Perché è vietato morire

Perché è vietato morire

E’ il 2014 quando una ragazza, stanca delle continue umiliazioni, sfibrata in ogni singolo centimetro del suo essere, si getta da una finestra uccidendosi. A.C. è volata giù dal sesto piano, con ancora addosso gli abiti di scuola. Chissà se le sarebbe bastato un abbraccio e un conforto per non commettere quel gesto. Forse aveva bisogno di qualcuno che fosse lì per lei e l’aiutasse a comprendere che avrebbe potuto cambiare la sua vita, perché non era lei quella sbagliata, perché lei era unica e speciale. Perché era importante salvarla e perché è vietato morire, specialmente a quell’età.

Discriminazioni, aggressioni, insulti, umiliazioni, violenze fisiche e psicologiche. Paura, vergogna, rabbia, silenzio e inquietudine. Sono i tanti volti di un fenomeno le cui vittime sono bambini, ragazzi, giovani ma anche adulti. Tutti si trovano con lo stesso senso di inadeguatezza, si sentono sbagliati e fuori luogo. Alcuni hanno la voglia di scappare, di andare via anche dalla vita stessa, di farla finita. Ad ognuno di loro basterebbe un sorriso e una parola.

Un Bacio.

Uno dei film che hanno toccato il tema del bullismo. Raccontare e non tacere, per uscirne fuori.

Basta poco a diventare vittime. Maschi e femmine non ha importanza. E’ sufficiente essere fuori dagli schemi perché troppo timidi o troppo disinvolti, eccentrici oppure semplicemente differenti. Così bambini e adolescenti si ritrovano a vestire il ruolo dei perseguitati, con successive sofferenze psicologiche e l’esclusione sociale. Chi subisce molestie deve sopportare ripetute umiliazioni.

Vittima e bullo sono i due ruoli del fenomeno che si manifesta con maggiore evidenza in ambito scolastico.

Contro il bullismo scolastico a febbraio del 2015 nasce un’ associazione (ACBS). Vincenzo Vetere ne è il presidente. Lui stesso che ha subito violenze per tutto l’arco del suo percorso scolastico, decide di costituire qualcosa che possa essere d’aiuto alle famiglie, agli insegnanti e primariamente a coloro che sono presi di mira.

E’ il 2014 e Vincenzo ascolta in tv la notizia della morte di A.C. Decide che è ora di fare qualcosa e di mettersi in moto per tutti quei giovani che hanno subito o continuano a subire, in ambito scolastico o extrascolastico, comportamenti aggressivi e violenti sia di natura fisica che psicologica.

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Perché è vietato morire

Tante persone che subiscono bullismo si bloccano. Molti degli adulti che oggi ci contattano hanno ancora la testa al passato, in quella piaga. Gli strascichi sono enormi. In alcuni casi basta una telefonata per sentirsi capiti. Altre volte c’è bisogno di rivolgersi a figure professioniali.

Tanti restano bloccati racconta Vincenzo. Altri a fatica riescono a uscire da quelle sabbie mobili e, cercando un senso a tutto quello che è loro accaduto, creano un personale percorso fatto anche di sostegno e appoggio a chi si trova in condizioni di svantaggio.

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Come ha fatto Sara ad esempio. Oggi ha 23 anni e ha iniziato la sua lunga lista di tribolazioni in prima elementare. Ho sofferto molto. E proprio negli anni che sarebbero dovuti essere i più belli e spensierati della mia infanzia.


Da quando sono nata convivo con delle lesioni a livello cutaneo. La dermatite atopica è la mia compagna fedele. A tre anni e mezzo ho anche rischiato la vita a causa di un’infezione, l’impetigine, legata proprio alle ferite che ricoprivano il mio corpo.

La pelle di Sara era talmente secca che accadeva che col viso non riuscisse nemmeno ad accennare la minima espressione, perché questo le causava un dolore insopportabile.

Le prime offese le ho ricevute alle elementari. Oggi sono consapevole che non fosse un bello spettacolo guardare il mio volto pieno di piaghe. Ricordo che una mattina a scuola la maestra disse a un mio compagno di classe di sedersi accanto a me. La sua reazione non la dimenticherò mai, resterà per sempre impressa nella mia mente. “No. Non voglio, sembra che tu abbia la lebbra!”. Quelle parole rimbombarono nelle mie orecchie e divennero insostenibili, perché furono pronunciate con una tale cattiveria negli occhi da poter spaccare il cuore. Ci fu qualcosa di ancora peggiore però: le risate dell’intera classe.

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Perché è vietato morire

E così una bambina imparò ad isolarsi.

Da quel momento imparai a costruire muri, sempre più alti. Avevo problemi a relazionarmi con gli altri. Mentre vedevo i miei coetanei stare insieme ai loro gruppi di amici, io me ne restavo in disparte. Sola con me stessa. Al massimo mi ritrovavo con due compagne, anche loro reiette. Per far parte di certi gruppi dovevi essere alla moda, bella e soprattutto senza quei brutti segni in faccia.

Sara era terrorizzata all’idea di andare a scuola. Stava bene a casa, nella sua stanza, nel suo letto. Era quello il suo posto sicuro, dove nessuno poteva giudicarla o prenderla in giro.

Però capitava che dovessi andarci per forza a scuola e poteva accadere che ci fosse educazione fisica. Allora iniziava un altro incubo. Indossavo la felpa anche in piena estate, la dermatite infatti era estesa anche agli arti superiori. Le temperature elevate provocavano un prurito tremendo sulle mie braccia. Preferivo soffrire in quel modo. Tutto era meglio dello scherno e delle battutacce dell’intera classe. Il caldo atroce e il dolore delle ferite sembravano nulla se paragonati alle continue umiliazioni.

Sara è riuscita con il tempo a riappropiarsi della sua vita.

La dermatite atopica mi ha tolto la serenità ma ormai siamo amiche per la pelle. Riesco a tenerla sotto controllo e in un certo senso oggi devo dirle grazie perché sono orgogliosa della persona che sono diventata. Cadere in quel baratro mi ha fatta diventare più forte e consapevole. Con gli anni ho dato un significato nuovo a me stessa, quello di studiare per poter aiutare chi si trova in difficoltà.

Sii te stesso sempre. Fatti un dono vero, resta come sei.

Alda Merini

Quella di Sara è una storia come ce ne sono tante. I primi segnali di bullismo possono verificarsi già al primo anno di asilo, racconta Vincenzo Vetere. I bambini che soffrono quegli atti si riconoscono. Se ne stanno da soli, cercano la compagnia di figure più grandi e non vengono invitati alle feste. I bulli invece si individuano perché a scuola sono quelli la cui parola è legge. Sono i politici di turno, ma in realtà sono più vittime delle vittime stesse. Si trovano probabilmente in condizioni familiari e sociali particolari. In famiglia forse non sono apprezzati e cercano così di rifarsi all’esterno.

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Il problema vero di tutto il fenomeno è che il bullo è spalleggiato da figure secondarie. Gli spettatori. Chi vorrebbe agire ma non si espone e lasciache il lavoro sporco lo facciano gli altri. Loro sono gli autori dei filmati e delle foto che poi si scambiano attraverso i cellulari e sul pc. Ecco, telefoni e social sono gli amplificatori del bullismo. Prima chi era preso di mira a scuola, trovava riparo a casa, adesso invece deve convivere 24 ore su 24 con l’ansia e la paura. In qualsiasi istante infatti può arrivare un messaggio o un video. Non c’è più rimedio, non esiste scampo.

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Altra realtà è quella di Pasquale, vessato per un paio di scarpe. Lo accompagna un senso di ingiustizia e di rabbia. E tu saresti più forte di me? Non credo proprio. Vi meritate di vivere isolati in un angolo di mondo dove c’è l’oscurità più totale, in compagnia di quel paio di scarpe che tanto adorate.

È incredibile come nel mondo dove predichiamo tanto la giustizia, esista una persona che possa rovinarmi la vita. E questo solo perché non posso permettermi un paio di scarpe alla moda, come se quelle fossero sinonimo di onnipotenza o di superiorità oppure potessero definire un essere umano. Il mondo giusto ha permesso che un ragazzo, sognatore e studioso, venisse preso in giro, umiliato e perfino malmenato.

Un paio di scarpe. Una vita maltrattata perché non si indossa un determinato marchio. L’inutile, una griffe, che diventa indispensabile per l’approvazione sociale.

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Perché è vietato morire

Sono stanco di subire violenze fisiche e psicologiche solo perché magari la mattina anziché arrivare con il taglio di capelli gelatinato e perfetto, sembro invece un chitarrista anni ’80.

Pasquale deve fare i conti con una realtà che non riconosce anzi che reputa ingiusta.

Io non me la prendo soltanto con chi mi lascia in classe coperto unicamente dagli slip, paralizzato davanti al mio banco. E nemmeno me la prendo con chi mi picchia fuori scuola perché sono diverso. No, io detesto chi ride e si diverte davanti a tutto questo, chi magari volta lo sguardo dall’altra parte oppure scatta una foto. Ridete, voltatevi, chi cade e ne paga le conseguenze sono io. Però voi non siete più forti di me.

Ciò che mi spaventa non è la violenza dei cattivi, è l’indifferenza dei buoni.

Martin Luther King

Anche il Presidente di ACBS, Vincenzo, ha subito maltrattamenti sia fisici che cyber.

