Echi di luce e di speranza

Echi di luce e di speranza

Circa venti ore chiusi in uno spazio angusto. Una stanza di 9 metri quadri progettata per una persona dove spesso si ritrovano invece in tre. Un’ora d’aria, forse due. Sguardi, risposte e toni di voce condizionati da una telefonata ricevuta il giorno prima da casa oppure da un colloquio andato bene o male con l’avvocato. La possibilità di riunirsi nelle sale comuni. Frequentare le attività scolastiche o lavorative. E’ così che scorre la vita in carcere. Aspettando di uscire dal buio, ricercando degli echi di luce e di speranza, a cui aggrapparsi.

Il grado di civilizzazione di una società si misura dalle sue prigioni.

Fëdor Dostoevskij

Per evadere, almeno in senso metaforico, da quel cancello oscuro ci sono le attività.

Lavorare, in particolare, durante il periodo detentivo rappresenta un’opportunità per reinventare se stessi con dignità. Significa impiegare la propria volontà per imparare e acquisire nuove capacità, per poter affrontare di nuovo il mondo al di fuori.

Dal 1998 l’Associazione Antigone è autorizzata dal Ministero della Giustizia a visitare i quasi 200 Istituti penitenziari italiani. Dal 2007 Antigone redige un rapporto annuale sulle condizioni di detenzione in Italia. Uno strumento di conoscenza per chiunque si avvicini alla realtà carceraria. Nel 2019 è stato pubblicato il quindicesimo rapporto

Secondo i dati forniti da Antigone, al 31 dicembre 2019 erano 18.070 i detenuti coinvolti in un’attività lavorativa, anche solo per poche ore settimanali, vale a dire il 29,74% del totale delle persone recluse. Le donne costituivano il 5,6% dei detenuti lavoratori e gli stranieri il 35,2%. La stragrande maggioranza era impiegata dalla stessa Amministrazione Penitenziaria, in servizi di istituto legati alla pulizia, consegna dei pasti e atri piccoli incarichi. Delle 2.381 persone che lavoravano per soggetti diversi dall’Amministrazione, il 28,6% lo faceva al di fuori del carcere, il 33,9% era composto da detenuti in semilibertà, l’8,86% lavorava dentro il carcere al servizio di imprese mentre il 28,7% lo faceva al servizio di cooperative.

Un fattore importante il lavoro. E’ stato infatti dimostrato nei numeri che avviare un percorso lavorativo di rieducazione all’interno del carcere, riduce il rischio di una recidiva al 5 per cento. Nel caso contrario, secondo le fonti ministeriali, il rischio di delinquere, una volta fuori, è ancora intorno al 75 per cento.

Il lavoro in carcere dunque dovrebbe avere la funzione di promuovere la reintegrazione sociale. Più facile a dirsi che a farsi.

Lazio, Toscana, Veneto. Rebibbia, Gorgona, Due Palazzi. Sono solo degli esempi di un’Italia che ci crede, progetti che testimoniano l’importanza del fare.

Gruppo Idee

Dal 2007 all’interno del carcere romano di Rebibbia opera l’Associazione Gruppo Idee. Nata dalla volontà di un gruppo di detenuti, per dimostrare che gli sbagli e la privazione della libertà non impediscono la capacità di reinventarsi e riscattarsi.

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Echi di luce e di speranza

La finalità dell’Associazione è quella di aiutare e essere utili. Così ogni giorno i volontari sostengono chi ha voglia di rimettersi in gioco e cerca di recuperare un suo ruolo all’interno della società civile.

Presidente del Gruppo Idee, Associazione di promozione sociale è Massimiliano Baldoni.

L’importanza che può avere il lavoro per chi è in carcere posso testimoniarlo io direttamente. Nel 2008 all’interno di Rebibbia ho conosciuto un detenuto. E’ stato uno dei promotori del Gruppo Idee. E poi, quando ha avuto i permessi per il regime di semilibertà, ha approfittato di questa seconda opportunità che gli ha regalato la vita. Una persona talmente decisa e costante che nel momento in cui ha avuto bisogno di eleggere un domicilio, non ho esitato a dargli quello di casa mia.

Corsi di formazione, attività culturali e sportive, reinserimento per detenuti in misura alternativa. E ancora sostegno alla persona e alle categorie svantaggiate. Organizzazione di eventi. L’impegno nelle attività mentali e creative.

Ci sono tante persone che nel corso di questi anni si sono reinserite nel lavoro e nella vita. Chi si è aperto un negozio di computer, chi lavora in un vivaio. Quello che si viene a creare è uno straordinario rapporto di fiducia: noi la concediamo per primi, ma poi loro capiscono e sentono questa connessione ricambiando nei fatti la nostra aspettativa.

