Un’amicizia coraggiosa e senza fine, più forte della guerra

Un’amicizia coraggiosa e senza fine, più forte della guerra

Capelli biondi, occhi azzurri e pelle diafana, uno. Occhi, capelli e pelle scura, l’altro. Tedesco il primo, statunitense il secondo. Atleti entrambi, Luz e Jesse. Sotto il cielo della Berlino del 1936. L’arena di sabbia dell’Olympiastadion, centomila spettatori e l’esaltazione della razza. I Giochi Olimpici, il disappunto di Hitler e una fratellanza straordinaria. La promessa ariana e il lampo d’ebano. Luz Long e Jesse Owens. Oltre l’odio, la guerra, le minacce e la morte. Oltre ogni cosa. Un’amicizia coraggiosa e senza fine.

Un simbolo potentissimo, contro l’astio e la discriminazione. Un legame che ha superato le vite dei due amici, che si è esteso alle loro famiglie e tramandato al mondo intero.

Nessuna distanza temporale né spaziale può indebolire l’amicizia di due persone che credono ognuna nel valore dell’altra.


ROBERT SOUTHEY

E’ l’estate del 1936, quella che divide la Germania e il mondo intero in blocchi contrapposti.

Luz e Jesse, come un temporale nel bel mezzo del caldo afoso, piombano improvvisamente a sfidare le regole che li vuole contrapposti e nemici. E insieme danno vita ad una delle più belle pagine di storia, sport e umanità.

Luz Long. L’atleta simbolo della cosiddetta “Germania ariana”. E’ bellissimo. Alto, biondo, sorridente. Esteticamente conforme ai canoni estetici promossi dal regime tedesco, appartiene all’alta borghesia di Lipsia ed è uno studente di giurisprudenza, ma anche uno dei più bravi saltatori del Paese. E’ il campione di Germania, e i tedeschi si aspettano da lui grandi cose, nella gara del salto in lungo.

La stessa gara a cui partecipa il suo esatto contrario fisico. Jesse Owens.

amicizia
amicizia

I primi due salti per Jesse, sono un mezzo disastro e rischiano di non farlo qualificare. Uno annullato e l’altro ritenuto insufficiente. E adesso rischia l’eliminazione. Se dovesse sbagliare anche il terzo salto, per lui la gara sarebbe finita.

Tutto inizia qui, in questo momento da dentro o fuori.

E accade. Qualcosa di imprevedibile e per certi versi sconcertante.

Prima del terzo tentativo di Jesse, Luz gli si avvicina. Per parlargli.

Assurdo! Non è previsto nemmeno che possano incrociare gli sguardi, figuriamoci comunicare.

Inoltre Luz non si limita a dire due parole e a incoraggiare il “nemico”, il “reietto”.

Anni dopo, lo stesso Jesse Owens, condividendo l’essenza del loro rapporto e dando significato alla parola amicizia, ha raccontato quanto accaduto in quell’istante.

L’atleta tedesco di fatto si avvicina a Jesse per aiutarlo, suggerendogli di anticipare il punto di stacco a circa 30 centimetri dall’inizio della pedana di rincorsa. Consiglio che si rivela giusto. E Owens si qualifica per la finale, proprio contro Long.

Il testa a testa finale tra i due è emozionante.

In fase eliminatoria, Long aveva già stabilito il nuovo record olimpico con 7,73 metri. In finale lo porta a 7,87 metri.

Owens risponde. Prima con 7,94 metri e poi, realizzando il primo salto oltre gli 8 metri mai visto ai Giochi. 8,06 metri. Strabiliante.

Jesse vince la medaglia d’oro.

Luz gioisce sinceramente della vittoria del rivale, regalando a lui e al mondo intero un grande sorriso.

Nasce così un’amicizia coraggiosa e potente, sotto gli occhi del Führer.

L’abbraccio e il legame tra Luz e Jesse resistono al tempo e all’odio.

I due amici continuano a scriversi, a non perdersi, a coltivarsi, fino alla morte di Luz.

E la loro amicizia è arrivata intatta anche a noi. Oltre quei giorni berlinesi, che hanno segnato un’epoca, premiando un atleta e incoronando il coraggio di un uomo.

Kai Long, il figlio di Luz, raccontò che il numero due del regime, Rudolf Hess, gli disse: “Non si permetta mai più di abbracciare un nero!“.

C’è voluto molto coraggio per lui per fare amicizia con me davanti a Hitler. Potresti fondere tutte le medaglie e le coppe che ho, ma non renderebbero più dorata l’amicizia a 24 carati che ho provato per Luz Long in quel momento. Hitler deve essere impazzito vedendo che ci abbracciavamo”.

Jesse Owens

Durante la premiazione del salo in lungo, a essere issata al pennone più alto non è stata la bandiera statunitense, ma l’emblema stesso dell’amicizia. E non ha mai smesso di sventolare quell’ideale. A imperitura memoria, ricordando a tutti noi cosa significhi essere “amico”.

amicizia
amicizia

Una mattina di settembre del 1945 Jesse Owens riceve una lettera.

Gela, Sicilia, 13 luglio 1943

Jesse, amico mio, 

qui intorno a me sembra non esserci altro che sabbia, polvere e sangue. 

Ho paura, Jesse, ho paura di morire. Non rivedrò più mia moglie e il mio bambino. Non ho fatto quasi in tempo a conoscerlo e lui non avrà nulla da ricordare di suo padre. 

