Cucino sano, con lo sgarro. La sana alimentazione di Rossana Dian

Cucino sano, con lo sgarro. La sana alimentazione di Rossana Dian

Fa molto più ingrassare il senso di colpa che lo sgarro. Parola di Rossana Dian. Foodblogger emiliana, che ha conquistato social e lettori con la sua cucina, sana e golosa.

Il suo metodo per mantenersi in forma e in salute guarda al cibo come un alleato e non come un nemico.

La Ross, così la chiamano i suoi followers, condivide non una dieta, ma un vero e proprio approccio all’alimentazione, un “positivo e durevole” stile di vita.

Alimentarsi in modo sano non è un sacrificio ma un dovere verso noi stessi, mi spiega. Ed ecco perché “lo sgarro vero non esiste”. Siccome è l’eccezione e non la regola, quella volta che abbiamo voglia di mangiarci un cornetto o una brioche gustiamocela senza senso di colpa.

Una consapevolezza attuale che è frutto di una lunga, complicata e intensa storia d’amore/odio con il cibo, che ha radici nella giovinezza di una ragazza emiliana, come tante. Con il sogno di fare la modella.

Non avevo nemmeno 18 anni quando sono partita da Nonantola (paesino della provincia di Modena, di circa 10.000 abitanti all’epoca) per partecipare al concorso di bellezza “Miss Italia”.

Il trasferimento a Milano non è che il naturale passaggio per coltivare quell’ambizione di calcare le passerelle dell’alta moda. Accompagnata dalla mamma, non ancora maggiorenne, Rossana viene per la prima volta a contatto con un mondo fatto di riviste patinate, di copertine, di misure. Di ossessione, per una perfezione fisica solo apparente.

Non ero pronta, mi confida nel corso della lunga chiacchierata telefonica che ha dato vita a questo pezzo. Entrata per la prima volta nella mia agenzia di riferimento, mi accorsi subito che qualcosa non andava. Vidi la parete tappezzata di foto di ragazze “perfette” (o almeno così mi apparivano all’epoca).

Io non avevo quelle misure. Anzi, a dire la verità, non sapevo nemmeno cosa fossero le “misure”, anche perché avevo partecipato a Miss Italia, guarda caso, proprio l’anno in cui le avevano abolite. Una cosa è certa: guardando quelle immagini, mi sono sentita subito inadeguata. Ed era solo l’inizio.

La convivenza con altre modelle. Il loro cattivo esempio di alimentazione basato sul: “non mangiare”. L’obiettivo della perdita di peso. La famiglia lontana.

Rossana era entrata in un tunnel e non vedeva più la luce.

Pesavo 46 chili. Dovevo arrivare a quota 42. Mi ricordo che guardavo questa ragazza bellissima che viveva con me e notavo che lei non mangiava mai. Beveva tantissimo e ingurgitava sempre e solo insalata senza condimento. Piano piano mi ero adeguata e nel giro di poco tempo il numero sulla bilancia era diventato quello che, secondo quei canoni, doveva essere.

Una sudditanza psicologica, oltre che fisica, ad un rapporto malato con il cibo.

Un giorno ero in taxi. Faceva molto caldo. Ero quasi svenuta e per farmi riprendere mi avevano offerto una barretta di cioccolato che io, senza pensarci due volte, avevo divorato. Sai cosa ho fatto i tre giorni successivi? Ho bevuto solo acqua perché mi sentivo in colpa.

A guidarla fuori da quel tunnel l’intervento, a gamba tesa, di una mano amorevole e attenta.

“Basta, tu adesso torni a casa, questo lavoro non fa per te” aveva sentenziato mia mamma appena si era accorta di questa magrezza eccessiva. “Ti stai strapazzando”. Devi sapere che mamma non mi ha mai detto direttamente “sei troppo magra”. Piuttosto mi ha curato con amore, con paziente attesa, persino con il silenzio.

Tornata a casa tutto lentamente ha ripreso ad avere, letteralmente, il giusto peso. Mamma e le nonne erano lì dove le avevo lasciate qualche anno prima. Intorno al tavolo da cucina a impastare farina e uova. Io dopo aver assaggiato un tortellino già mi sentivo sazia come ne avessi mangiato quattro etti.

A quel punto, pur sapendo di andare incontro alle critiche e ai giudizi dei paesani, seguendo il consiglio di mamma, iniziai ad andare da uno psicologo. Non ero pazza, come mormorava la gente. Avevo solo bisogno di aiuto.

Un limbo emotivo e fisico da cui Rossana esce a poco a poco. Circondata dall’affetto della sua famiglia.

