Pino Daniele, note a margine

Pino Daniele, note a margine

Gennaro Di Biase si è domandato tante volte quale fosse la verità cantata da Pino, quella che tutto il mondo conosce ma Napoli no e viceversa

Gennaro Di Biase, giornalista e scrittore nato a Napoli dove vive e lavora presenta il suo nuovo libro “Pino Daniele, note a margine”, riflessioni sul cantante sull’arte e sulla napoletanità di Giannini editore.

Come nasce quest’opera?

Ho scritto questo libricino durante il periodo del covid. È una critica letteraria di 11 canzoni, grandi successi di Pino Daniele, come “Na’ tazzulella ‘e cafè”, “Napule è”, “Che male c’è”.

La sua musica apre la finestra sui significati della “napoletanità”. Ci sono tante canzoni che molti ascoltiamo, ma nessuno si è mai interrogato sul loro significato più autentico e profondo.

“Napulè è nu sole amaro”

«”Napule è” non è una critica né un omaggio alla città: è una descrizione fatta per immagini, nuda e cruda, senza fronzoli. L’arrangiamento, invece, è di una dolcezza incontrollata e compassionevole: indora la pillola, bilancia i pesi tra cuore e cervello», scrive Gennaro nel suo libro. La frase più celebre di quell’opera, passata alla storia e cantata in tutto il mondo è “Napule è na carta sporca e nisciuno se ne importa”, ma l’autore concentra la sua attenzione su un’altra rima: “è tutto nu suonno, e a sap’ tutto o munno, ma nun’ sanno a verità”.

Ma qual è questa verità?

Mi sono domandato più volte quale fosse la verità cantata da Pino, quella che tutto il mondo conosce ma Napoli no e viceversa. Ho provato a darmi una risposta analizzando il testo della canzone seguente che Pino Daniele compose nel 1987, “A rroba mia”.

Napoli, nei luoghi che più la caratterizzano, non è propriamente una città ma una casa collettiva – scrive Di Biase – Ai Decumani, ai Quartieri Spagnoli, ai Banchi Nuovi, al Buvero, nei vicoli di San Giovanni Maggiore Pignatelli o al Cavone (dove, rispettivamente, visse e nacque Pino). Napoli snobba l’istituzione della proprietà privata, disconosce la differenza tra pubblico e privato. Tutto è di tutti e niente è di nessuno. Questa incazzatura si traduce in arrangiamento funky, la rabbia viene messa in musica: accordi di chitarra clean, tromba, distorsioni e charleston. Napoli disconosce la verità assoluta del resto del mondo, ha semplicemente la sua verità che gli altri non sanno.

Perché Napoli è così diversa?

Partenope disconosce le gerarchie che dominano tante altre metropoli occidentali. Non esiste il ricco e il povero, la proprietà privata e pubblica, il mio e il tuo.

C’è Napoli, punto.

 Ne “A rroba mia”, Pino Daniele esprime tutta la sua avversione nei confronti della proprietà privata e canta: “I’m just walking in the streets din’t a rroba mia”. Napoli è sua, è mia, è dei napoletani. Al di là di chi si è, da cosa si possiede.

La generosità di Napoli durante il Covid-19

“Chi può metta, chi non può prenda”. In piena epidemia di covid 19 tra i vicoli di Napoli, Pino e Angelo, una coppia di piccoli imprenditori, si erano inventati il “panaro solidale”. Gennaro Di Biase racconta l’episodio in “Pino Daniele, note a margine”, per dare un senso a quel tentativo di ridistribuzione spontanea delle ricchezze, quell’utopia aggraziata tipica di Napoli che fa a pugni col capitalismo.

Il cestino del nuovo mondo

Nel libro si legge: “Nel deserto irreale e pulito del vicolo, il cesto oscillava al vento di primavera grazie a una corda bianca che pendeva da un balcone (…) C’era tutto, nella foto di quel panaro marrone che sfiorava uno dei tanti muri grigi, imbrattati e decrepiti del centro storico.  Quell’oggetto, in quei giorni, facendo il giro d’Italia e del pianeta divenne il cestino del nuovo mondo (…) Un attacco al tardocapitalismo che dice “essere è uguale avere”.

Gennaro Di Biase

“Che male c’è”, l’amore in musica

Mi rivedo molto nei testi d’amore di Pino Daniele. Ha messo in musica l’amore, come pochi sono riusciti a fare. Con sincerità, affrontandolo diversamente nei suoi brani, cosi come noi lo affrontiamo diversamente con il tempo, con il passare dell’età. “Che male c’è” è una canzone di amore positivo, vissuto in pienezza, mentre il “primo Pino” raccontava questo sentimento con senso di perdita, di frustrazione.

Gennaro Di Biase

Cosa ti lega così tanto a Pino Daniele?

Sono nato e cresciuto ascoltando Pino, come tanti. Come Maradona e Trosi. Pino è famiglia. Quando ascolto i suoi pezzi, esce tutta la mia emotività, tocca nell’intimo, nel profondo del cuore.

È come se fosse davvero un parente stretto, un cugino che in latino significa “consolatore”.

Cristina Autore

Giornalista. Nei miei sogni da bambina, quando giocavo a fare le interviste con il Cantatù. Nella testa e nel cuore, quando a 14 anni denunciavo quello che non andava a scuola sul giornale d’istituto. Sulla carta quando, a 21 anni, ho superato l’esame da Giornalista professionista all’ordine. Oggi, da 30enne, vivo di questo mestiere consumando le suole delle scarpe, l’inchiostro delle penne e facendo domande scomode a chiunque. Napoletana trapiantata a Roma da 10 anni. Ho svolto la mia gavetta in oltre 15 testate giornalistiche come Sky, Mediaset e Retesole e, negli ultimi 6 anni, ho lavorato full time a Montecitorio in qualità di addetta stampa per oltre 200 deputati. La mia passione più grande? Confezionare reportage e inchieste televisive. Sono #Naturalmentedeterminata e stacanovista, non per scelta, ma per istinto di felicità. Ho raggiunto alcuni dei miei obiettivi ma i sogni nel mio cassetto sono tanti e sgomitano tra di loro per uscire allo scoperto. Coltivo le mie amicizie con aperitivi e cenette improvvisate. Mi piace ballare da sola in casa con Alexa al massimo volume e nei corsi di gruppo in palestra. Organizzo tanti viaggi e, quando non posso partire, mi rifugio nei documentari Netflix immaginando di stare dall’altra parte del mondo. Amo la cucina e il cibo. Sono campionessa di comfort food, eternamente a dieta. Mi piace conoscermi e migliorarmi. Mi definisco ottimista, caparbia, buona d’animo e folle quanto basta per non arrendermi mai alle insidie della vita. “Ce la posso fare” è il mio mantra. Se fossi un oggetto sarei un martello pneumatico. Un animale, un picchio battente e tenace che scava a fondo la corteccia finché non scopre cosa c’è sotto.

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