Vasco Brondi: “Un segno di vita” per una generazione che sta morendo

Vasco Brondi: “Un segno di vita” per una generazione che sta morendo

“Benjamin diceva che chi esita costruisce labirinti. E io sono un grande esitatore”. Musica e parole di Vasco Brondi.

Ho letto questa frase per minuti interi. Ho lasciato la scrivania, preparato un caffè, coccolato un gatto. Poi sono tornato a sedermi davanti al computer: quella citazione mi attendeva imperterrita. Irritante quasi. Non ho potuto far altro che rileggerla. E in me è esploso un incendio di incredibile serenità. La stessa provata un pomeriggio di una quindicina di anni fa al primo ascolto di La lotta armata al bar.

Allora non ero solo. Nel mondo esisteva qualcun altro come me: un altro essere umano con il quale non avevo condiviso nulla e che, comunque, provava le stesse identiche cose che provavo io. I miei dubbi, le mie paure. I miei tormenti, soprattutto. Ero finalmente riuscito a scovare il mio posto nel mondo, i miei compagni di viaggio. Quelli che ci fregano sempre.

Un segno di vita, il sesto album della carriera di Brondi, il secondo da quando ha smesso di firmarsi come Le Luci della Centrale Elettrica, è il disco della maturità. Artistica e umana. E’ il disco dei ventenni divenuti quarantenni senza accorgersene. E’ l’opera di chi ha vissuto più di quanto gli rimane e che si avvia verso la parabola conclusiva della propria esistenza senza aver di fatto costruito nulla. O, comunque, niente di saldo, nulla che ti dia l’idea di essere stabile, durato, eterno. Tutto è precario nelle nostre vite: non solo i lavori. Tutto è prossimo alla distruzione.

E allora, invece di muoverci con circospezione e delicatezza per cercare di preservare questo equilibrio instabile, noi acceleriamo. Ci affidiamo allo Hybris: sfidiamo gli dei. Bruciamo tutto e tutti. Ci prendiamo, ci lasciamo, cambiamo occupazioni, gruppo di amici, nazioni, forma. Forse addirittura modo di pensare. Ci trasciniamo in questo coma adolescenziale che sembra non finire mai. Prendiamo a schiaffi tutto quello che la vita ci propone. Come gatti annoiati (ed egocentrici per dirla alla maniera di Vasco) colpiamo i bicchieri poggiati sul tavolo, per il solo piacere di vederli precipitare. Ché se deve esplodere tutto, almeno accadesse in fretta. Siamo stanchi di disegnarci addosso dei giubbotti antiproiettile.

Un segno di vita è l’album che racconta una generazione che sta morendo senza aver praticamente vissuto. L’album dedicato a chi è ai margini, fuori contesto. Sempre. Privo delle possibilità e del benessere dei propri genitori. Senza il tempo e la statistica dei propri figli. Il successo e la serenità gli sono negati. Per destino e probabilmente anche per scarsa capacità di applicazione e comprensione del Sistema. Tutto è un’eccezione. Persino Brondi. Perché a distanza di tre lustri dall’uscita di Canzoni da spiaggia deturpata, tra i 50 migliori dischi di sempre per Rolling Stones e sicuramente tra le pietre miliari dell’indie italiano, Vasco continua a rimanere un miracolo.

Simile a un bombo che per dimensioni e peso non potrebbe volare, il cantautore di Ferrara seguita a conquistare la testa delle classifiche e far registrare continui sold out, proponendo canzoni quanto più lontane dall’idea di vendibilità e di mercato.

Atmosfere rarefatte, racconti onirici, strofe prive di rime o comunque di ritornelli tormentoni. Che cosa tiene in auge Brondi? Probabilmente quello che trasforma un libro da opera a capolavoro: la maturazione dei personaggi. Vasco non è più l’urlo sgraziato di Per ora noi la chiameremo felicità. Ha una voce più definita, armonica. Addirittura più dolce. Messe fuori fuoco la frustrazione e la disperazione, sempre all’interno del quadro ma non più in primo piano, sono due gli elementi che spiccano maggiormente in Un segno di vita: le fiamme e la speranza. Le prime bruciano, illuminano e spaventano gli altri. L’altra, quasi sconosciuta nelle prime produzioni di Brondi, intenerisce senza, però, concederci di credere ciecamente nel futuro.

Arrivano i nostri (anche se non arrivano i nostri). Lo so che volevi scriverlo, perché non lo hai fatto?

Forse le catastrofi sono finite. Però sai Vasco, a me un po’ dispiace.

Gabriele Ziantoni  #DisperatamenteMalinconico

SEGUI DISTANTI MA UNITE!

Sulle nostre pagine social  FacebookTwitterInstagram e Telegram.

Gabriele Ziantoni

Giornalista per hobby, polemico per professione, speaker per necessità. Gabriele Ziantoni nasce a Marino, un piccolo paese in provincia di Roma, il 12 dicembre 1983. Solitario, testardo e vagamente intollerante, vive con una penna in mano e un foglio bianco davanti agli occhi fin da quando ne ha memoria. Dopo varie esperienze nel campo del giornalismo, soprattutto sportivo, dal 2011 affronta in maniera ondivaga il rapporto con il suo secondo amore dopo la scrittura: quello con la radio. Direttore Artistico di New Sound Level 90 FM, ha all’attivo tre libri: “Un secondo dopo l’altro” (L’Erudita, 2017), “Nonostante tutto” (L’Erudita, 2019) e “Rudi Voller. Il Tedesco Volante” (Perrone, 2020).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *