Vite sospese: la quarantena vista dai nostri anziani

Vite sospese: la quarantena vista dai nostri anziani

Avere più di 90 anni nel 2020 non è facile, noi vecchi non sappiamo stare a passo con i tempi, non conosciamo nessuna serie TV, la tecnologia per noi è ferma alla tastiera della mia fisarmonica, nonostante viviamo in un casa di riposo, facciamo pur sempre parte della storia di ognuno di voi. È un po’ come se tutto, oltre a fermarsi, smette completamente di esistere.

Non era molto chiaro quanto stesse accadendo fuori, almeno non per tutti. Perfino le notizie del telegiornale venivano interpretate erroneamente. Rocchina, Orlanda e Giuseppa, insieme formano il trio delle valchirie. Tre donne un solo cervello, più ammalianti delle sirene di Ulisse, più astute di Cleopatra, più coraggiose delle amazzoni.

Rocchina, 94 anni, ha una bronchite cronica dal 2000, affetta da retinite pigmentosa vede solo ombre e sagome, ma gli altri sensi funzionano bene, riesce a riconoscere chiunque a 100 metri di distanza, ne fiuta la presenza, soprattutto se si tratta di qualcuno che non sopporta. È l’unica a possedere due deambulatori per facilitare la camminata, un girello di quelli normali in alluminio con le ruote sottili per le passeggiate della domenica mattina e per la messa del giovedì, l’altro, invece, è un mezzo gommato simile a un Hummer americano, capace di asfaltarti passandoti sopra.

Giuseppa, 90 anni, il braccio destro di entrambe, vista e orecchie sviluppate, è la sentinella. Ha un deambulatore ordinario, senza braccioli, lo impugna direttamente con le mani. Si è fatta montare sopra anche un seggiolino rialzato, quando si apposta riesce a vedere meglio, conosce i movimenti di ognuno e i segreti più remoti di ospiti e personale.

Orlanda, 92 anni, la mente geniale. Il suo deambulatore, dicono sia stato forgiato da Efesto in persona, il suo non è un girello, bensì un banco degli attrezzi, possiede davvero tutto, comprese strane piante ornamentali, dicono sia la regina delle erbe e delle spezie.

“Hai sentito?” esordì Rocchina rivolgendosi a Giuseppa intenta a girarle il caffè, “non si può uscire, dobbiamo stare dentro.” “E’ una vera disgrazia!” commentò l’altra porgendole il bicchiere.

“Quanto siete ridicole voi due. Ma di cosa vi lamentate? Sono anni che state chiuse qua dentro” aggiunse Orlanda che nel frattempo aveva inserito una moneta nel distributore delle bevande.

“Eh! Io ho sentito da fonti certe che se usciamo fuori da qui, ci ammaliamo” continuò Giuseppa a voce bassa.

“Brutta! Brutta! È veramente brutta questa influenza. Roba moderna”, disse amareggiata Rocchina. 

“Hai visto che stanno tutti con le mascherine?” riprese Giuseppa mentre si guardava intorno, ”dentro o fuori è la stessa cosa, moriremo comunque. È l’aria ad essere inquinata. Hanno liberato gas nocivi che piano piano distruggeranno il pianeta”

“Ah! Newton e Keplero, ma guarda tu che fortuna” ridacchiò Orlanda estraendo il bicchiere di caffè dallo sportellino, “ho come amiche le più intelligenti e non lo sapevo” 

“Tieni! mi è passata la voglia”  aggiunse porgendo il bicchiere a Giuseppa “bevilo tu per me!” ordinò mentre usciva fuori per dirigersi verso il giardino.

“Quella donna non ha paura di niente” mormorò Giuseppa

“Sì! È vero, ma io sono più grande di lei di due anni” asserì Rocchina.

“E cosa vuol dire?”

“Vuol dire che col cazzo mi siedo di nuovo vicino a lei. Vuole campare più di me, ma non ha capito che io non mi faccio alitare addosso da nessuno.”

“hai ragione. Vorrà dire che anche a cena staremo solo io e te allo stesso tavolo”

“non ci pensare nemmeno” sbottò Rocchina “hai bevuto dal suo stesso bicchiere, perciò non ti avvicinare oppure chiamo le autorità” farfugliò allontanandosi verso la sua stanza.

Il giardino, fuori, occupa più della metà dell’intera area che circonda la struttura. È un posto davvero incantevole, una macchia di verde in un cuore di cemento. 

“Ciao Michele” intonò Orlanda diretta al suo luogo di conforto.

