Il mare color veleno

Il mare color veleno

l nuovo libro di Fabio Lo Verso è un viaggio. S’intitola “Il mare color veleno” ed è uno straordinario, inquietante, pericoloso viaggio – inchiesta tra Augusta e Siracusa, lungo la costa più inquinata della Sicilia, dove la popolazione convive da mezzo secolo con i veleni di un gigantesco polo petrolchimico.  Un reportage narrativo crudo e dolente che fa finalmente luce sul disastro ambientale meno conosciuto d’Italia ma il più antico e inquietante.

La distruzione dell’ambiente in Italia è stata resa possibile dal ricatto del lavoro: i cittadini sono stati costretti a scegliere la lenta morte per inquinamento per sfuggire alla più veloce morte per fame. La storia del petrolchimico di Siracusa è al stessa che spinge oggi tutto il pianeta sull’orlo del baratro. Conoscerla significa poter costruire antidoti culturali.

Tomaso Montanari

“Il quadrilatero della morte” Così è stato ribattezzato il tratto della costa siciliana tra Augusta e Siracusa. Qui, ha sede il più grande polo petrolchimico d’Italia, il secondo d’Europa che produce il 37% del PIL della regione. Tre impianti di raffinazione petrolifera, due stabilimenti chimici, tre centrali elettriche, un cementificio, due fabbriche di gas industriale e decine di aziende dell’indotto. Qui ormai da anni, si consuma un disastro ambientale enorme: veleni industriali hanno contaminato il mare, la terra, l’aria e le falde acquifere. Ed hanno fatto molte vittime. Una tragedia colossale e silenziosa che Lo Verso descrive con toni semplici ma potenti nel suo libro.

Cosa ti ha spinto a scrivere questo libro?

È una storia personale, come racconto nell’introduzione del libro, che risale alla mia infanzia in Sicilia. Ma per essere breve, ecco il quesito che ha fatto scattare la molla, rivolto a parenti, amici e innanzitutto a colleghi giornalisti: a nord di Siracusa, per oltre trenta chilometri, il litorale è stato inghiottito da un polo petrolchimico, le industrie hanno contaminato tutto, davvero tutto, l’acqua, l’aria, il suolo, il sottosuolo e soprattutto il mare; tu conosci questa storia? Il mutismo e l’imbarazzo dei miei interlocutori mi hanno spinto a scrivere questo libro che è sì un’inchiesta, ma si legge come un romanzo.

Quanto è durata la tua ricerca per l’inchiesta? Come l’hai sviluppata?

In due fasi. Nell’arco di un paio di anni, ho letto il malloppo di studi scientifici, atti parlamentari, articoli di giornali, ho studiato tutto ciò che si è mosso sullo sfondo di questa storia ancor troppo poco conosciuta, cominciata settant’anni fa, dall’insediamento della prima industria nel dopoguerra. Successivamente, nell’arco di un altro paio di anni, mi sono recato più volte sul territorio. Ho raccolto i racconti dei personaggi che oggi portano sulle loro spalle il peso del disastro, e di quelli che invece se lo sono scrollato di dosso. 

Chi sono i protagonisti del tuo libro?

Sono soprattutto donne, mamme e mogli che hanno perso figli e mariti per un tumore, sono inconsolabili e incazzatissime. Ci sono anche gli infaticabili attivisti dell’ambiente che perdono sempre ma ogni volta si risollevano e continuano la lotta. Fra questi un parroco, battagliero e ingegnoso, che ogni ventotto del mese durante l’omelia declama i nomi dei defunti per cancro. Nella sua lista, composta con l’ausilio dei fedeli, ha raccolto oltre milleduecento vittime. Ci sono ex operai incarogniti e pescatori idealisti. E non potevano certo mancare gli strenui difensori delle fabbriche che negano ogni nesso con i ricoveri e le morti per esposizione all’inquinamento. Un nesso che è stato definitivamente sancito da scienziati che ho incontrato e con i quali ho intessuto rapporti di fiducia.

Nel libro parli di una distruzione ambientale resa possibile dal ricatto del lavoro: ce lo spieghi?

Il ricatto del lavoro si contempla nella funesta ideologia del «meglio morire di cancro che di fame», a cui la popolazione si è convertita senza remissione, azzerando nelle menti qualsiasi idea di contrasto al dilagare dell’inquinamento. Quando la gente ti dice che senza le fabbriche non c’è lavoro e si muore di fame, vuol dire che l’industria è padrona del futuro dei lavoratori. 

Oggi che si parla tanto di transizione ecologica, quale può essere la soluzione per quei trenta chilometri di costa siciliana?

Guardando al precedente di Gela, dove si raffinava petrolio e ora si producono biocarburanti, si è auspicato lo stesso modello green per le fabbriche del siracusano. Ma il presidente di Confindustria Siracusa mi ha spiegato che proprio a causa di quel precedente, il mercato dei biocarburanti è saturo. Motivo per cui le industrie qui non hanno investito su quel tipo di transizione ecologica. Un progetto su scala industriale di idrogeno pulito o verde, da situare nell’entroterra siracusano, è in fase di valutazione ma non è stato concepito per sostituire il polo petrolchimico. Ad oggi, nell’area industriale di cui parlo, l’avvenire della transizione ecologica è un repertorio vuoto.

La speranza è che il mio libro riesca a dare infine un’eco nazionale al dramma di questo lembo di Sicilia, alleviando almeno un po’ la pena di quella gente che si sente abbandonata e dimenticata, tradita dalla promessa industriale e minacciata da un inquinamento dalle proporzioni incalcolabili.

Cercare la verità è come scendere in fondo al mare: puoi trovare di tutto e a quel punto non puoi più tirarti indietro

Rosario Fiorello

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#ostinatamenteEclettica

Paola Proietti

Classe '77, giornalista professionista dal 2008. Ho lavorato in radio, televisione e, vista l'età, anche per la vecchia carta stampata. Orgogliosamente romana, nel 2015 mi trasferisco, per amore, in Svizzera, a Ginevra, dove rivoluziono la mia vita e il mio lavoro. Mamma di due bambine, lotto costantemente con l'accento francese e scopro ogni giorno un pezzo di me, da vera multitasking expat.

Un pensiero su “Il mare color veleno

  1. condivido questa pubblicazione e aggiungo che con i Microrganismi Effettivi “H2O Bio grandi superfici” e le ceramiche EM nelle varie composizioni o in polvere, poi abbinando anche zeolite di alta qualità si può contribuire nel risanare e bonificare il malfatto e contemporaneamente migliorare ciò che si continua a fare.
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