Un giorno ho annunciato a mamma: “Ho voglia di pizza e profiterol”. Lei mi ha guardato con una faccia stupita e sorpresa. Siamo corse al ristorante. Quattro ore per mangiare una pizza e un fiume in piena di parole. Avevo bisogno di sfogarmi. Di essere ascoltata. Di essere “curata”.

Rossana Dian (a dx) e Monica Artoni

Proprio la scoperta dell’amore per i fornelli e per il buon cibo, trasmessole dalla mamma, l’ha guidata verso il suo attuale stile di vita, un metodo vincente e validato scientificamente dalla nutrizionista Monica Artoni.

Ho iniziato a mettere a punto questo approccio al cibo perché mi sono accorta che noi donne, soprattutto, siamo accomunate dal brutto rapporto con la bilancia, qualsiasi sia il peso che ci rimanda ogni volta che ci saliamo. Gli sgarri, di cui parlo nel libro, in fondo non sono altro che sgarri di vita.

Cosa facciamo generalmente quando la vita ci fa uno sgambetto? Ricorriamo alla fame emotiva e cerchiamo un rifugio nel cibo. Una “debolezza” con cui dobbiamo fare i conti anche quando entriamo in menopausa.

La mia fortuna è stata incontrare Monica, che ha gestito le mie problematiche, non solo a livello alimentare, ma anche e soprattutto morale. Lei è quella che io definisco una “psicologa del food”, riesce a metterti a tuo agio e a cambiare il tuo rapporto con il cibo. Quello che abbiamo fatto insieme è condensare nel libro questo metodo e renderlo fruibile a tutti.

In “Cucino sano, con lo sgarro” si viene a conoscenza, per esempio, del metodo della mano, che insegna a misurare la giusta porzione di cibo da consumare, differente da persona a persona in base alla grandezza del proprio palmo, del pugno o della lunghezza delle dita. Un esempio: per i carboidrati – pasta, riso e patate – la porzione non dovrebbe superare la grandezza di un pugno chiuso.

Le ricette contenute nel libro di Rossana Dian (e disponibili anche su un app scaricabile direttamente su smartphone) sono scelte su misura, equilibrate, appaganti, stagionali, golose. Si gustano con gli occhi, prima che con il palato.

Oggi considero il cibo un atto d’amore verso me stessa, anche se non è stato sempre così. Ma è il cibo che mi ha guarita ed è il grande protagonista della mia storia di rinascita.

rossana dian

La storia di Rossana è una storia di straordinaria normalità. Ostacoli, cadute. Gallerie strette, buie, a volte soffocanti. La luce dell’amore a farle sempre da guida. Quello della mamma, prima, a cui deve tanto di quello che è. Quello del suo “storico” compagno di vita, Stefano Scozzese, oggi.

Stefano Scozzese e Rossana Dian

Il marito che tutte le donne dovrebbero avere. Un uomo fantastico.

Ci siamo conosciuti in una discoteca di Modena. Lui faceva il dj, io lavoravo in quello stesso locale. E’ stato amore a prima vista. Da parte mia. Lui non mi considerava di striscio, io ero già innamoratissima. Poi davanti a un piatto di tortellini in un ristorante top di Modena l’ho conquistato. Ps: Gli ho chiesto io di uscire!

Insieme, la Ross e Scozz hanno affrontato un’intensa girandola di emozioni. Hanno percorso chilometri, mano nella mano. Non solo fisici. Ma anche psicologici. Un percorso di vita condiviso. Tra momenti felici e altri complicati.

Uno dei momenti più difficili che ci siamo ritrovati ad affrontare insieme è stata la scoperta di un fibroma all’utero. Un fulmine a ciel sereno.

L’ho scoperto per caso. Io e Scozz avevamo una cagnolina, che è morta avvelenata dai ladri. Ero affezionatissima a lei perché era con me da dodici anni. Colpiti da quella mancanza improvvisa, decidiamo insieme di provare seriamente ad avere un figlio. Fino a quel momento avevamo lasciato tutto al caso. Non avevamo mai preso precauzioni. Ci sembrava strano che non fossi mai rimasta incinta, ma non ci eravamo mai preoccupati seriamente. E invece qualcosa di cui preoccuparsi c’era. E si chiamava fibroma. Dopo un primo intervento chirurgico emerge anche la presenza di un polipo. Avrei potuto rischiare. Ma insieme abbiamo deciso di non farlo e di mettere al primo posto la mia salute. Da lì la decisione di togliere tutto.

Solo subito dopo l’operazione, mentre ero da sola in ospedale, ho realizzato seriamente che non sarei più potuta diventare madre. Ho iniziato a piangere. Ero un fiume in piena. Un’infermiera si avvicinò e mi chiese perché stessi piangendo. Poi mi confidò: “io non sono madre, ma ho tanti figli”. E mi portò in reparto a farmi vedere tutti i bambini ricoverati che lei accudiva come fossero figli suoi. Così ho capito che si può essere madri in tante forme e modi diversi. Oggi io e Stefano siamo per esempio dei genitori a distanza di una bambina di Haiti. E abbiamo i nostri due cani che amiamo come fossero dei figli.