“zia Orlanda. Buongiorno” rispose il ragazzo seduto sulla panchina in pietra addossata alla cancellata della struttura, alzando gli occhi dal telefono che stringeva tra le mani.

 “va tutto bene?” chiese in tono materno.

“si! Si! Tutto bene grazie” rispose forzando un sorriso gentile.

“Sarò vecchia ma un muso lungo lo so ancora riconoscere”

“Scusa” si strinse nelle spalle ”non volevo mancarti di rispetto”

“Penso che mi fermerò qui ancora qualche minuto. Non ho niente da fare. Ti ascolto!”

“è difficile!”

“cosa?”

“l’amore! È difficile. Soprattutto quando è distante”

“perché pensi questo?”

“perché ti accieca, ti sovrasta. Metti l’altra persona al centro di tutto il tuo mondo. Fai progetti, costruisci sogni. E poi arriva questo maledetto virus dal nulla che ti impedisce di fare qualsiasi cosa. E con lui crollano quelle che pensavi fossero le tue certezze.”

Orlanda intrecciò le mani tra loro e le posò dolcemente sulle sue gambe.

“è trascorsa appena una settimana. E non so quanti giorni dovrò stare senza vederla.  Non so nemmeno perché ti dico tutto questo” aggiunse Michele mettendosi in piedi allontanandosi di pochi passi.

“ho perso due figli e un marito” esordì Orlanda

Michele si bloccò dandole le spalle.

“non è mai facile perdere qualcuno che ami. Non è mai il momento giusto.” A quelle parole Michele si voltò verso la donna, la vide ancora seduta sulla panchina, mentre con occhi lucidi lo fissava.  

“mi dispiace” ammise tornando a sedere al suo fianco.

“No. Non è vero. Non può dispiacerti. Non fraintendere, non dico che tu menta. Tu non hai provato il mio dolore, non puoi conoscerlo, e di conseguenza non può dispiacerti. Probabilmente ti fa male l’idea che hai sulla morte, tuttavia, non sai cosa può significare perdere una delle gioie più belle che solo la vita sa regalarti. È strana l’esistenza, un attimo prima sei al massimo della felicità, un attimo dopo la sofferenza ti divora da dentro. Capisci di essere impotente, inutile. Tu non comandi nulla, non possiedi nulla se non te stesso, e probabilmente nemmeno quello, dal momento che il tuo corpo lo seppelliscono  insieme alla terra. La vita andrà avanti comunque, che tu riesca a prendere o meno il biglietto giusto per continuare il cammino.”

Orlanda si voltò verso il ragazzo, Michele pareva assai turbato da quanto aveva ascoltato, mise una mano sulla sua spalla e aggiunse “ho già parlato troppo, adesso tocca a te. Cosa ti fa star male?” 

“non lo so. Ti sono sincero. È come se fossi turbato da qualcosa, preoccupato nell’essere costretto a non poter vedere la ragazza che amo”.

“non vederla non significa che non esiste più.”

“lo so, ma è complicato”.

“cosa è complicato? Vederla attraverso un telefono? Sei anche fortunato ad esistere in questo momento tecnologico. se ti poni dei limiti è ovvio che sia complicato, guarda oltre, non fissarti sul problema.”

“si! hai ragione. Mi creo solo problemi” ammise .

“È normale che la tua mente viaggi senza fermarsi mai. Sono solo brutti pensieri. Prima lo capisci, meglio sarà per te. Tieni a bada le malelingue della tua testa”

“Grazie per avermi ascoltato”

“Chiamala se ti manca! Vedrai che la distanza si accorcerà notevolmente” disse alzandosi dalla panchina per poi allontanarsi verso la porta d’ingresso…

continua…

Michele Ungolo

ndr: Michele ha condiviso con noi un estratto del suo libro. Ci ha aperto le porte del suo mondo facendoci entrare con quel rispetto che si deve alle storie in divenire e che capitolo dopo capitolo stanno prendendo forma. I protagonisti sono i nostri nonni, quella generazione che più di tutte ha dovuto arrendersi alla strapotenza del virus. Quelli che: “tanto colpisce solo gli anziani”. Con quel “solo” che fa rabbia se pensiamo che loro sono la nostra memoria, i nostri ricordi. Un pezzo di cuore che rivive in ognuno di noi, anche quando non ci sono più.

distantimaunite

Magazine digitale di intrattenimento. #unpezzoallavolta selezioniamo storie e interviste per raccontarvi il mondo, a modo nostro. "Non chiederci perché siamo uguali, scopri perché siamo diverse".

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