É stata la mano di Dio, il nuovo film di Paolo Sorrentino

É stata la mano di Dio, il nuovo film di Paolo Sorrentino

Chi ama il genere Sorrentino comprende già, da qualche scena iniziale che è esattamente la sua mano ad aver fatto questo film.

Se poi si viene a conoscenza che è grandemente ispirato alla sua vita, alla sua adolescenza, agli inizi, si rimane ancora di più incantati a guardare. 

Ambientato nella Napoli bene degli anni 80, Fabio, il protagonista (in realtà Sorrentino adolescente) è il più piccolo di tre figli, studente di liceo classico. Invece, il fratello più grande, Marchino va all’Università mentre Daniela, la sorella maggiore, su cui Sorrentino non si sofferma troppo, è solo una presenza/assenza nella sua vita.

Fabio vive insieme alla famiglia: papà Saverio che lavora in banca e mamma Maria, casalinga.

La vita del giovane è circondata dalla normalità di quegli anni, una città, Napoli, come scenografia mai invadente, è come un argine di un fiume che accompagna il film, senza mai eccedere ma che rimane lì a guardare.

Una famiglia per bene del quartiere Vomero, che vive gli alti e bassi. Una famiglia normale.

Una coppia unita da tanto amore di fondo dimostrato difronte a tutti ma che nasconde le crepe di un tradimento decennale da parte del marito. Un tradimento a cui lui non può dire basta per la presenza di un altro figlio avuto fuori dalla coppia. 

Marchino e Fabio crescono come tutti gli adolescenti di quegli anni, tra la noia della routine e il tifo per la squadra del cuore il Napoli, e nella speranza dell’acquisto calcistico più ambito di quegli anni: Diego Armando Maradona.

Sogno che si realizza.

Una presenza quella di Maradona che aleggia in tutto il film.

Maradona è il filo conduttore delle giornate dei due ragazzi. È proprio Maradona a far rimanere in città Fabio. Quel giorno la squadra giocava in trasferta e il ragazzo aveva ottenuto, per la prima volta, il permesso di seguire la squadra fuori casa. Prima di quel momento, ogni week end di trasferte, Fabio andava a tenere compagnia ai genitori nella seconda casa di famiglia, a Roccaraso.

Nella casetta nuova e tanto amata di Roccaraso i due coniugi perderanno la vita per una fuga di monossido di carbonio da un camino. Nella realtà la fuga fu da una stufa. 

Si capisce che quell’episodio nella vita di Sorrentino ebbe un impatto fatale che scinde la vita del ragazzo in due parti. 

La prima, scandita da una vita piena di affetti e presenze, ma monotona, di un figlio, il più piccolo accudito e coccolato da una famiglia unita e benestante. 

La seconda quando la serenità interiore viene a mancare, distrutta dalla perdita dei due genitori e questo segnerà per sempre il suo destino. 

Un desiderio continuo il suo di una pace che non troverà più. 

Di un dolore che divorerà ogni sorriso che però cercherà di soffocare trovando interesse nel cinema e in quella finzione da palcoscenico.

Orfano del bene più prezioso, inizierà a volersi bene. 

E nel giorno della vittoria dello scudetto del Napoli, quando nemmeno questa gioia calcistica riesce a regalargli più interesse, chiude la sua valigia di sogni, direzione Roma, per scappare dalla realtà e crearsi il suo futuro. 

Nel film, che racconta fatti realmente accaduti nella vita di Sorrentino, ci sono le sue maschere: attori che recitano personaggi surreali e al limite della realtà tra Napoli e il teatro. 

Scene che, da un lato fanno storcere il naso e dall’altro lasciano comunque attaccati allo schermo, perché il viaggio interiore è lungo e contorto e un po’ disarma.

L’attore, scelto ad hoc per interpretarlo, è un giovane promettente dalla faccia comune e sognante (molto simile a Sorrentino da ragazzo) di chi non si ferma mai alla prima impressione e a cui piace scavare dentro.

Un figlio di tutti che vive la cosa più brutta che un giovane possa vivere.

Quasi viene voglia di abbracciarlo, quell’abbraccio/sostegno che nel film non gli arriva mai, nemmeno dai due fratelli maggiori che quasi lo abbandonano e lo costringono ad esser grande di colpo.

Un film che gioca con il destino.

Una partita importante del mito calcistico che lo farà rimanere in città e quella mano di Dio più che di Maradona (come si vuol far credere) che stravolge la vita ma che te la salva.

In bocca al lupo a Paolo Sorrentino per candidatura all’Oscar 2022 come miglior film internazionale. 

#tecnicamenteRomantica

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Emanuela Impieri

Mi chiamo Emanuela Impieri, sono nata a Roma 34 anni fa. In passato, la mia timidezza mi ha portato a guardare il mondo senza essere guardata, nascosta dietro la macchina da presa, la mia più grande passione. Ho curato la regia e scritto la sceneggiatura di vari cortometraggi per poi approdare alla tv locale romana, prima a "canale 10" poi per undici anni nel reparto tecnico di Retesole essendone anche la responsabile, per arrivare a collaborare con le tv nazionali. Sono stata docente di dieci Master in Giornalismo Radiotelevisivo per Eidos Communication. Mi piace lavorare e far la differenza proprio in quei settori in cui le quote rosa sono latitanti. Ho cambiato tutto per questo lavoro, città, amici, un’intera vita, finché un matrimonio e una bimba hanno rimescolato le carte per rinnovare tutto di nuovo. Per loro mi diletto a “mettere a fuoco” la mia vita sull’altra passione; cucinare, prima che per gli altri diventasse una moda. Perchè “Cucinare è come Amare o ci si abbandona o si rinuncia”. Il mio stile di vita.

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