Il lavoro per un detenuto è importante. Al di là dell’Italia, lo dimostra l’esempio del Nord Europa dove esiste un basso tasso di recidiva. E questo grazie al fatto che lì vengono poste in essere da subito, non appena si varca la soglia dell’istituto detentivo, tutte quelle attività mirate all’espiazione e al reinserimento.

Noi come Gruppo Idee lavoriamo a Roma, a Rebibbia. Con grandi soddisfazioni. Ci sono due progetti, oltre quello sportivo che stanno dando nel tempo ottimi risultati.

Made in Rebibbia

In campo femminile per le donne è nato Nero Luce, forse il progetto meglio riuscito del Gruppo. Ne siamo molto orgogliosi perché il sistema carcerario delle detenute è per molti aspetti più duro rispetto a quello maschile. Producono abiti e accessori e hanno fatto anche delle sfilate. Hanno ottenuto grandi riconoscimenti nel mondo dell’Alta moda e del Made in Italy. Ogni giorno sono impegnate in attività di sartoria, con la speranza che una volta uscite possano proseguire il mestiere con continuità.

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Echi di luce e di speranza

Le creazioni del brand NERO LUCE rappresentano la voglia di riscatto delle donne detenute a Rebibbia. Il nome stesso della linea di accessori e abiti simboleggia come nel buio della condizione carceraria si possa ritrovare la luce grazie a progetti concreti.

In campo maschile portiamo avanti da 12 anni il giornale Dietro il Cancello. A dirigerlo c’è Federico Vespa, con l’aiuto di Paolo Signorelli. E’ un bimensile realizzato dai detenuti. Il giornale è nato con l’intento di rendere effettivo il diritto universale di esprimere la propria opinione.

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Echi di luce e di speranza

Il giornale che ha avuto inizio nel 2009, dal 2017 è regolarmente registrato. Racconta le storie di chi vive quotidianamente dietro il cancello. Detenuti, agenti, amministrazione penitenziaria, reclusi di altre carceri italiane e tutti coloro che da fuori, Istituzioni, mondo dell’informazione, società civile, vogliono dialogare, riflettere e confrontarsi. All’interno della redazione si svolgono inoltre incontri e lezioni con giornalisti professionisti e esponenti del mondo culturale.

Un giornale che trae il suo contenuto dall’esperienza del carcere. E poiché ovviamente tutto passa sotto la lente d’ingrandimento della Direzione carceraria, il nostro compito è quello di correzione e indirizzo delle varie tematiche. Vengono trattati anche temi legati all’attualità. In questo particolare periodo il Covid è in primo piano. E’ un argomento che purtroppo i detenuti sentono molto. Le restrizioni, imposte a causa dell’epidemia, hanno portato tutti in regime di 41 bis con pochissimi contatti con l’esterno e con le famiglie.

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Echi di luce e di speranza

All’inizio la redazione era composta da 13 persone. Poi dal 2017 è stato possibile inserire solo un massimo di 7 persone. Siamo fieri della nostra realtà. Ormai siamo talmente tanto consolidati all’interno di Rebibbia da avere una saletta tutta per noi. La distribuzione del giornale per metà avviene all’interno del carcere mentre l’altra metà la facciamo noi all’esterno. E vengono consegnate copie anche ai magistrati di sorveglianza.

Aiutare i detenuti a comunicare con l’esterno. Accompagnandoli nel voltare pagina, anzi a scriverne una nuova. E’ questo il senso del giornale e delle altre iniziative. Strumenti per costruire una libertà interiore per chi ha come indirizzo temporaneo quello del carcere.

Frescobaldi-Gorgona

In Toscana ad agosto 2012 è nato il progetto Gorgona, grazie alla collaborazione tra Marchesi Frescobaldi e il carcere di Gorgona, unica isola-penitenziario in Europa.

Gorgona è la più piccola isola del Parco Nazionale Arcipelago Toscano, lunga tre km e larga appena due. E’ una colonia penale all’aperto. I detenuti trascorrono qui il loro ultimo loro periodo di reclusione. Lavorano a stretto contatto con la natura, coltivando i campi, producendo formaggio e miele, allevando bestiame e pescando.

Frescobaldi è un’azienda storica che dal 1300 produce vino. Una cantina pluripremiata. Che si è arricchita negli ultimi anni di una vigna che tocca il cuore. E’ quella che si trova sull’isola carcere.


Obiettivo del progetto Gorgona è permettere ai detenuti di fare un’esperienza concreta e attiva nel campo della viticoltura. Sviluppando professionalità che possano servire loro in un futuro reinserimento nella realtà lavorativa e sociale. Con la collaborazione e la supervisione degli agronomi ed enologi Frescobaldi.

