C’è ancora domani. La rivoluzione incompiuta delle donne

C’è ancora domani. La rivoluzione incompiuta delle donne

C’è ancora domani.

È Paola Cortellesi a sussurrare questa frase, da cui il titolo dell’omonimo film (di cui è regista e protagonista) che ha sbancato ai botteghini dei cinema italiani, ma non solo. Al suo esordio dietro la macchina da presa, l’attrice romana fa parlare di sé pubblico e critica. Il passaparola fa il suo dovere. Ed ecco che la pellicola diventa presto un fenomeno di costume, con la solita regola a farla da padrone: bene o male purché se ne parli.

Dopo aver letto recensioni, commenti e critiche, anche io sono qui a dire la mia.

C’è ancora domani racconta una storia di ordinaria sopraffazione negli anni del dopoguerra. Ritratto universale di umiliazioni, fatica, rinunce, violenze, a cui le donne dell’epoca erano semplicemente abituate. Un silenzio di sottomissione diventato, con il passare degli anni, prima sussurro e poi urlo.

“La mia ispirazione è mia figlia, a cui il film è dedicato”:

Stavo leggendo un libro per bambini sui diritti delle donne e mi è venuto in mente il finale di C’è ancora domani.

Paola Cortellesi

Temi e scelte stilistiche

La violenza, l’autodeterminazione femminile, la libertà.

Alla sua prima prova come regista, Paola Cortellesi non rinuncia a qualche punta di comicità e leggerezza come firma personale per tratteggiare in maniera originale anche i momenti più tragici.

La scelta stilistica del bianco e nero è quasi necessaria per rendere al meglio l’ambientazione dell’Italia degli anni ‘40. Contesto nel quale Delia incarna la donna il cui ruolo è prendersi cura della famiglia capeggiata dal marito, Ivano (Valerio Mastrandrea), despota e violento.

Paola Cortellesi ci prende per mano. Ci guida tra i cortili assolati dei quartieri, lungo le vie della Roma più vera, quella del rione Testaccio. Ci accompagna nelle quattro mura del suo misero appartamento seminterrato, dove una sola cosa deve fare: stare zitta e accudire. A suon di schiaffi, insulti, umiliazioni. Per il quieto vivere. Perché “così è” e c’è sempre una giustificazione a renderlo accettabile.

L’ambizione è quella di un film neo realista: spaccati di vita quotidiana dell’epoca resi vividi dai dettagli messi in scena con cura, a partire dalla scelta dei costumi, con gli abiti che diventano strumento identitario. E poi i luoghi comuni che, volenti o nolenti, ci fanno sentire a casa. Che ogni italiano, o perché li ha vissuti o perché li ha sentiti raccontare, riconosce come familiari.

La violenza, al contrario, non è mai trattata in modo esplicito (a parte lo schiaffo sonoro in apertura). Ivano picchia Delia. Lo sappiamo. Immaginiamo benissimo il dolore della percossa subita. Eppure, in maniera inaspettata, ciò che vediamo sullo schermo è “solo” un tragicomico quanto surreale passo di danza. In cui l’aggressività è solo suggerita. E forse proprio questo la rende ancora più cruda e impattante sulle nostre coscienze.

Quanta violenza, ancora oggi, si consuma dentro le mura domestiche! Quante persone sono incastrate in una vita che non vogliono. In quanti vorrebbero fuggire? Eppure rimangono. A volte però qualcuno trova il coraggio di aprire quella porta e fuggire. Respirare. Aria di libertà.

Attenzione: spoiler!

Il finale di C’è ancora domani rimane sospeso fino all’ultima scena.

C’è una lettera misteriosa. Che porta lo spettatore a ipotizzare una fuga d’amore. Andrebbe bene così ma sarebbe un finale abbastanza banale, quasi scontato. Su quel foglietto, invece, collezionato e conservato con cura dalla protagonista, c’è impresso qualcosa di più grande, più profondo, più universale. La genesi di un gesto che, insieme a quello di tante altre donne, cambierà la storia. Un pezzo di carta che parla di un altro Amore, quello per i propri diritti, per la propria libertà, di scelta, di pensiero e di opinione.