Un mese dopo l’intervento chirurgico di asportazione dell’utero, un’altra tegola, un altro sgambetto, un altro “sgarro” della vita: la perdita dell’amata mamma. Uno choc emotivo che Rossana decide di affrontare allontanandosi da tutto e tutti. Parte con Stefano per un lungo viaggio. Mette in pausa la sua vita. E quando torna alla dura realtà di tutti i giorni lo fa con una visione diversa. La sua pagina Instagram diventa una community virtuale. Le sue “ragasse” la sostengono, la supportano, la apprezzano per la versione reale, e non edulcorata, che Rossana dà di se stessa.

Condivide il bello e il brutto. I suoi progetti lavorativi e quelli privati e personali. Ma lo fa con delicatezza, rispetto degli altri, semplicità. Lo fa soprattutto in cucina, diventato ormai il suo regno. Dopo anni e anni di esperimenti oggi è lei a impastare con lo stesso amore che la sua mamma e le sue nonne le hanno trasmesso.

Ho sbagliato tanto all’inizio in cucina. Ho visto tante volte le mie nonne fare la pasta fatta a mano però, per esempio, non ho mai chiesto a loro le dosi. Quante uova, quanta farina. Eppure oggi, a distanza di tanti anni, e dopo aver provato e riprovato, io riesco a fare la pasta solo attraverso quel ricordo. Ho davanti ai miei occhi la scena in cui eravamo intorno a un tavolo con una enorme spianatoia di legno su cui ognuna tirava un tipo di pasta. Chi faceva la tagliatelle, chi i quadretti, chi i tortellini. Ogni sabato lo stesso rito. E ogni domenica tutti riuniti a gustare quelle prelibatezze.

Oggi quel ricordo Rossana cerca di riviverlo ogni volta che ha le mani in pasta. Chiude gli occhi e respira quegli stessi odori, e sente quegli stessi suoni familiari. E in nome di quel ricordo ogni qualvolta suo padre va a trovarla, lo accoglie con un bel piatto di pasta fresca condito con ragù alla bolognese.

Io di solito non mangio carne ma questo piatto ha troppo il sapore di casa, mi confida.

Oggi Rossana abita in campagna. Dopo l’infanzia e l’adolescenza vissute in un paesino di provincia e dopo anni di città (Milano, New York) ha scelto il luogo ideale per il suo presente e futuro. Il lago a due passi, immersa nella natura. La casa come un regno da abitare. Con le sue passioni, la sua semplicità, i suoi progetti, il suo sorriso.

Non sono mai stata una mangiona, dopo quel periodo nero. Spizzicavo appena. Tutto il contrario di adesso. Oggi vivo il cibo con gusto e armonia. Perché oggi fondamentalmente sono felice.

Proprio grazie a quel cibo che ripudiava, Rossana ha sconfitto lo spauracchio dell’anoressia, della malattia, delle assenze pesanti. Cucinare è stato il modo migliore per riprendere in mano la sua esistenza. A tavola e non solo.

Perché…

Non esiste nulla che non possa essere risolto, con un sorriso e un buon pranzo.

Con buona pace dello “sgarro”.

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Per saperne di più sulla storia di Rossana Dian e sul suo progetto CucinoSano leggi anche qui.

Elisabetta Mazzeo

Elisabetta, classe 1981. Ogni 18 anni un cambiamento. Prima la Calabria, poi Roma, ora Zurigo. Domani chissà. La mia sfida quotidiana? Riuscire nell’impresa di essere contemporaneamente mamma, moglie, giornalista, scrittrice e ora anche blogger. Ore di sonno: poche. Idee: tante. Entusiasta, curiosa, caparbia, sognatrice. Scrivere è un’esigenza. Una lunga gavetta nei quotidiani e nelle tv locali, poi l'approdo come inviata di Sport Mediaset. Non ho dubbi: il mio è il mestiere più bello del mondo. Una passione prima che un lavoro. Oggi ricopro l'inedito ruolo di vicedirettore a distanza di Retesole, l’emittente che mi ha visto crescere umanamente e professionalmente. Divoro libri e due li ho anche scritti, mi nutro di storie di sport, ma non solo. Scatto e colleziono foto, mi alleno quanto basta per non sentirmi in colpa e in compenso macino chilometri armata di scarpe da ginnastica e passeggino. L'arrivo delle mie due figlie ha rimodulato le priorità della mia vita. E adesso è con loro e per loro che continuo a mettere le mie passioni in campo. #CaparbiamenteSognatrice

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