Fotografie, istantanee di vita

Fotografie, istantanee di vita

Quante cose può essere un’immagine. La forza di uno scatto, la perfetta sintesi, la cattura eterna del tempo.

La mia rubrica in questo sito parla anche di questo, “mettere a fuoco” un argomento, un piatto nel più elementare dei passaggi, la cottura o la messa a fuoco di una fotografia, l’altra mia grande passione. 

Letteralmente scattare una fotografia qualche tempo fa era questo: Processo fotochimico per mezzo del quale l’immagine di un qualsiasi oggetto, ottenuta con la camera oscura, viene fissata e resa permanente su un supporto di materiale sensibile ai raggi luminosi.

Meccanicamente si pensa questo quando si pensa ad una fotografia, cosa partorisce poi, il risultato è quello che ognuno di noi percepisce osservandola. Uno scatto può essere un racconto intimo, una parola mai detta, un grido di aiuto, un ricordo immortale.

Anche in questo tempo di quarantena le immagini ci hanno tenuto compagnia come a raccontare un mondo già visto ma sotto un’altra lente. Di colpo anche la traversa più anonima di una città sconosciuta ha assunto un significato intenso. Una via del Corso o via del Tritone a Roma, solitamente invasa da turisti, a volte saccheggiata della sua bellezza tra inquinamento acustico, smog e ambulanti invadenti, si è mostrata nuda davanti gli occhi in tutto il suo splendore ed è apparsa quasi più bella senza l’uomo a invaderle gli spazi.

Un periodo in cui anche chiusi dentro le nostre case abbiamo avuto la possibilità, grazie all’immagine, di evadere da quegli spazi confinati e renderli privi di pareti. Perché uno scatto ci regala un open space sul mondo, un confine che non esiste e anche se privi di passaporto ci fa macinare chilometri e tempo.

Ci regala la possibilità di camminare restando con le gambe accavallate sul divano e viaggiare tra continenti anche non essendo mai saliti su un aereo. 

In tempi come questo ci ha mostrato il volto più scuro della paura. Chi non ricorda l’immagine di Bergamo con le camionette dell’esercito che uscivano dalla città, le centinaia di medici senza volto nelle loro “alte uniformi” pronti a salvare le vite (non le loro) ma allo stesso tempo quelle immagini ci hanno regalato la possibilità di condividere il nostro tempo libero con persone a noi care o perfetti sconosciuti stando sempre chiusi in casa. 

Per un nonno la foto del nipote è stata la libertà che non aveva, l’estensione delle gambe e braccia per stringerlo a sé con l’emozione viva, la carezza di quello scatto era la speranza che ha continuato a fargli credere che ci sarà ancora vita dopo tutto questo male e che si deve lottare per tornare a viverla quella vita con la sua più semplice normalità.

Ha reso più reali amicizie, ha stretto fratelli lontani, ha regalato di nuovo volti a chi si era già dimenticato. E se in quella vita passata quando si andava al ristorante non si iniziava a mangiare un piatto prima di averlo immortalato, anche nelle nostre cucine abbiamo fatto a gara per condividere l’impiattamento migliore regalandoci grandi soddisfazioni, fomentandoci a tal punto che: “caro Carlo Cracco scansate proprio!”

Non per niente il social di fotografia per eccellenza vanta un miliardo di iscritti: instagram. È una piattaforma virtuale in cui ogni giorno vengono caricati 500 milioni di contenuti….  scatti, immagini di ogni dove a rappresentare noi in ogni momento del giorno, a ricordare un luogo, un abbraccio, un amico, un tempo circoscritto, un selfie venuto male ed uno ritoccato, questo perché lo scatto sia quello con il maggior numero di like o cuoricini anche se il soggetto è la più comune tipa con le labbra “a culo di gallina”.

L’immagine oggi è anche questa, forse non si hanno più nemmeno gli occhi per riuscire a guardarle tutte, perché ormai ognuno può scattare a sequenza grazie alla tecnologia che ci sovrasta (mia figlia di 7 mesi si è già scattata, non volendo, il suo primo selfie ed è venuto pure bene) ma diamo un senso, diamo ancora un senso a quello che guardiamo.

Ci sono foto che hanno fatto la storia, che l’hanno cambiata per sempre, che rappresentano un’epoca, altre che non moriranno mai e che rendono eterni dei momenti.  Immagini che hanno indignato, altre che hanno invitato a riflettere e volti che si sono resi noti, e chi si è rovinato per sempre. Abbiamo in mano la possibilità di regalare emozioni e dare ribrezzo, di immortalare l’universo o fotografare (in macro) la tessitura della tela di un ragno.

Si può scattare tanto e il niente, il soggetto può essere il bene e il male e può essere visibile a te come al mondo intero in pochi click.

Diamo il giusto valore all’immagine.

Come dico sempre: “continuerò a guardare il mondo, senza essere guardata, dietro la mia ottica, a mostrare attraverso i miei scatti quello che più mi piace far vedere e a regalare a chi li guarda la mia prospettiva delle cose”. La foto più bella è quella con didascalia integrata, in cui una parola può essere una cornice incisiva, un rafforzativo o una nota di disturbo, un testo accanto non potrà mai esserne all’altezza. Un occhio contiene già tutti gli strumenti per tradurne il senso o captarne altri, più forti, più intensi, l’immagine è come la musica, non conosce lingua… è universale. 

Ho scelto la fotografia come tema del mio matrimonio, in una cornice scelta come bomboniera, ho voluto far incidere la citazione di uno dei maestri della fotografia in pellicola del secolo scorso, quando scattare una foto aveva un costo e quindi era giusto darle un messaggio trainante: 

“Le fotografie possono raggiungere l’eternità attraverso il momento.”

 Henri Cartier Bresson

Immortalerei questo tempo con una foto parigina di Elliott Erwitt, vista ad una mostra in Puglia due anni fa, è attualissima per questo periodo: un cielo grigio non riesce ad intaccare una scenografia da incanto, un uomo salta una pozzanghera con leggiadria (metafora di un ostacolo) mentre l’amore nel suo abbraccio più intenso colora di vita e riscalda un tempo freddo.

Mostra Elliott Erwitt – Lecce, Castello Carlo V, anno 2018

Emanuela Impieri

Mi chiamo Emanuela Impieri, sono nata a Roma 34 anni fa. In passato, la mia timidezza mi ha portato a guardare il mondo senza essere guardata, nascosta dietro la macchina da presa, la mia più grande passione. Ho curato la regia e scritto la sceneggiatura di vari cortometraggi per poi approdare alla tv locale romana, prima a "canale 10" poi per undici anni nel reparto tecnico di Retesole essendone anche la responsabile, per arrivare a collaborare con le tv nazionali. Sono stata docente di dieci Master in Giornalismo Radiotelevisivo per Eidos Communication. Mi piace lavorare e far la differenza proprio in quei settori in cui le quote rosa sono latitanti. Ho cambiato tutto per questo lavoro, città, amici, un’intera vita, finché un matrimonio e una bimba hanno rimescolato le carte per rinnovare tutto di nuovo. Per loro mi diletto a “mettere a fuoco” la mia vita sull’altra passione; cucinare, prima che per gli altri diventasse una moda. Perchè “Cucinare è come Amare o ci si abbandona o si rinuncia”. Il mio stile di vita.

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