Nella giornata del 2 giugno e la mattina del 3 giugno 1946 (il “domani” a cui fa riferimento Paola Cortellesi nel suo film) ebbe luogo il referendum per scegliere fra monarchia o repubblica.
Fu la prima volta alle urne delle donne italiane (decreto legislativo 21 aprile 1945, n.151)

“Ti odio perché non fai mai niente”, urla a sua madre Marcella, la figlia maggiore. Ed è così che Delia decide che può iniziare a fare qualcosa, a partire proprio dal voto. Il primo voto delle donne italiane.

Un giorno speciale, quello raccontato da Paola Cortellesi nel finale di C’è ancora domani. Un giorno per cui valeva la pena comprarsi un vestito nuovo, truccarsi e fieramente andare incontro al proprio destino.

Ruoli, personaggi e messaggi

L’uomo tratteggiato in C’è ancora domani è un marito dispotico, violento e ignorante, specchio del patriarcato più becero: la donna deve obbedire e “se deve stà zitta” e poco male se il risultato lo si ottiene a suon di cinghiate o di botte. Il suocero, poi, rappresenta una figura ancora più subdola di padre padrone.

Ma non è solo il patriarcato in famiglia ad essere rappresentato. C’è anche quello fuori di casa: lo stipendio di Delia è molto inferiore rispetto a quello dello stagista appena assunto semplicemente perché “lui è uomo”.

Una donna costantemente sminuita, offesa, umiliata, dentro e fuori le mura domestiche. Privata di identità, fino ad arrivare a pensare che “gli schiaffi sono dolorosi, ma una fuga senza meta ancora di più”. “Ndo vado?”.

La via per un futuro diverso sembra essere incarnata, nel film, da Nino, l’amore della giovinezza. Commovente la scena in cui mangiano insieme la cioccolata e si sporcano i denti come due bambini, in una bolla che sembra immobile eppure fa viaggiare i sensi.

Poi c’è William, il soldato americano gentile. Marisa, l’amica fedele ed emancipata. E il rapporto, sublimato da sguardi silenziosi ma carichi di significato, tra madre e figlia. Delia ispira Marcella, Marcella ispira Delia. La madre salva la sua primogenita da un futuro inconsapevolmente simile al suo. Con quel disperato “non vali niente”, invece, la figlia suscita nella mamma un moto di ribellione insperato quanto necessario. La scena finale è la sintesi commovente di un legame complicato e allo stesso tempo indissolubile. Un passaggio di consegne che è simbolo della vittoria dell’unione delle donne. È il tempo che cambia. È l’urlo, anche se silenzioso, di voglia di libertà. E fa rumore. Eccome se fa rumore.

Volevo raccontare la questione del possesso, che non è legata solo alla cultura dell’epoca

Paola Cortellesi

Mai più a bocca chiusa. Né allora, né oggi. Un monito a non accettare la violenza, come condizione sopportabile. A riconoscere l’Amore. Perché l’Amore non ti umilia, non ti fa sentire una nullità, non ti massacra di botte. L’Amore ti protegge. È condivisione, sostegno. E rispetto. Rispetto reciproco.

L’uomo non è il modello a cui adeguare il processo della scoperta di sé da parte della donna. La donna è l’altro rispetto all’uomo. L’uomo è l’altro rispetto alla donna.

C’è ancora domani, ancora oggi. Per cambiare. Per ogni donna. E per ogni uomo.

La strada per le pari opportunità è una storia che ancora stiamo scrivendo.

Quanto domani c’è ancora da fare?

“C’è ancora domani” è un film della e per la gente comune che parla attraverso la lente femminista senza essere un film didascalicamente femminista.

E’ un capolavoro di cinematografia? No.

È un film che tratta un argomento nuovo e originale? No.

È un film che ha il merito di accendere gli animi e di ricordarci quel passato che non possiamo e dobbiamo dimenticare? Di farci riflettere se sia davvero “passato” o se sia ancora troppo presente, come dimostrano le cronache quotidiane di violenza sulle donne? Sì!

