Sangue loro: il nuovo podcast di Pablo Trincia

Sangue loro: il nuovo podcast di Pablo Trincia

La stagione degli attentati di matrice mediorientale a Roma

Sangue loro: il ragazzo mandato a uccidere.

Pablo Trincia, scrittore e voce narrante, ci guida alla scoperta del suo nuovo podcast originale di SKY Italia e SKY TG24 realizzato da Chora Media. Da un’idea di Luca Lancise.

Un viaggio che mi ha insegnato a giudicare il meno possibile. A sospendere il giudizio.

Pablo Trincia

Una storia oscura. Sepolta. Dimenticata.

Israele, la Palestina, Roma. Gli attentati, il sangue, le bombe, la paura. La morte come costante protagonista. La lotta armata. Gli ideali che esplodono. Le urla. E poi il silenzio.

Né vincitori né vinti. Vite spezzate dalla violenza. Famiglie decimate. Domande senza risposta.

Una delle cose più difficili e complesse, realizzando un podcast come #SangueLoro è stato raccontare chi sta dall’altra parte, chi sta dalla parte “del male”. Ecco perché la testimonianza di Hassan, uno dei protagonisti di questo podcast, è così importante nel percorso di questa storia. Perché è importante sia mettersi nei panni delle vittime, che in quelli di chi si macchia di un reato.

Pablo Trincia

Sono gli anni Settanta e Ottanta.

Roma vive una stagione oscura. Vittima, non unica in Europa, di una serie di attacchi terroristici di matrice mediorientale.

Dietro l’organizzazione degli attentati, gruppi palestinesi che intendono richiamare l’attenzione sul conflitto in corso con lo Stato di Israele.

1973: aeroporto di Fiumicino. Trentadue vittime.

1982: sinagoga di Roma. Quaranta feriti. Un bimbo ucciso.

1985: ancora l’aeroporto di Fiumicino. Stavolta tredici morti. Settantasei feriti.

Da qui, da questo episodio, inizia il racconto di “Sangue loro” che ci catapulta sulla scena dell’attentato sanguinoso e brutale avvenuto per mano di quattro terroristi. Tre di loro vengono uccisi da agenti di sicurezza israeliani che lavoravano nel terminal per conto della compagnia El Al. Il quarto uomo, il 18enne Khaled Ibrahim Mahmoud, è invece catturato, ferito ma vivo, dalla polizia italiana. Sarebbe dovuto essere lui il protagonista del podcast. Ma la sua morte, nel 2021, appena all’inizio del meticoloso lavoro avviato da Trincia e Lancise, ha cambiato le carte in tavola.

Pablo Trincia, autore del podcast Sangue loro

Inizialmente, mi racconta Pablo, questa situazione ha pesato e non poco, perché ovviamente eravamo partiti con un’altra idea e cioè di raccontare e ricostruire l’attentato di Fiumicino.

Morto il testimone principale di quella strage, l’attenzione dei due autori si rivolge ad un altro capitolo della storia sanguinosa di quell’anno nella Capitale.

Prima dell’attentato di Fiumicino, il centro di Roma era stato colpito da una serie di attacchi terroristici.

Il triangolo delle bombe

Siamo nel cuore nevralgico della città. Tra via Veneto, via Barberini e via Bissolati. Una zona ribattezzata in quel periodo “triangolo delle bombe”, sede di molte ambasciate e di alcune tra le più importanti compagnie aeree.

Le azioni sono molto ravvicinate. Il primo attentato avviene il 21 marzo, contro la compagnia di bandiera delle linee aeree giordane. Dopo pochi giorni viene colpita la vicina sede delle linee aeree siriane. Il 3 aprile l’assalto all’ambasciata giordana. A seguire, il 16 settembre, la scena si ripete al Café de Paris di via Veneto.

9 giorni dopo, il 25 settembre, un altro boato. Una bomba viene lanciata nella sede della British Arways di via Bissolati, a Roma. A lanciare l’ordigno un ragazzino di soli 15 anni, mandato in Italia con lo scopo di uccidere e seminare il terrore.

La vittima è Raffaella Leopardo, l’attentatore è Hassan.

Conosciamo Hassan al funerale di Khaled Ibrahim Mahmoud, l’attentatore fino a quel momento superstite di Fiumicino, mi spiega Pablo.

Ed è così che il corso del racconto di “Sangue loro” prende un’altra direzione.