Abito con la mia famiglia in un piccolo centro. Già mio fratello, più grande di me, era vittima di bullismo. Bastava il nostro cognome a farci essere dei bersagli. Vetere ci identificava come emigrati dal sud, come quelli che portavano la criminalità al nord. Abbiamo subito bullismo dalle ragazze, in particolare dalle compagne di classe di mio fratello. Ci prendevano in giro, ci offendevano e ci facevano del male fisico. A scuola non eravamo mai presi in considerazione, sembravamo fantasmi, del tutto trasparenti, tranne quando dovevano insultarci o aggredirci. E’ andata avanti così per diversi anni. A casa si diventata bravi a fingere. Quando mi veniva chiesto come fosse andata la giornata, mi bastava rispondere che era andato tutto bene.

La memoria di Vincenzo torna indietro, riavvolge il nastro e richiama alla mente le sensazioni e i fatti che ha dovuto affrontare.

Quando avevo sette anni e mio fratello undici, ricordo che eravamo all’oratorio e una sua compagna di classe mi chiamò e mi fece andare con lei. Quello che vidi quando ci fermammo fu agghiacciante, Mio fratello bloccato a terra mani e piedi, da altre ragazze. “Ti devi inginocchiare e mangiare un pugno di sassi”, mi dissero. La minaccia, la paura e la sofferenza di mio fratello fecero il resto. Mangiai i sassi. Il giorno dopo in quel piccolo paesino tutti ne erano venuti a conoscenza. E invece di comprenderci e aiutarci, ci allontanarono ancora di più. Ero sempre più solo e mortificato. E mi vergognavo.

Storie di ordinaria follia, che fanno rabbrividire.

Lo sai che una ferita si chiude e dentro non si vede. Che cosa ti aspettavi da grande, non è tardi per ricominciare.

E scegli una strada diversa… Perché è vietato morire.

Ermal Meta

Spesso con la mia associazione sento raccontare storie simili alla mia, almeno un giorno a settimana. La maggior parte di chi chiama o scrive chiede solo di essere creduto e capito. Purtroppo mi rendo conto che i racconti arrivano quando ormai è tardi e i risvolti psicologici hanno già distrutto il normale vivere.

Le cose si sono complicate parecchio con la tecnologia. E’ nato il cyberbullsmo. Già a otto anni i bambini hanno la possibilità di utilizzare il cellulare. Quel telefono non è più un semplice mezzo di comunicazione ma diventa un’arma a volte letale, in mano a un minore incontrollabile. E’ estremamente semplice premere un tasto e fare del male. L’Italia è stata la prima a dotarsi di una legge contro il cyberbullismo, purtroppo siamo andati bene con la teoria ma siamo rimasti indietro con la pratica.

In questi ultimi sei anni ho visto cambiare tante cose. Prima il fenomeno bullismo non era nemmeno preso in considerazione, adesso invece si fa fatica a circoscriverlo con precisione. Alcuni credono che basti un solo episodio per far scattare l’allarme. Non è così. E’ necessario sapere che occorrono una serie di atti, compiuti dalla stessa persona o gruppo di persone verso la medesima vittima. E’ quando andando a scuola ogni mattina si ha la consapevolezza che accadrà qualcosa di brutto.

Di anno in anno aumentano i casi. Si aggiungono diversi tipi di violenza

I cyberbulli di solito sono coloro che hanno subito a loro volta atti di bullismo e che si vendicano usando il telefono. I genitori non riescono a stare dietro a questi carnefici vendicativi e istintivi.

Nessuno può farti sentire inferiore senza il tuo consenso.

Eleanor Roosevelt

Bisogna trovare delle alternative alla tecnologia. Far vivere ai ragazzi altre esperienze, dedicare loro più tempo. A scuola ci stiamo battendo per far togliere le sospensioni: i tre giorni a casa non significano nulla, il modo più giusto sarebbe far sperimentare ai giovani altre forme di punizione. Inserirli in strutture di volontariato, per aiutarli a riprendere il contatto con la realtà e dare loro modo di capire cosa è giusto e cosa sbagliato.

Sono stanca di guardare le critiche,
perché sono ovunque

Pink

La cosa importante che non mi stancherò mai di ripetere è che bisogna parlare e non tacere. E non si deve nemmeno lasciar passare tanto tempo perché poi potrebbe diventare tardi e i segni della violenza essere troppo marcati sulla psiche. Attualmente ci sono gli strumenti per uscirne. Abbiamo la possibilità di aiutare e essere aiutati.

Il silenzio non porta a nulla. Non bisogna stare zitti, ci si può salvare basta non avere paura, perché essere la vittima non è una vergogna. Chi mena non è fico, chi scatta foto e non interviene non è bravo. E’ necessaria un’inversione di tendenza, dobbiamo far capire alle nuove generazioni dove sta il bene e dove il male, restituire loro dei valori sani. Perché hanno una vita da assaporare e perché è vietato morire.

Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

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