L’isola che non c’è

Gorgona è diventata simbolo di speranza e libertà. Qui lavorano duramente degli uomini che si trovano in una situazione difficile ma che hanno voglia di riscattarsi. Un progetto sociale per un nuovo futuro.

Tutti i proventi derivanti dalla vendita delle bottiglie vengono reinvestiti nel progetto.

Dietro una bottiglia di vino c’è la fatica di tante persone. Quindici detenuti, a giro nel corso dell’anno fra i circa settanta, che ospita la colonia penale agricola istituita nel 1869. Curano la vigna come se fossero degli effettivi dipendenti dello storico gruppo vitivinicolo fiorentino, con tanto di stipendio.

Communication Manager del Gruppo Frescobaldi è Andrea Orsini Scataglini.

E’ un progetto sociale che porta quasi a zero il rischio di recidiva. E’ come dovrebbe essere realmente il carcere. Una volta in libertà, lo stipendio che percepiscono a Gorgona diventerà una base da cui ripartire, limitando il rischio della recidiva. Altrimenti una volta fuori che alternative avrebbero?

E’ un carcere premiante perché arriva sull’isola solo chi si è comportato bene nelle rispettive carceri di partenza.

I detenuti raggiungono Gorgona a fine pena, quando hanno da scontare gli ultimi cinque anni. E devono possedere determinati requisiti. Una volta qui sono i primi che vogliono che all’interno del penitenziario non accada nulla.

Si respira un’atmosfera particolare, che sa di buono. E’ un progetto talmente originale che suscita notizia anche all’estero. Qualche tempo addietro gli Stati Uniti ci chiesero di realizzare lo stesso programma in una prigione Californiana. Purtroppo però negli States i prodotti del carcere non posso essere venduti e distribuiti all’esterno quindi, una volta imbottigliato, il vino doveva essere distrutto. Declinammo gentilmente l’offerta.

Del vino di Gorgona vengono prodotte solo 9000 bottiglie ogni anno. La richiesta supera l’offerta. Ed è venduto anche a cento euro a bottiglia. .

E’ un vino pregiato. I detenuti ne sono orgogliosi. Per loro sentire che c’è gente che compra una bottiglia così cara, frutto del loro lavoro, è come tornare bambini e vedere Babbo Natale che cammina per strada.

Sono uomini che si impegnano e imparano. Proprio grazie a queste viti credono in un futuro.

Da otto anni lavoro nelle vigne di Gorgona, ho imparato un mestiere, mi sento utile e soddisfatto”.

Penso che un giorno, quando avrò scontato tutta la pena, potrò impegnarmi per avere una vita normale”.

Oggi grazie ai soldi guadagnati riesco a mantenere i miei figli a fare loro dei regali. Quando si parla di Gorgona, sui giornali o in tv, mi fanno essere orgoglioso perché dicono: è l’isola di papà, è il vino di papà. E io sono felice”.

Per Andrea Orsini a Gorgona sono le relazioni umane a vincere.

Noi ci mettiamo a disposizione su ogni fronte perché è qualcosa di cui siamo innamorati. Il Marchese Lamberto Frescobaldi prima di tutti noi è stato conquistato e affascinato dal luogo e dalle persone.

Lui che, insieme ad altri imprenditori, ha ricevuto la mail il 14 agosto del 2012 dall’allora Direttrice del carcere. Lui che unico, alla vigilia di Ferragosto, ha risposto e si è recato subito sul posto facendo partire il progetto.

A Lamberto Frescobaldi piace andare in quella vigna del cuore e parlare con i detenuti

Una volta raccontò un’episodio che gli era capitato a Gorgona, nel periodo in cui si assaggiava il vino. Era rimasto solo con uno dei carcerati, che di sicuro non si trovava lì per aver rubato dei biscotti. Il detenuto di nazionalità sovietica, con una stazza non indifferente, un’altezza di circa due metri e due belle mani possenti. Il Marchese assaggiava e sputava, assaggiava e sputava. Chi lavora quella vigna però è molto geloso e protettivo verso il proprio lavoro. All’ennesimo assaggio e sputo, il detenuto, alquanto infastidito, posò pesantemente la sua mano sulla spalla di Lamberto Frescobaldi il quale, diciamo, che ebbe un sussulto e un brivido. Il detenuto chiese: perché sputi, non ti piace il vino? E Lamberto Frescobaldi dovette spiegare in modo sorridente e gentile, calmando e rassicurando l’uomo, che non stava bevendo esclusivamente perché in seguito avrebbe dovuto guidare.

