La sfida del rispetto

La sfida del rispetto

Inizio questo articolo con una doverosa premessa: qui si parla di razzismo. E di come può sembrare semplice insegnare ai nostri figli questa parola. Il suo significato, le sue mille sfaccettature e, nel contempo, trovare noi genitori le parole giuste per chiarire il concetto senza usare parole razziste.

Mi spiego meglio con un esempio. Quattro anni fa, quando ci siamo trasferiti a Ginevra, Giulia, allora 4enne, ha iniziato a frequentare l’asilo dove, come accade ormai dappertutto, c’erano bambini che venivano da ogni parte del globo. Un giorno stavamo passeggiando al parco e, ad un certo punto, Giulia inizia a dire che ha paura e vuole andare via. Così, improvvisamente. Allora le chiedo “Che succede”? E lei mi indica con la manina una famiglia, padre, madre e due figli che stavano allegramente giocando con la palla. La famiglia in questione era di colore. Giulia mi dice che ha paura perché sono neri.

Io e mio marito ci guardiamo basiti, allucinati, non sapevamo cosa dire. Come era possibile che la bambina avesse detto una frase del genere? Mai e poi mai in casa erano stati fatti discorsi di questo tipo, figuriamoci! Con calma e cercando di trovare le parole giuste, abbiamo cercato di spiegare a Giulia che ci sono persone che hanno colori differenti di pelle. Che sono nati così e che non c’è alcuna differenza con chi ha la pelle bianca. Però, mentre glielo spiegavo ho dovuto inserire la parola “nera” e questa cosa mi ha dato enormemente fastidio. Perché non trovo giusto usarla, perché una cosa del genere dovrebbe essere naturale da comprendere senza spiegazioni. Ma avevo di fronte una bambina di quattro anni che mi ha ulteriormente spiazzato dicendo: ” Che vuol dire quando dici di colore“?

Ho pensato e pensato tanto a come spiegare ad una bambina che avere un colore diverso di pelle (diverso da chi, poi), che la diversità, ad esempio fisica, (“mamma, perché quella bambina si muove su una sedia con le ruote e non cammina come noi”?), non sono elementi che trasformano le persone in “brutti & cattivi”. Ma la cosa su cui mi sono soffermata è: come diavolo è entrato nella testa della bambina un concetto del genere?

Così ho iniziato a pensare: la ninna nanna cantata da piccola dove c’è la frase ” …questa bimba a chi la do, la darò all’uomo nero che la tiene un anno intero…”, mannaggia a me e ai retaggi dell’infanzia, ho pensato! Devo dire che poi la ninna nanna l’abbiamo modificata subito, inserendo i nomi di nonne, zie e cugine, cercando di fare con ognuna una rima che avesse senso.

Analizzando gesti, comportamenti, parole, avute con Giulia non ho trovato nulla, niente di niente, che mi potesse incolpare di una frase del genere. Ammetto che poi la paura di Giulia è sparita da sola: il perché di quella frase al parco per me rimarrà sempre un mistero.

Ricordo che quando ero piccola a me, la spiegazione del diverso, del bianco e del nero, non l’ha fatta mai nessuno. E’ stato naturale, senza bisogno di spiegazioni particolari. I miei genitori mi hanno insegnato il rispetto in tutte le sue sfaccettature con i loro gesti e il loro comportamento.

I nostri gesti sono importanti e lo diventano ancora di più quando siamo genitori.

Negli ultimi tempi, mi sono detta però che qualcosa deve essere andato storto di brutto per la nostra generazione. Vedo poliziotti bianchi che se la prendono con afroamericani, agendo più duramente rispetto ai bianchi; vedo frasi irripetibili scritte sotto la foto di un ragazzo morto perché voleva solo difendere un suo amico dalle botte di un gruppo di delinquenti; vedo l’avvocato di questi ragazzi che sembra abbia affermato: “…in fondo che hanno fatto. Solo ucciso un extracomunitatrio”.

Proteste negli Stati Uniti dopo la morte di George Floyd.

Mio Dio, è spaventoso. Ma in quale esatto momento ci siamo persi?

Non c’è niente di facile ad insegnare ai nostri figli. Sembra facile, ma non lo è.

Ecco, fatemi un favore voi che siete ancora in tempo: fate attenzione ai vostri gesti. Alle vostre parole, al vostro comportamento. Perché i bambini, i vostri e nostri figli ci guardano e ci copiano. Perché se lo facciamo noi allora vuol dire che è giusto. Interveniamo per correggere frasi e comportamenti visti da altri. Perché i bambini di oggi saranno gli adulti di domani e non possiamo permetterci altre generazioni di stupidi e ignoranti.

Paola Proietti

Classe '77, giornalista professionista dal 2008. Ho lavorato in radio, televisione e, vista l'età, anche per la vecchia carta stampata. Orgogliosamente romana, nel 2015 mi trasferisco, per amore, in Svizzera, a Ginevra, dove rivoluziono la mia vita e il mio lavoro. Mamma di due bambine, lotto costantemente con l'accento francese e scopro ogni giorno un pezzo di me, da vera multitasking expat.

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