Il “meglio” della quarantena, i racconti più belli

In Italia siamo nella tanto attesa fase due. Ci lasciamo alle spalle (speriamo definitivamente) isolamento e quarantena.
Una parentesi di vita che avremmo evitato molto molto volentieri ma che ci ha permesso di fermarci, riflettere e apprezzare ciò che davamo per scontato e ancor di più “il superfluo”.
L’Italia e il mondo intero piangono tanti, troppi morti. Probabilmente, “ovattati” nelle nostre case, spesso ce ne dimentichiamo.
Insomma, mentre a qualcuno mancava fare footing, shopping, andare dal parrucchiere, bere una birra con gli amici o passeggiare in riva al mare (comprensibile, ci mancherebbe) qualcun altro era in un letto d’ospedale, completamente solo, a combattere contro il virus.
Io in questi mesi ho avuto la fortuna di ascoltare le esperienze di operatori sanitari, studenti, commercianti, associazioni e anche il racconto di chi ha contratto il virus. Storie di abbracci mancati, abitudini stravolte ed emozioni condivise attraverso lo schermo di uno smartphone (.. ah la tecnologia, che salvezza!)
Ho imparato tanto da ognuno di loro, ogni storia mi ha lasciato qualcosa e voglio condividere con voi alcune “pillole” d’amore e speranza.
Le parole di chi ce l’ha fatta..
“Mi sento un miracolato, dopo un mese di ricovero e intere nottate attaccato a un ventilatore ce l’ho fatta. Mi tormentava il pensiero di non vedere più mia figlia e di non averla nemmeno salutata. Ho passato una vita a lavorare ma adesso le mie priorità saranno altre”
L’infermiera
Non dimenticherò mai le parole di Ersilia, infermiera in prima linea a Mantova, che durante un’intervista mi ha confessato: “La cosa più brutta è vedere le persone soffrire in completa solitudine in un letto d’ospedale, vivono la malattia lontane dagli affetti più cari. Certo, ci siamo noi operatori sanitari ma non è come avere vicino un familiare o un amico. I più fortunati restano soli fino alla guarigione, ma c’è anche chi non riabbraccerà mai più i propri cari. Arrivano di continuo le telefonate dei loro parenti che con la scusa più banale chiamano in reparto per chiedere informazioni: è il loro unico modo per sentirsi più vicini a chi si ama”
La studentessa Erasmus
Una giovane studentessa si trovava a Madrid durante l’emergenza Covid-19 e ha deciso di rientrare a casa.
“A Fiumicino c’era mio padre ad aspettarmi non abbiamo potuto riabbracciarci e ho capito dal suo sguardo che mi stava sorridendo: avevamo entrambi la mascherina. E’ stato surreale camminare in un aeroporto deserto, viaggiare tra le strade di Roma in assoluto silenzio. Tutto davvero surreale”
Diventare genitori
E mentre il mondo combatte contro il nemico invisibile la nascita di un bambino diventa simbolo di speranza.
Una giovane mamma racconta: “Il momento peggiore è stato quando ho dovuto lasciare tutti e ho capito di dover fare tutto da sola. Purtroppo non è stato un parto spontaneo com’era previsto, ma un taglio cesareo d’urgenza. La cosa più brutta è stata uscire dalla sala operatoria e non trovare nessuno fuori”. Il papà commosso dice: “La cosa più brutta è stata non poter stringere la mano a mia moglie quando è uscita dalla sala operatoria, ma quando ho visto mio figlio, anche se per pochi minuti, ho capito che c’è ancora una speranza da poter avere nei nostri cuori”
Il compleanno in solitudine
Compleanno sicuramente originale per chi ha compiuto gli anni in questo periodo (come la nostra Francesca Mei, leggi il suo post davvero emozionante https://www.distantimaunite.com/2020/05/01/compleanno-ai-tempi-del-covid/)
In tanti si sono trovati a festeggiare in solitudine, come Anna che il giorno del suo compleanno l’ha trascorso da sola nel suo appartamento di Parigi! Parlando della sua quarantena francese ha confessato: “Il momento più difficile è stato il giorno del mio compleanno, ero sola e senza poter festeggiare. Per fortuna amici e parenti mi hanno chiamata e soprattutto abbiamo organizzato dei festeggiamenti online e la tristezza è passata, quindi posso dire di aver festeggiato comunque”
Vivere la fede
L’emergenza Coronavirus ha cambiato tante nostre abitudini e, per chi crede, anche il modo di vivere la fede. “Sicuramente – ha spiegato Don Antonio – in questa fase ci viene chiesto spirito di adattamento, ma dobbiamo considerare un fatto molto semplice della fede: io posso utilizzare tutti i mezzi del mondo ma il cammino di fede lo fa il credente, da solo. Forse questo tempo può essere essenziale per vivere la fede e potrebbe anche diventare una prospettiva e un’opportunità per tutti”
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