Non si tratta di essere femministe. O anti qualcosa o qualcuno. Ma di ammettere di avere di fronte un racconto capace di colpire il cuore. C’è chi lo accusa di retorica, chi lo definisce un film didascalico. Chi non condivide l’entusiasmo che si è creato intorno alla pellicola, premiata, lo ricordiamo, ai Nastri d’Argento e che si presenta ai David di Donatello con ben 17 candidature.

Chi non è rimasto “sconvolto”, chi non lo rivedrebbe, chi si è emozionato, chi, al contrario, ha riflettuto e molto dopo la sua visione.

Ho raccolto qualche parere di colleghi e amici (link in coda al pezzo per leggerli sui nostri social) proprio per dar conto delle varie emozioni che C’è ancora domani ha suscitato negli spettatori. E gli spettatori, non posso non ricordarlo, sono stati tanti. Milioni di persone ad applaudire un film italiano, e non solo in Italia, come non accadeva da tempo.

È il nono film in assoluto col maggiore incasso in Italia.

E allora, per conto mio, gli si perdona anche qualche pecca. Perché riesce ad essere cinema popolare e intelligente che tocca le corde giuste per emozionare, coinvolgere, irretire nella trama di un racconto che tiene chi lo guarda sospeso fino all’ultimo.

C’è ancora domani è un film di donne e su donne che, volenti o nolenti, abbiamo conosciuto. Che sono parte di noi. Della nostra memoria, fisica e sociale. Racconta la violenza in un tempo in cui nessuno la definiva o la riconosceva come tale. Ci fa sperare che per quanto l’oggi sembri una via senza uscita, c’è sempre un domani.

Io credo fermamente che noi ragazze e donne di oggi parliamo facile: ci nutriamo quotidianamente della nostra libertà, delle nostre conquiste familiari e professionali. Ci trucchiamo, studiamo, usciamo, viaggiamo. Con la nostra valigia di sogni sempre a portata di mano. E finiamo per non accorgerci che tutto di ciò di cui possiamo andare fiere oggi è frutto di quel passato. Di quelle donne che hanno subito in silenzio, di quelle che hanno trovato il coraggio di ribellarsi, di quelle che hanno saputo evolversi insieme ai loro uomini.

E a proposito di uomini…è anche merito di quegli uomini che hanno valorizzato le loro donne, che hanno saputo apprezzarle, lasciarle libere di essere. Il miglioramento del presente e del futuro è un percorso condiviso. Abbiamo il dovere di crescere i nostri figli e le nostre figlie con il valore del Rispetto.

Uomini che rispettano le donne. Donne che rispettano gli uomini. Procediamo per tentativi: molti falliscono, altri riescono a metà. Ma andiamo avanti, con la nostra generazione e per quella che verrà.

Il nostro compito non si è esaurito con qualche conquista. C’è ancora da lavorare. C’è ancora un domani tutto da scrivere. Possibilmente insieme.

#CaparbiamenteSognatrice

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Elisabetta Mazzeo

Elisabetta, classe 1981. Ogni 18 anni un cambiamento. Prima la Calabria, poi Roma, ora Zurigo. Domani chissà. La mia sfida quotidiana? Riuscire nell’impresa di essere contemporaneamente mamma, moglie, giornalista, scrittrice e ora anche blogger. Ore di sonno: poche. Idee: tante. Entusiasta, curiosa, caparbia, sognatrice. Scrivere è un’esigenza. Una lunga gavetta nei quotidiani e nelle tv locali, poi l'approdo come inviata di Sport Mediaset. Non ho dubbi: il mio è il mestiere più bello del mondo. Una passione prima che un lavoro. Oggi ricopro l'inedito ruolo di vicedirettore a distanza di Retesole, l’emittente che mi ha visto crescere umanamente e professionalmente. Divoro libri e due li ho anche scritti, mi nutro di storie di sport, ma non solo. Scatto e colleziono foto, mi alleno quanto basta per non sentirmi in colpa e in compenso macino chilometri armata di scarpe da ginnastica e passeggino. L'arrivo delle mie due figlie ha rimodulato le priorità della mia vita. E adesso è con loro e per loro che continuo a mettere le mie passioni in campo. #CaparbiamenteSognatrice

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