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Storie di dignità e amor proprio.

Dal 2012 Frescobaldi collabora con Gorgona. I detenuti vengono assunti come qualsiasi altro loro dipendente. Le persone di questa prigione si sentono motivate. E alcuni di loro lavorano per l’azienda anche dopo aver scontato la detenzione.

Il lavoro allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno.

Voltaire

Un vino attraente e selvaggio, lo ha definito così Lamberto Fresobaldi, presidente della Marchesi Frescobaldi, che a più riprese ha ribadito quanto questo progetto lo renda ogni anno sempre più orgoglioso. “A Gorgona, nei profumi e nei sapori, c’è l’essenza di questa terra e di un progetto che non finisce mai di regalare emozioni. Gorgona è l’isola che non c’è, l’isola dei sogni che grazie a queste bottiglie varca il mare, supera i confini, racconta ogni anno nuove storie e porta messaggi in tutto il mondo.

Un’esperienza carceraria unica. I cui fattori principali sono la fatica, l’apprendimento e la dedizione.

Pasticceria Giotto

All’interno della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova dal 2005 opera in un laboratorio che è insieme scuola di mestiere e di vita, La Pasticceria Giotto.

Echi di luce e di speranza

Una pasticceria fuori dagli schemi. Con due elementi distintivi: la qualità del prodotto e il valore umano. Denominatore comune: il lavoro e un progetto, che mette al centro gli uomini e la loro dignità. Per un risultato preciso: il riscatto personale e il reinserimento sociale.

Da una parte c’è l’occhio imprenditoriale, dall’altra c’è l’attenzione alle persone che devono e vogliono reinserirsi nella società. Con un lavoro vero, professionale, guidato e retribuito. E che permetterà loro di ricominciare una vita nuova.

La bontà nel carcere

Nata nel 2005, la pasticceria Giotto oggi è conosciuta in tutto il mondo e insignita di molteplici premi, per la bontà e la qualità dei suoi prodotti. I classici panettoni e le colombe pasquali, i dolci freschi, la cioccolateria e il gelato. Tutti rigorosamente fatti a mano dal primo all’ultimo passaggio.

Echi di luce e di speranza

All’interno del Due Palazzi i profumi della pasticceria iniziano a diffondersi ogni giorno dalle 4 del mattino. La produzione deve essere preparata entro le 6. Cornetti e brioche vanno sfornati in tempo per le colazioni di bar, alberghi, ristorazioni.

Le voci entusiaste e gli occhi che brillano raccontano la soddisfazione nel fare qualcosa di buono.

I detenuti girano con coltelli in mano ma non accade nulla. Hanno un lavoro vero, non forzato. Sono regolarmente assunti e retribuiti. Possono mandare qualche soldo a casa. Trovano la forza di dire ai figli di non prendere brutte strade senza doversi vergognare. Si riscoprono fieri quando sanno che nelle stanze dei figli, accanto al poster di Ronaldo, è stata appesa la prima busta paga guadagnata dai loro papà in carcere.

Echi di luce e di speranza

Farina, lievito, uova, cioccolato, canditi. Le mani impastano e creano. Il profumo che si diffonde contiene tutto l’aroma intenso della libertà. Della gratitudine. E della gioia. Pure nel fare gli auguri di Natale.

E’ soprattutto in prigione che si crede a ciò che si spera

Honoré de Balzac

Il lavoro all’interno del carcere ha un odore particolare. Profuma di pagine stampate e di abiti d’alta moda, di un vino nobile e pregiato, di dolci apprezzati e premiati. Soprattutto è intriso di impegno e fatica.

Il lavoro dietro quelle sbarre lo senti gridare. E urla libertà. Sebbene intorno ci siano muri, guardie e celle.

Avanti! Urla, urla! Butta tutto fuori.

SHOUT TEARS FOR FEARS

Esempi come Rebibbia, Gorgona e Due Palazzi ce ne sono pochi in Italia. Perché si devono avverare tre condizioni necessarie. La prima è che ci sia lo spazio all’interno del carcere. La seconda è che sia accordata la disponibilità da parte dell’amministrazione del penitenziario. La terza è che si presenti un’impresa disposta a rischiare, in termini economici ma anche di fiducia.

Però quando si verificano quei presupposti allora si compie appieno anche lo spirito dell’articolo 27 della nostra Costituzione.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato

art. 27 Cost.

Le sbarre del carcere e tre esempi di fiducia, orgoglio e reinserimento. Le loro storie sono come una conchiglia piena di echi, che risuonano a lungo nella mente e nel cuore. E vibrano di luce e speranza.

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Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

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