Spot Esselunga: perché non ci emozioniamo più?

Spot Esselunga: perché non ci emozioniamo più?

I miei genitori si separarono nell’estate del 1999.

Avevo 15 anni, leggevo Umberto Eco e il mio principale pensiero ruotava attorno alla costruzione della nuova Roma di Fabio Capello. Montella avrebbe confermato quanto mostrato a Genova? E veramente la coppia Rinaldi-Mangone poteva ritenersi migliore di quella composta da Aldair e Zago? Ne dubitavo.

Non avevo mai baciato una ragazza, figurarsi quanto erano lontani il petting e il sesso: la mia educazione sentimentale era tutta raccolta nelle righe dei libri che consumavo e in qualche scena delle sit com americane che la Tv mi proponeva intorno all’ora di pranzo. Quelle in cui le famiglie sono costituite da un numero indefinito di figli, ognuno con la propria stanza, un personale armadietto a scuola e il pericolo, nemmeno troppo remoto, di finire in una comunità di recupero solo per aver fumato una sigaretta.

La separazione dei miei, “l’evento” come lo avrei poi chiamato durante i miei interminabili anni di analisi (che continua ancora adesso) come per tenerlo a distanza e dargli poca confidenza, fu devastante. Sono convinto che i miei problemi relazionali, la mia incapacità di mescolarmi agli altri, l’insopportabile e dolcissima solitudine che ha caratterizzato i miei trent’anni, siano avvenimenti riconducibili a una stessa origine: quella afosa estate di fine millennio, della quale tanto ho scritto nei miei libri.

I legami con data di scadenza, la ricerca faticosissima ed estenuante di costante approvazione e quindi sempre di nuovi partner, le accuse di narcisismo patologico perfino il raggiungimento di un rapporto finalmente comodo con tanto di paternità, hanno una sola e unica matrice: quel giro in macchina con mia madre durante il quale la donna, in meno di venti minuti, decise di gettarmi addosso i lati orribili di un matrimonio durato vent’anni. Fu una bomba senza possibilità di disinnesco quella che mi venne adagiata in grembo. Il risultato potete immaginarlo: un’esplosione che mi tranciò in tanti minuscoli pezzi. Gli stessi che oggi, a distanza di quasi cinque lustri, sto ancora cercando di rimettere insieme.

Ovvio che pubblicità della Esselunga mi abbia commosso e colpito.

Non si smette mai di essere figli di separati.

L’ho scoperto proprio in analisi, scendendo non senza paura, negli anfratti nascosti della mia psiche. Scoprendo che questa capacità di essere sempre in mezzo alle situazioni, questa necessità di risolvere le criticità lavorative tra colleghi, non fossero innate ma un meccanismo introiettato durante la mia adolescenza che anche in età adulta continuavo a mettere in atto, perché l’unico conosciuto.

Il divorzio è un diritto e non sarò certo io a trasformarmi in un puritano negazionista. Ma non voglio nemmeno confortare, per puro spirito crocerossino, tutte quelle famiglie alle prese con una crisi. Non sarei onesto. E non vi restituirei un buon servizio.

La separazione dei miei non mi ha reso migliore: solo infinitamente più fragile. E guardingo. Probabilmente egoista.

E, infatti, a me della bambina dello spot della Esselunga me ne importa davvero il giusto. Non mi fa tenerezza, se non nel ricordo del me di qualche anno fa. Anzi la trovo anche invadente nel tentativo, maldestro e infantile, di provare a fare da collante tra mamma e papà. Fossi un suo coetaneo le direi: “perché non ti fai gli affari tuoi e lasci ai grandi quello che è dei grandi?”.

Immaginate quindi, la mia reazione nel leggere gli infiniti commenti che hanno invaso i Social. Quando è successo? Quando ci siamo convinti che la nostro opinione sia importante? Perché non cominciamo a farci un pacco di affari nostri, tutti, nessun escluso? Perché non la smettiamo di commentare qualsiasi cosa ci passa sotto il naso, fosse una Serie Tv, il nuovo video di Elodie o il divorzio di Tiziano Ferro? Quand’è che ci lasceremo semplicemente emozionare da un qualcosa che vediamo, ascoltiamo, leggiamo, senza sentirci in dovere di commentarlo? Non avendo, per altro, non solo le conoscenze per farlo, ma anche la sensibilità.

Mi sento come uno dei protagonisti dei film distopici nei quali mi rifugiavo proprio per non pensare alla banalità della mia adolescenza. Il mondo appartiene ai dinosauri: a noi non resta che correre a perdifiato verso un elicottero già in moto, stringere la cintura di sicurezza e abbandonare l’isola a questi esseri tanto distruttivi quanto stupidi. Non sono cattivi, agiscono per puro istinto. Esattamente come noi, alla ricerca di una nuova terra da distruggere e dalla quale, di nuovo, scappare.

Gabriele Ziantoni  #DisperatamenteMalinconico

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Gabriele Ziantoni

Giornalista per hobby, polemico per professione, speaker per necessità. Gabriele Ziantoni nasce a Marino, un piccolo paese in provincia di Roma, il 12 dicembre 1983. Solitario, testardo e vagamente intollerante, vive con una penna in mano e un foglio bianco davanti agli occhi fin da quando ne ha memoria. Dopo varie esperienze nel campo del giornalismo, soprattutto sportivo, dal 2011 affronta in maniera ondivaga il rapporto con il suo secondo amore dopo la scrittura: quello con la radio. Direttore Artistico di New Sound Level 90 FM, ha all’attivo tre libri: “Un secondo dopo l’altro” (L’Erudita, 2017), “Nonostante tutto” (L’Erudita, 2019) e “Rudi Voller. Il Tedesco Volante” (Perrone, 2020).

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