Olympic Day, le mie Olimpiadi e l’amico Kobe

Olympic Day, le mie Olimpiadi e l’amico Kobe

Ho avuto la fortuna di partecipare a quattro Giochi Olimpici. Non come atleta. Anche se quando si dice cosi’ si pensa subito a coloro i quali competono sportivamente nelle gare. Gli atleti sono indubbiamente i veri protagonisti della massima competizione sportiva, ma dietro a loro, nel dietro le quinte, c’e’ una macchina organizzativa enorme e migliaia e migliaia di persone, fra volontari e staff, e anni (di solito sette) di pianificazione e preparazione.  Nelle mie quattro edizioni olimpiche, due invernali e due estive, io ero una di quelle migliaia di persone che hanno messo il loro mattoncino per organizzare, come si dice ad ogni edizione, “i migliori Giochi Olimpici di sempre”.

E oggi, che si festeggia l’Olympic Day, mi tornano alla mente tanti ricordi, tante emozioni, tanti amici, tanti visi, le lacrime degli sconfitti e l’estasi dei vincitori, tante esperienze, uniche, che solo le Olimpiadi sanno regalarti. Con la speranza che il prossimo anno i Giochi di Tokyo che questa estate non ci saranno, potranno svolgersi regolarmente e con ancora piu’ entusiasmo di quello che avrebbe sicuramente animato i simpatici giapponesi.

Quando mi chiedono quale sia stata la mia Olimpiade piu’ bella o quella che mi ha lasciato di piu’ il segno, non so mai cosa rispondere. Ognuna mi ha dato qualcosa, ad ognuna ho lasciato qualcosa. Ognuna mi ha fatto emozionare, piangere, arrabbiare, ridere, abbracciare, e riempire di enormi soddisfazioni.

La prima, quella di Salt Lake City, nello Utah, nel 2002 e’ stata la prima. E si sa, la prima non si dimentica mai. Avveniva a distanza di soli quattro mesi dall’attacco alle Torri Gemelle e le misure di sicurezza erano da clima di guerra, con militari e soldati ovunque. Faceva piuttosto impressione, ma quelle misure, o comunque simili, si sono ripetute anche a distanza di dieci anni, a Londra nel 2012, anche se in UK, l’impatto visivo e’ stato molto piu’ soft.

L’edizione del 2004, quella di Atene, la patria dei Giochi Olimpici, dove questi sono nati, e’ stata magica. Ricordo ancora come fosse ieri, quando passeggiavo per il parco olímpico, a Oaka, un paio di giorni prima della apertura ufficiale dei Giochi, ancora chiuso agli spettatori, deserto, immenso, silenzioso e… caldissimo, con una luce del giorno accecante. Anche se le lacrime che mi scendevano in quel momento non erano tanto per il sole ma per l’emozione di essere li’ e di fare parte di un momento storico, di un evento storico, in un luogo storico. Le Olimpiadi stavano per tornare nella loro patria. E vedere dal vivo, con i propri occhi, il nostro Stefano Baldini tagliare per primo il traguardo della maratona, la competizione olímpica per eccellenza, nel vecchio stadio di Atene…. Ancora mi viene la pelle d’oca, ancora sento le farfalle nello stomaco e gli occhi luccicano. Un qualcosa che non potro’ mai dimenticare e per cui mi ritengo davvero privilegiata per averlo potuto vedere.

Torino 2006, le nostre Olimpiadi, quelle italiane, le ho vissute praticamente dall’inizio. Mi sono trasferita nel capoluogo sabaudo cinque anni prima dei Giochi, per iniziare la preparazione, quando non esistevano ancora neanche gli impianti. E’ stato un bel pezzo di vita e di carriera lavorativa. Pur stando nel mio paese, per me non e’ stato facile vivere li’. Ma posso dire con serenita’ che quello che piu’ mi ha lasciato Torino, prima ancora dell’esperienza professionale comunque speciale, sono le amicizie, i rapporti umani, di anni di condivisione di una esperienza personale unica e irripetibile. Amicizie, da ogni parte del mondo, che ancora oggi mi porto dietro. Perche’ gli amici che ti fai alle Olimpiadi sono per sempre. Le emozioni e le esperienze che condividi con loro sono talmente forti che ti segnano e ti legano davvero per sempre. Anche se si vive dall’altra parte del pianeta. Anche se per anni non ci si vede. Ma c’e’ ogni volta un qualcosa che torna ad unirci, vuoi un’altra Olimpiade, un altro evento sportivo o semplicemente un viaggio di piacere.

(Con Alberto di Monaco al cantiere dei trampolini di Torino 2006)

Londra 2012. Amo Londra. Da sempre. Da quando sono piccola. La considero casa. Ci vado appena posso, ci ho vissuto. Li’ ho amici, parenti e i miei “genitori inglesi”, la famiglia che per anni ogni estate mi ospitava un mese e con cui sono ancora in contatto a distanza di tantissimi anni. Londra, dove ogni volta che atterro, mi si riempie il cuore. L’amore per Londra e’ quello che mi ha spinto a volere questi Giochi, quelli del 2012, con ogni mia forza. Ho faticato, ho lottato, mi sono data da fare, tanto, ma alla fine ce l’ho fatta. E sono riuscita ad arrivarci potendo ricoprire il ruolo che piu’ desideravo, nel mio sport, quello che ho praticato, quello che amo, quello che ha segnato e ancora segna la mia vita e la mia carriera lavorativa. Il Basket. Li’ ho fatto amicizia con Kobe Bryant. Perche’ come ha saputo che c’era una italiana (lui che e’ cresciuto in Italia), per tutta la durata dei Giochi, sono diventata il suo punto di riferimento in zona interviste e nel corridoio che dagli spogliatoi portava giocatori e allenatori in conferenza stampa. Da lui ho imparato tante cose. Non ho mai conosciuto ne’ ho mai visto una persona con piu’ voglia e determinazione di lui, con una disciplina del lavoro, con un desiderio di eccellere ed essere migliore di tutti, ma soprattutto di se stesso, unici al mondo. Mi manca. E ancora non ci credo che non lo rivedro’ mai piu’ e che non mi urlera’ mai piu’ dal fondo del corridoio, nel suo italiano perfetto “Ciao Bellaaaaa!!!”. Ma sono grata. Perche’ l’ho conosciuto, perche’ mi ha trasmesso tante cose, perche’ con lui ho condiviso momenti privati davvero speciali, con le nostre battute in italiano e le risate, che tutti ci guardavano senza capire perche’ ridessimo tanto. Durante quelle Olimpiadi ho lavorato per 22 ore al giorno per 20 giorni. Ho spinto il mio fisico e la mia mente al limite, e ancora non so dove abbia trovato tutte quelle energie, ma l’adrenalina di una Olimpiade e’ massima, e non solo per gli atleti che vi competono.

A chi lavora o fa il volontario a una edizione dei Giochi Olimpici, si suole dire “Once in a lifetime” (una volta nella vita). Ed e’ proprio vero. Per ora io sono, non ad una, ma a quattro edizioni. Chissa’ se saro’ anche ad altre. Quello che e’ certo e’ che ognuna di esse e’ stata per me “Once in a lifetime”. Ed oggi, in cui si festeggia l’Olympic Day, i valori di amicizia, rispetto e eccellenza, ho voluto ricordare i miei “Once in a lifetime”, tenendo sempre bene a mente che per vivere una vita appieno bisogna restare attivi, nello sport cosi’ come con la mente, nelle relazioni personali, nel lavoro, nel divertimento. “Stay Active” come dice il motto di questo Olympic Day. E arrivederci a Tokyo.

Francesca Mei

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