Il lessico della quarantena

Il lessico della quarantena

La distanza finirà per unirci


Le parole disegnano il contesto entro il quale i nostri pensieri possono scorrazzare. Ogni contesto ha delle sue specificità e seleziona le parole da usare con maggiore frequenza.
La quarantena cui siamo stati obbligati, per rallentare la folle corsa del virus, ci ha portato a sviluppare un lessico specifico che cominceremo ad esaminare.
La parola principale è sicuramente DISTANZA (con la variante di “distanziamento sociale”).
La distanza per noi del XXI secolo è un concetto sempre meno rilevante. Tutto è così vicino, a portata di mano o di un click. La velocità e l’accessibilità economica dei mezzi di trasporto hanno avvicinato il mondo, lo hanno reso sempre più piccolo. Perfino l’universo, con le esplorazioni spaziali sembra meno distante.


Se nessun luogo è lontano, per via della facilità degli spostamenti, nessuna persona è distante per via dell’aumento della popolazione, della concentrazione della vita in grandi centri urbani o in luoghi di attrazione collettiva diffusi ovunque anche nelle piccole città.


Non siamo mai soli e la nuova dimensione dell’uomo non è più quella della folla solitaria ma dello stare sempre insieme, non solo in comunità virtuali, ma fisicamente sempre più appiccicati gli uni agli altri in una vita lavorativa, ricreativa e sociale intensa che quasi sempre per necessità, e qualche volta per scelta, ci fa vivere sempre più dentro “insiemi
umani” affollati.

Il lessico della quarantena: lo spazio


Aver polverizzato le distanze geografiche, urbane, sociali, di gruppo e personali ci ha dato un senso di potenza, una sorta di orgoglio di essere capaci di dominare una delle due categorie importanti del nostro conoscere e vivere: lo spazio.
Questa padronanza dello spazio riempie tante lacune della nostra limitatezza umana: ci fa sentire liberi da barriere, da frontiere, da muri simbolici e in grado di essere sempre parte di qualcosa di condividere fisicamente esperienze non solo individuali.


Nella metafora dell’Homo Deus, creata da Juval Noa Harari, la fine della distanza potrebbe essere equiparata ad una “quasi ubiquità” dell’uomo: la capacità di essere quasi ovunque e con chiunque a nostra scelta.

Eppure nel bel mezzo di questa nostra euforia, ecco lo shock della “distanza imposta” dalle
norme sanitarie che ci ha fatto riscoprire anche l’importanza della prossemica, una
disciplina semiologica che ci insegna a dare significato agli spazi che frapponiamo tra noi e
gli altri. Obbligati a restare a casa, non pensiamo affatto di aver perso la nostra libertà per il capriccio di un bizzarro dittatore che ci vuole reclusi: sappiamo benissimo che il blocco serve per non correre il pericolo di infettarci e di infettare gli altri, rischiando la pelle.

Il virus: l’ostacolo imprevisto


Però la distanza imposta è un colpo di freno improvviso, brutale che blocca la nostra auto sociale lanciata senza limiti di velocità per evitare che si schianti contro un ostacolo imprevisto, il virus. E che trauma insopportabile sarebbe se non ci fosse l’airbag di Internet che attutisce il colpo e con l’immersione nell’ubiquità virtuale ci fa sentire vicini a tutti!


Il tema della distanza ci accompagnerà per molto tempo, anche dopo la “liberazione” dalla quarantena. E la distanza sarà il segno non della nostra debolezza ma della nostra abilità strategica per contrastare la prepotenza malefica del virus. Sarà indice del rispetto per gli altri per non contagiarli, sarà manifestazione di responsabilità individuale e collettiva,
condizione necessaria, anche se non sufficiente, per gestire la pandemia ed evitare altri blocchi prolungati.

Restare per qualche tempo in questa condizione di incontri non ravvicinati ci sconvolge ma ci può aiutare anche a rimettere ordine nella nostra dimensione dello spazio sociale. Possiamo provare a dare un senso più profondo al nostro essere addosso a tutto e a tutti senza mai essere realmente vicini , senza che gli altri siano davvero il nostro “prossimo”.
Siamo estranei a tanta gente con cui siamo a stretto contatto fisico per motivi che non dipendono dalla nostra volontà; ma spesso siamo “esterni” anche rispetto a persone che scegliamo di frequentare e la cui ”corporeità” rimane un fatto epiteliale e non esistenziale.


La privazione forzata del contatto fisico in queste settimane ci farà apprezzare molto di più il calore di una vera stretta di mano, la trasmissione di affetto con un abbraccio o un bacio sincero e l’immersione nell’universo corporeo delle persone che scegliamo di “toccare” e a
cui diamo l’accesso alla nostra sfera più sacra, l’intimità.
La distanza finirà per unirci
.


Giuseppe Mazzei

distantimaunite

Magazine digitale di intrattenimento. #unpezzoallavolta selezioniamo storie e interviste per raccontarvi il mondo, a modo nostro. "Non chiederci perché siamo uguali, scopri perché siamo diverse".

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