Quando abbiamo iniziato a registrare non avevamo un finale. Avevamo un’idea di storia. Ma un racconto seriale ha bisogno di una fine. E quella fine non c’era. Ma noi volevamo provarci comunque. Quando uno dei protagonisti che avevamo deciso di intervistare è morto ci siamo resi conto che avendo la testimonianza di Hassan, così aperto e disponibile a raccontarsi (nonostante a volte non sia stato semplice metterlo davanti a un microfono) avevamo comunque abbastanza materiale per portare avanti il racconto seppur in maniera diversa. D’altronde, quando incontri una difficoltà non puoi mollare subito, devi prima vedere se comunque la storia la puoi portare avanti. E noi così abbiamo fatto. Siamo riusciti a deviare il corso della narrazione e a costruirne un’altra secondo me altrettanto valida.

Tre anni di lavoro. E un grande atto di coraggio e di incoscienza allo stesso tempo.

È sempre un azzardo lanciarsi in un progetto senza avere un finale, senza sapere se troverai effettivamente i protagonisti, in questo caso le vittime, fondamentali per la realizzazione del lavoro, mi confida Pablo Trincia. Solitamente si cerca, in primo luogo, di reperire le testimonianze. Ma non sempre è possibile avere tutto pronto subito. Eravamo coscienti che il racconto di Hassan da solo non sarebbe bastato. Ci sarebbe voluta la controparte, la prospettiva di chi ha subito quegli attentati. Siamo stati fortunati e l’abbiamo trovata: Daria Bove, la figlia di Raffaella Leopardo, unica vittima dell’attentato del 25 settembre.

Dalle parole dell’autore è evidente come la difficoltà principale, nel realizzare un lavoro di approfondimento come quello proposto, sia sempre quella di trovare in primis i protagonisti, convincerli a parlare, a raccontarsi, mettersi a nudo.

Perché poi nel momento in cui hai loro disponibilità, si tratta di un lavoro principalmente di scrittura che, ovviamente, richiede un sforzo per trovare le parole giuste, per cercare di evitare forzature o scelte che ti facciano sembrare insensibile o poco corretto.

Quando ho iniziato l’ascolto del podcast mi sono sentita un po’ spaesata. Ho vissuto tanti anni a Roma eppure mai ero stata realmente cosciente del fatto che negli anni in cui ero piccola (nel 1985 avevo quattro anni) proprio la Capitale d’Italia era stata il teatro di una serie così sanguinosa di attentati. Men che meno che l’attacco all’aeroporto di Fiumicino avesse provocato così tanti morti.

Solo quando ho intervistato Pablo Trincia ho dato un significato a questa mia sensazione.

È una sorta di buco temporale, mi spiega. Una stagione che abbiamo rimosso e che, a differenza di altri eventi traumatici, per qualche assurdo motivo non viene ricordata, non viene celebrata. Sembra essersene persa la memoria. Non ti so spiegare il perché ma purtroppo i giornali ad un certo punto hanno smesso di parlarne, trattandola come fosse una parentesi confinata nel passato. Nonostante il numero di vittime. È proprio una stagione dimenticata. Forse anche perché a Fiumicino sono morti molti stranieri e quindi nonostante la strage sia avvenuta in Italia la maggior parte dei morti non erano italiani e probabilmente per questo motivo l’evento, seppur così sanguinoso, non è stato legato alla memoria nazionale.

Chi è Hassan

Nel 1985 Hassan è un ragazzino di soli 15 anni. Viene dalla Palestina ed è uno dei tanti bambini soldato costretto a crescere tra la paura delle bombe e la familiarità con le armi. Con un unico obiettivo: la sopravvivenza e il ritorno a casa, prima o poi. Quella casa da cui è stato bandito, allontanato, espatriato.

Seguendo le orme di suo padre, Hassan già dalla fine delle scuole elementari diventa un giovane combattente dell’OLP (Organizzazione per la liberazione della Palestina).

La sua infanzia e adolescenza trascorrono da un campo profugo all’altro, finché un giorno non viene fatto prigioniero e poi reclutato dall’organizzazione terrorista di Abu Nidal.

Il primo ad avere contatti con Hassan è Luca Lancise, co-autore del podcast “Sangue loro”. Fin dall’inizio Hassan si è dimostrato “gioviale e loquace”, racconta Pablo Trincia.

I suoi racconti sono molto precisi, veritieri, confermati dai libri di storia, dagli articoli di giornale, dalle informative dei servizi segreti.

Ed è così che la narrazione prende forma e vita, particolare dopo particolare.

