Congedo di paternità, un Sacro Graal accessibile a pochi

Congedo di paternità, un Sacro Graal accessibile a pochi

“Ci sedemmo dalla parte del torto perché gli altri posti erano occupati”. Bertolt Brecht

Quanto mi piaceva questa frase da adolescente.

La ripetevo in continuazione, la scrivevo ovunque. Era un modo di affermare la mia personalità, di dire al mondo che poteva impegnarsi quanto voleva: non ce l’avrebbe fatta. Non mi sarei mai piegato, non sarei mai stato un ingranaggio anonimo del sistema. Anzi, avrei detto sempre la mia, mi sarei sempre schierato: a costo di diventare scomodo e antipatico. Non mi sarei mai nascosto: perdere tutto non mi faceva paura. Allora…

A vent’anni ero assolutamente convinto. A quaranta ho cambiato idea: ora desidero uniformarmi. Non mi interessa più avere contorni definiti che sappiano distinguermi dalla massa. Io la agogno quella cosa informe, ribollente e in continua mutazione. Proprio non penso ad altro che a sciogliermi, idealmente, per divenirne finalmente parte e lasciarmi andare alla corrente.

Perché ormai da adulto e da papà di una bimba sono francamente stanco di vedermi negata ogni agevolazione, sistematicamente riservata ad altri. Sono stufo, citando Brecht, di sedermi sempre dalla parte del torto solo per amore di libertà. Carceratemi: adesso, subito. Ma datemi quello mi spetta: io sono esausto. 

Precariato: umano e professionale

Da qualche tempo a questa parte, una decina d’anni più o meno, mi sono accorto di parlare, scrivere, cantare sempre della stessa cosa: il precariato. Che sia umano o professionale non fa differenza: la matassa è ormai talmente ingarbugliata da rendere impossibile capire dove finisca l’uno e dove cominci l’altro. Probabilmente la motivazione di questo caos è da rintracciarsi proprio nella sua natura: il precariato umano e quello professionale sono facce della stessa medaglia. Si mischiano come il nero col bianco nel tao.

Non può esistere l’uno senza l’altro. Non avere certezze economiche, per te e per i tuoi cari, ti spinge sull’orlo di una crisi esistenziale che finisce per diventare parte integrante, quasi indispensabile, della tua personalità. E per quanto la cosa mi fosse chiara già da un po’, è diventata lampante quando ho cominciato a prendere informazioni sul Sacro Graal della genitorialità: il congedo di paternità. In alcuni ambienti se ne parla come del mostro di Lockness o del Big Foot…

Cos’è il Congedo di paternità

Leggiamo dal sito savethechildren.it: “Il congedo obbligatorio per i lavoratori dipendenti (pubblici e privati): prevede per il padre lavoratore (dipendente pubblico o privato) l’astensione obbligatoria di 10 giorni dal lavoro, che possono essere usufruiti tra i due mesi precedenti e i cinque successivi al parto. Se ne ha diritto anche in caso di adozione e affidamento. I giorni diventano 20 in caso di parto gemellare o plurimo. Durante il congedo, il padre ha diritto a un’indennità del 100% della sua retribuzione”.

A parte l’ingiustizia, di origine fortemente culturale, dei soli dieci giorni di congedo concessi a un papà, quanto abbiamo appena letto vale per i lavoratori dipendenti. E per gli autonomi di cui per la gran parte si costituisce la mia bolla?

Congedo parentale e quindi il concedo di paternità per i lavoratori autonomi: dal 2022 (Decreto legislativo 30 giugno 2022, n. 105) è stata introdotta la possibilità di poter fruire di 3 mesi di congedo parentale con indennità, da utilizzare entro l’anno di vita (o dall’ingresso in famiglia in caso di adozione o affidamento) del minore. Rimangono invariate le regole relative al congedo di paternità per lavoratori autonomi, iscritti alla Gestione Separata e liberi professionisti. Queste categorie di lavoratori possono usufruire di un periodo di astensione dal lavoro solo in presenza di determinate condizioni che impediscono alla madre di beneficiare del congedo di maternità: quando la madre del bambino sia deceduta o gravemente inferma, in caso di abbandono da parte della madre o affidamento esclusivo al padre”.

A voi i commenti…

Conclusioni

Credo di avervene già parlato: conosco una ragazza, Francesca, madre di due bimbi, che considero una sorella. Ci confrontiamo spesso io e lei. Lo facevamo moltissimo prima di diventare genitori, figuratevi ora, quando dopo ore di urla o notti senza il che minimo barlume di sonno, anche una sola pacca sulla spalla può essere di grande aiuto.

Ecco io Francesca un po’ la invidio. Anzi, la invidio tanto quanto mi dice che suo marito, il papà dei suoi figli, ha deciso di prendersi un periodo di aspettativa dal lavoro (non retribuita, attenzione) per rimanere a casa e darle una mano con i piccoli.

Io non potrei farlo, io non posso farlo.

E non tanto per paura di mancate retribuzioni (ai pagamenti a 60-90-120 giorni sono fin troppo abituato). Ma perché, nel mio campo, fermarsi anche solo per un mese significa scendere dalla giostra con il pericolo, serio, di non risalire mai più.

E allora, che ne sarà di noi padri precari? Che ne sarà di noi papà Partite Iva che ci annulliamo dietro il nostro lavoro e pur di essere sempre presenti nella vita dei nostri figli, facciamo sacrifici incredibili, strappando il tessuto del tempo e ricucendolo come meglio sappiamo solo per rubare qualche minuto all’universo.

Nulla. Non ne sarà assolutamente nulla. Che a pensarci non sembra nemmeno poi così male.

Che mondaccio che ti sto lasciando figlia mia…

Gabriele Ziantoni #DisperatamenteMalinconico

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Gabriele Ziantoni

Giornalista per hobby, polemico per professione, speaker per necessità. Gabriele Ziantoni nasce a Marino, un piccolo paese in provincia di Roma, il 12 dicembre 1983. Solitario, testardo e vagamente intollerante, vive con una penna in mano e un foglio bianco davanti agli occhi fin da quando ne ha memoria. Dopo varie esperienze nel campo del giornalismo, soprattutto sportivo, dal 2011 affronta in maniera ondivaga il rapporto con il suo secondo amore dopo la scrittura: quello con la radio. Direttore Artistico di New Sound Level 90 FM, ha all’attivo tre libri: “Un secondo dopo l’altro” (L’Erudita, 2017), “Nonostante tutto” (L’Erudita, 2019) e “Rudi Voller. Il Tedesco Volante” (Perrone, 2020).

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