’ultima moda. La consacrazione di scrittrice arriva invece qualche anno più tardi, nel 1903, con la pubblicazione di Elias Portolu, avviando una fortunata serie di romanzi e opere teatrali. Tra i suoi principali libri ci sono anche La via del Male del 1896, Canne al vento del 1913 e La madre del 1920.

La svolta letteraria er Grazia arriva nell’ottobre del 1899, quando si trasferisce a Roma. I salotti della capitale accolgono benevoli e incuriositi la giovane scrittrice, che consolida di anno in anno una crescente popolarità. L’anno dopo sposa Palmiro Madesani, un funzionario del Ministero delle Finanze conosciuto a Cagliari due mesi prima, che la supporta in tutto. Madesani diviene il più grande sostenitore della moglie, tanto da abbandonare la propria carriera e da diventare l’agente di Grazia. Un rapporto di rara complicità e collaborazione per quei tempi. Tanto che Pirandello ne rimane forse scioccato, e scrive Suo marito, un romanzo con cui intende sbeffeggiare proprio Madesani, colpevole, a suo avviso, di essere un marito che vive all’ombra della moglie. In realtà la ragione di tanto astio sembra risiedere nell’invidia che Pirandello prova per quel sodalizio di vita e scrittura, che contrasta nettamente con il suo matrimonio, da lui stesso definito “un inferno”.

Insomma, la felicità dell’unione di Grazia e Palmiro è cosa risaputa, e fa nascere non poche invidie e gelosie.

I coniugi Madesani abitano con i due figli, Franz e Sardus, in un villino del nuovo quartiere romano Italia. E Grazia non è di certo la massaia che scrive per un sorprendente talento naturale, come un’iconografia riduttiva ha voluto far credere. In realtà Grazia Deledda è un’intellettuale sottile, colta e informata, che intrattiene rapporti significativi con molti scrittori e artisti del tempo. Una presenza assidua, per esempio, nella redazione della rivista letteraria Nuova Antologia, dove incontra De Amicis, Fogazzaro, D’Annunzio, Pirandello e Mascagni.

A Roma, tra le strade trafficate e i palazzi storici, continua a tessere la sua trama di emozioni, concentrandosi su passioni umane e destini intrecciati. La devozione per la sua Sadegna e la sua gente vibra nelle parole che scrive, trasformando la sua visione in realtà.

Pubblica tantissimi romanzi e opere teatrali, alcuni dei quali vengono apprezzati da Giovanni Verga. Diviene anche traduttrice per un testo di Honorè de Balzac. 

Nel 1926 arriva la consacrazione più alta. Il conferimento del premio Nobel per la letteratura. Prima ed unica donna italiana sinora.

Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano. Questa la motivazione del premio.

I suoi compaesani tuttavia continuano ad ostacolarla. Credono che li abbia in qualche modo traditi, denunciando una società chiusa, con tradizioni, per quanto affascinanti, ormai sorpassate. Molti la definiscono una scrittrice da esportazione, che non si avvicina alla vera e propria letteratura sarda. D’altronde lei scrive in italiano. Snaturando ciò che i sardi sentono come più forte affermazione della loro identità, la lingua sarda.

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Il 10 dicembre 1927, un anno dopo l’assegnazione, nell’incanto di Stoccolma, la sua voce risuona con gratitudine e passione, mentre riceve il Premio Nobel per la Letteratura.

Quelle parole, pronunciate con l’accento caldo della sua terra natia, ringraziano il mondo per aver abbracciato le sue storie, per aver riconosciuto la sua potenza di scrittrice che plasma la vita sarda in forme plastiche e profonde.

Un discorso memorabile che nizia così:


Sono nata in Sardegna. La mia famiglia è composta di gente savia,
ma anche di violenti e di artisti produttivi.

Grazia Deledda

Qualche anno prima, nel 1908, a Roma, Grazia partecipa al Primo Congresso Nazionale delle Donne Italiane, che puntano a una “partecipazione femminile alla vita sociale” e ai diritti politici delle donne. E’ stato quello un momento cruciale che ha segnato l’inizio del Movimento Femminista Italiano.

Grazia Deledda tuttavia, dopo tre anni, si distacca da quel movimento tradizionale, preferendo una forma di femminismo più intimo e individuale. In effetti, non è interessata alle lotte di emancipazione o al femminismo convenzionale. Il suo femminismo si riflette invece in un legame perfetto tra donne, libero da ogni forma di antagonismo e competizione. Come Ilaria Maggianu Scano lo ha descritto, su La voce di New York, un legame di “sororità”. Con tutte le donne che hanno attraversato la vita di Grazia. Le tre sorelle Vincenza, Peppina e Nicolina, la nipote Mirella, e, per affinità e interessi, Sibilla Aleramo, Matilde Serao, sostenuta dalla Deledda durante la sua crisi matrimoniale, Eleonora Duse e Maria Montessori.

E’ un femminismo unico, lontano dal generico, che parla all’anima. Un legame tra donne che diventa collettivo grazie a relazioni interpersonali profonde e sincere.

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Quando è arrivato il momento Grazia Deledda si è spenta come una stella che ha brillato intensamente nel cielo della letteratura. La sua eredità romantica e piena di garbo rimane intatta. Un’incantevole testimonianza di come una donna, con la forza della parola, possa trasformare la propria isola in un mondo di bellezza eterna.

E’ morta a causa di un tumore al seno, nel 1936 a Roma, lasciando la sua ultima opera, un’autobiografia, incompiuta. Nel 1959 le sue spoglie sono state restituite alla sua città natale.

Grazia Deledda ha attraversato il suo tempo con una straordinaria visione controcorrente, dimostrandosi sempre padrona del proprio destino fin dalle origini. La sua vita e il suo lavoro sono stati una luce, una testimonianza vivente del potere dell’individualità e della volontà di superare ogni ostacolo, in particolare quelle barriere sociali e culturali che, in forme diverse, persistono ancora oggi.

Il suo insegnamento risplende nell’oscurità della conformità, incoraggiandoci a credere fermamente nelle nostre capacità, a perseguire i nostri sogni e trovare la forza di sfidare le convenzioni e le limitazioni che la società ci pone davanti.

In un mondo in cui molti non credevano che avrebbe avuto successo, Grazia Deledda non solo è riuscita a raggiungere le vette del successo, ma ha anche alzato il premio più importante. La consapevolezza che il potere di realizzare il nostro destino è nelle nostre mani.

Non hanno creduto in lei perché donna. Non hanno fatto caso alla sua partenza. Hanno dovuto fare i conti con il suo arrivo, forte ed esplosivo, come il cuore di una donna sa essere.

#IrriducibilmenteLibera

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Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

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