Con una dovizia di particolari che ti fa vivere, come fossi lì, quella paura, quel dolore, quel senso di insicurezza, di precarietà.

Il racconto deve essere sempre cinematografico, fatto di immagini e di dettagli perché solo così lo rendi effettivamente vivido. Con i dettagli, con i colori, con gli odori, con le sensazioni: la paura, l’angoscia, l’ansia. Altrimenti diventa un racconto piatto e non vivo. È un po’ come essere l’architetto della mente dell’ascoltatore: bisogna costruirgli intorno un mondo, farglielo vivere, farlo sentire dentro la storia.

Così improvvisamente ti ritrovi nella mente di Hassan, in ciò che passa per la sua testa quando lancia un ordigno sapendo di causare morte e distruzione. E allo stesso tempo piangi lacrime amare insieme a Daria, innocente vittima collaterale, privata dell’opportunità di crescere con sua mamma, la cui unica colpa è stata quella di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Di Daria mi ha fatto impressione una cosa, mi confida Pablo Trincia. Non pensavo che questa serie potesse avere un effetto così benefico sulla sua vita. È la forza della condivisione, per quanto difficile e dolorosa.

Già, perché la vera originalità di questo podcast, a mio avviso, è la capacità rara, di darti una doppia visione dello stesso episodio. Una prospettiva che ti permette, in maniera istintiva, di percepire la complessità dell’animo umano delle varie parti coinvolte.

Il tutto mentre il conflitto israelo-palestinese vive una nuova stagione di sangue.

Siamo usciti con questo podcast in un periodo storico molto difficile, per cui non sapevamo come sarebbe stato preso. Se molte persone si sarebbero arrabbiate, se avrebbero provato magari a sabotarlo mettendo in giro la voce che non andava sentito, che era un brutto lavoro, o sbagliato. In realtà è stato compreso abbastanza universalmente da tutti, insegnandomi che quando c’è l’elemento umano all’interno di un racconto quell’elemento vince sempre sulla politica, sull’ideologia, sulla rabbia, su tutto.

Un podcast, Sangue loro, da cui Pablo Trincia ha tratto un grande insegnamento:

Ho imparato, ancora una volta, a fare un passo indietro prima di giudicare. E che si possono davvero superare l’odio e la rabbia, ma ci vuole un esercizio di comprensione immenso. È difficile, ma non impossibile.

Perché non possiamo vivere la vita di un’altra persona al posto suo, non possiamo comprendere tutto ciò che ha provato nelle varie esperienze che ha vissuto, non possiamo vedere la vita esattamente dal suo punto di vista. Possiamo soltanto provare a comprenderla.

Sospendere il giudizio.

Prima di giudicare la mia vita o il mio carattere, mettiti le mie scarpe, percorri il cammino che ho percorso io. Vivi i miei dolori, i miei dubbi, le mie risate. Vivi gli anni che ho vissuto io e cadi là dove sono caduto io. E rialzati come ho fatto io. Ognuno ha la propria storia, E solo allora mi potrai giudicare.

Luigi Pirandello

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Pablo Trincia è autore, oltre che di “Sangue loro” anche di altri podcast di successo. Qui abbiamo raccontato il suo “Dove nessuno guarda, il caso Elisa Claps”

Elisabetta Mazzeo

Elisabetta, classe 1981. Ogni 18 anni un cambiamento. Prima la Calabria, poi Roma, ora Zurigo. Domani chissà. La mia sfida quotidiana? Riuscire nell’impresa di essere contemporaneamente mamma, moglie, giornalista, scrittrice e ora anche blogger. Ore di sonno: poche. Idee: tante. Entusiasta, curiosa, caparbia, sognatrice. Scrivere è un’esigenza. Una lunga gavetta nei quotidiani e nelle tv locali, poi l'approdo come inviata di Sport Mediaset. Non ho dubbi: il mio è il mestiere più bello del mondo. Una passione prima che un lavoro. Oggi ricopro l'inedito ruolo di vicedirettore a distanza di Retesole, l’emittente che mi ha visto crescere umanamente e professionalmente. Divoro libri e due li ho anche scritti, mi nutro di storie di sport, ma non solo. Scatto e colleziono foto, mi alleno quanto basta per non sentirmi in colpa e in compenso macino chilometri armata di scarpe da ginnastica e passeggino. L'arrivo delle mie due figlie ha rimodulato le priorità della mia vita. E adesso è con loro e per loro che continuo a mettere le mie passioni in campo. #CaparbiamenteSognatrice

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