La scrittura dei medici

La scrittura dei medici

Una delle domande che mi sono sempre posta è: perché i medici scrivono così male?
Sono dalla mia dottoressa che, a guardarla bene, sembra più una di quelle motocicliste supersexy che la domenica se ne vanno sugli Appennini a percorrere le lunghissime lingue d’asfalto – intatto – che abbracciano le pareti delle montagne come pitoni, e mi sono soffermata sulla sua calligrafia. 
Illeggibile. 
Da una ragazza giovane e moderna ti aspetteresti una calligrafia tondeggiante come un muffin, magari anche con i cuoricini al posto dei puntini sulle i. Invece no. Una calligrafia scheletrica, spigolosa, inclinata verso sinistra e senza neanche puntini sulle i.
Ma non era la personalità a definire la calligrafia e viceversa? Qui invece sembra che sia il lavoro a sindacare su come debba scrivere. 
«Allora vai in farmacia e prendi il Prosenol 300. Una prima di pranzo e un’altra prima di cena. A che ora mangi di solito?».
«Mah, dipende… per le 13 e per le 20».
«Va benissimo, me le prendi per una settimana. Poi mi prendi una bustina di Zebador appena sveglia, PRIMA di fare pipì. Anche questo per una settimana e dovresti stare a posto».
Scribacchia qualcosa sul blocchetto delle prescrizioni, ci spiaccica sopra il timbro dello studio con la stessa forza e delicatezza di un tritasassi e me lo porge con un sorriso.
Socchiudo gli occhi davanti al pezzo di carta che mi sta porgendo la dottoressa, lo infilo tra indice e medio, mi alzo e annuisco poco convinta, lanciando occhiate al foglio e a lei, sperando che in farmacia riusciranno a leggere la prescrizione perché già mi sono dimenticata il nome dei farmaci e soprattutto la frequenza con cui devo ingerire quella roba.
C’è sicuramente una spiegazione a questo enigma che la gente cerca di risolvere da millenni, ancor prima che gli stessi medici esistessero, ancora prima dell’invenzione della laurea in medicina chirurgica nucleare veterinaria, chissà se la inventeranno mai. O forse l’hanno già inventata. 

Guardo preoccupata la croce a neon verde la cui scritta “FARMACIA” sfavilla come un’insegna di un night club nel mezzo della piazza cittadina. Mi decido a entrare, sicuramente il farmacista saprà leggere l’affare che ho tra le mani, ne sono certa. DEVE essere in grado di leggerlo.
«Salve, come posso aiutarla?».
Il farmacista, spacciatore abituale di mia nonna, mi sorride amabile al di là del pannello di plexiglass che hanno installato un po’ tutti durante il periodo del Covid e ora, siccome sono costati uno sproposito, continuano a tenerli, anche per evitare di far arrivare dall’altra parte del bancone sputacchi generali.
Gli passo, sotto il plexiglass, il foglio incriminato e lo guardo speranzosa verso la sua capacità di leggere la ricetta. 
«Allora… un Prosenol 300 e un Zebador. Un momento e torno» mi informa, sparendo tra gli scaffali di metallo.
Incredibile. Come ha fatto?? Sento di avere ancora gli occhi sgranati per lo stupore quando torna al suo posto dietro il bancone, e infatti mi guarda stranito.
«Tutto bene?».
«Sì sì… è solo che mi ha sorpreso il fatto che sia riuscito a leggere quei geroglifici».
Si fa una grossa risata prima di rispondere, e impacchetta le due confezioni di cartoncino.
«Ormai ci abbiamo fatto la scorza. È la prima cosa che un professore ci ha detto il primo giorno di università: “Non importa quanto sarà difficile questo percorso di studi: sarà sempre più facile del capire la scrittura dei medici. Gira voce che in Facoltà di Medicina ci sia addirittura qualche studente di primo anno che si allena la notte per scrivere male”». Un’altra risata risuona nella farmacia e mi accodo a lui. «Poverini, io li capisco» aggiunge. «Scrivono così perché costretti a prendere appunti per tantissimi anni in modo veloce e frettoloso, quando ancora non c’erano i computer, la possibilità di registrare le lezioni e sbobinare il tutto a casa con calma».
«La mia è giovane, quindi non è giustificata» mi trovo a dire contrariata. «E allora l’unica spiegazione è dovuta dal fatto che abbia ereditato il gene, in famiglia o in facoltà, come per osmosi».
Un’altra risata condivisa, afferro la bustina e mi defilo: troverò le istruzioni per l’uso sul bugiardino.

#FastidiosamentePaziente

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Federica Fiordalice

Classe 1994, da sempre il suo sogno nel cassetto è scrivere libri e vivere grazie ad essi. A furia di stare con la testa tra le pagine, è finita su DmU per scrivere e provare a imitare i tanti autori che legge. Al momento ancora non ha scritto alcuna pagina, ma gli scaffali di casa sua continuano ad accumulare libri in attesa di essere letti. Scout per la vita, tra le sue passioni troviamo la corrispondenza cartacea, collezionare cartoline da tutto il mondo e la sua bignè a quattro zampe di nome Wendy. Figlia di Tosca Tassorosso e Durin, capostipite dei Nani tra le file di Tolkien. Dolce, paziente, un po’ stacanovista (a giuste dosi), perfezionista (q.b.). Maneggiare con cura: potrebbe rifilarti freddure di punto in bianco come strategia di difesa.

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