Sento che questa potrebbe essere l’ultima lettera che ti scrivo. 

Se così fosse, una cosa voglio chiederti. A guerra finita – perché prima o poi io spero che tutto questo orrore potrà finire – ti prego di andare un giorno a casa mia, ad Amburgo. Cerca mio figlio e raccontagli di me, di chi sono stato. E raccontagli della nostra amicizia più forte della guerra. 

Tuo fratello Luz

amicizia
amicizia

Jesse, quella mattina del 1945, leggendo una lettera scritta due anni prima, promette a se stesso e all’amico fraterno di andare a trovare quel bambino che così poco sapeva del padre.

E ci riesce, nell’estate del 1951. In quegli anni, tra mille difficoltà, Jesse Owens aveva trovato da vivere facendo il preparatore atletico degli Harlem Globetrotters. In occasione di una delle loro trasferte in Europa, Jesse arriva in Germania e ad Amburgo incontra Aki, che ha dieci anni.

Aveva la stessa faccia di Luz, lo stesso sorriso. Passammo qualche ora insieme, a passeggiare lungo i canali della Fleet. La madre gli aveva raccontato di Luz e della nostra amicizia nata all’Olympiastadion, tanti anni prima, e poi continuata nelle lettere che ci mandavamo. Avevo portato con me l’ultima lettera di Luz. Aki mi disse di non ricordarsi nulla del padre: era troppo piccolo quando partì per il fronte, ma mi disse di aver capito che cosa avevo voluto dire quando un giornalista, alla fine del mio giro di pista d’onore a Berlino, mi chiese quanto tenessi alle mie medaglie olimpiche. Risposi allora che le vere medaglie sono le amicizie: le medaglie col tempo si consumano, le amicizie no”.

Così Jessi Owens racconta l’incontro con Aki Long, figlio del suo defunto amico.

La finale del Salto in lungo. Giochi Olimpici di Berlino, 1936. Luz e Jesse.

Nel 1941 Luz Long fu arruolato come istruttore sportivo nella Wehrmacht. Fu ucciso a trent’anni durante lo sbarco in Sicilia degli alleati, passato alla storia con il nome di Operazione Husky. Dal 1961, la sua salma è tumulata nel cimitero militare germanico di Motta Sant’Anastasia, vicino Catania.

Nel 2000, il suo gesto di aiuto a un rivale, in quel 4 agosto 1936, è stato celebrato dal Comitato Olimpico Internazionale, CIO, come esempio di pace e fratellanza tra i popoli.

Jesse Owens ai Giochi di Berlino, sotto gli occhi di Hitler, vince ben 4 medaglie d’oro. Nei 100 metri dove stabilisce il record mondiale con 10,3”. Nei 200 metri segnando il record olimpico in 20,7”. Con la staffetta 4 x 100 fissando il record mondiale in 39,8”. E appunto nel salto in lungo, con il record olimpico di 806 cm. Hitler non gli stringe la mano, se ne era andato prima dallo stadio. Nemmeno Roosevelt però decide di incontrarlo, quando il campione statunitense rientra in Patria.

Il lampo d’ebano, come molti giornali l’avevano ribattezzato, è morto di cancro ai polmoni all’età di 66 anni a Tucson, in Arizona, il 31 marzo 1980. E nel 1984, alla sua memoria, è stata intitolata una strada di Berlino.

La storia di Luz Long e Jesse Owens continua a essere rievocata e raccontata, non solo dai familiari di questi due grandi atleti, che si sono resi garanti e promotori della memoria dei loro cari e di un’epoca, ma anche da tutti coloro che vedono in questa amicizia un simbolo potentissimo, contro ogni odio e discriminazione.

Quanto può essere importante un sentimento d’amicizia vera e a cosa può resistere?

Luz Long sembra aver risposto, senza rendersene conto, a entrambe le domande, dimostrando quanto sia possibile essere amici, nonostante guerre, barriere razziali, divisioni ideologiche e distanze geografiche. Nonostante la fine della vita terrena.

L’amicizia, quel valore determinante per un essere umano. Quel qualcosa di eterno, che non nasce e non muore, ma vive all’infinito dentro ognuno di noi. Una delle esperienze più preziose che l’esistenza possa offrirci.

Un sentimento talmente puro e alto che, a descriverlo, sembra quasi irreale. Il senso del condividere gioie e sofferenze, senza invidie o gelosie.

Che gran fortuna avere un amico e essere amico! Avere la nostra persona, quella con cui non c’è bisogno di spiegarsi per capirsi, che non ti chiede di cambiare, non giudica le tue azioni e allo stesso tempo ti fa notare se stai prendendo una strada sbagliata. Quell’essere talmente speciale per noi, che non è un nostro clone o sosia, ma il nostro completamento, con cui non esiste possesso o gelosia. E a cui confidare pensieri, idee, segreti, e chiedere aiuto senza che lui o lei pretenda nulla in cambio.

Che gran dono l’amicizia, libera e rivolta solo al bene dell’altro.

#IrriducibilmenteLibera

amicizia
amicizia

SEGUI DISTANTI MA UNITE! Sulle nostre pagine social  Facebook, TwitterInstagram e Telegram. E iscriviti alla nostra newsletterTi aspettiamo!

Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *