In un ripostiglio buio e gelido

In un ripostiglio buio e gelido

Una bambina di nove anni. Affamata e assetata. In un ripostiglio buio e gelido. Luogo di punizione, riparo e disperazione. Violenze fisiche. Abusi sessuali. Sangue sparso, tanto, durante i riti satanici. Una chitarra abbandonata sul treno. Nessuno spazio per la gioia. Una bambina di dieci anni nel branco della prostituzione. Nei fine settimana perversi e raccapriccianti. Genitori consapevoli di tutto. Loro stessi carnefici, seviziatori e complici di altri aguzzini. Un’infanzia torturata. Un padre con la mano sul grilletto. La pistola, puntata alla tempia della figlia di sedici anni. Lo sguardo di ghiaccio e il tono deciso: “io ti ammazzo”. Istantanee. Fotografie di orrori realmente accaduti.

Nove, dieci e sedici anni. Non tre storie differenti ma un’unica sconvolgente verità.

Protagonista involontaria di tutto è Eleonora Aloise Pegorin, più semplicemente Ele.

Di lei molto si è parlato nei mesi scorsi. Poi il Covid ha spazzato via e annullato notizie e fatti, che andrebbero invece evidenziati e denunciati con maggior volontà.

Sono nata in un paese del Piemonte, una rigida mattina di dicembre e dal quel giorno il freddo ha colpito la mia giovane vita. Non era solo la temperatura invernale a toccarmi, ma il gelo di una mamma che non mi voleva.

Difatti non voluta, Ele viene affidata alla nonna materna. Con lei trascorre i suoi primi nove anni. Riceve un’educazione severa, impartita da una donna risoluta e guerriera.

Ho vissuto amata e guidata. Con regole e dettami educativi antichi, con cibo e vestiti puliti. Piccole e semplici cose che, una volta che la mia nonna volò prematuramente verso cieli Infiniti, mi mancarono e mi furono negate. Per molto tempo.

Alla tenera età di nove anni Ele intraprende un lungo viaggio. Le cui fermate principali sono state angoscia e mostruosità.

Morta nonna, ritornai dai miei genitori. I quali non mi considerarono mai figlia, ma sempre un peso, un oggetto, un qualcosa che non volevano. E per farmelo capire fecero di me, del mio corpo e della mia anima, il peggio che si possa immaginare.

Una donna, la mamma, che soffriva di un disturbo bipolare del comportamento. Un uomo, suo padre, un carabiniere in congedo, alcolizzato e troppo in vista. Intorno a loro, chi sapeva e conosceva la verità, non faceva nulla per “paura”.

Dall’età di 9 anni sono stata segregata in un ripostiglio senza cibo e acqua. Qualsiasi giorno fosse. Che facesse caldo o freddo, che si festeggiasse il Natale o la Pasqua. Provavo a dire, a confessare e a denunciare ma quell’incubo non finiva mai. Andavo a scuola e scrivevo nei temi gli abusi a cui mi sottoponevano i miei genitori. Raccontavo delle sette e delle organizzazioni pedofile. Nessuno però mi degnava di ascolto.

Ho deciso di ingrassare fino a 140 chili, per fare in modo che nessuno potesse guardarmi e desiderare il mio corpo. Ho sofferto e mi sono procurata io stessa delle ferite.

Lesioni fisiche e psicologiche, che porto e porterò dentro per sempre.

Per tutto ciò che ha subito, Ele è stata assimilata a una reduce di un campo di sterminio. Il nostro cervello infatti codifica e registra, su di lui si possono leggere le impronte degli eventi di vita, ogni esperienza lo scolpisce e lo rende unico. Come unica e straordinaria è Ele, che ha sofferto anche di anoressia e bulimia. E i DCA restano sempre in agguato, in un percorso a dir poco complicato.

Ele come un’equilibrista cammina nella sua realtà, quella fatta di una stabilità conquistata giorno dopo giorno. Però ogni tanto i ricordi si affacciano in modo subdolo. E’ sufficiente un profumo oppure un’immagine o una domanda e in un battito di ciglia, si ritrova catapultata indietro a giorni e anni di torture mentali e materiali. Flashback di sensazioni, fragilità e abissi.

Basta che un rumore, un odore, già uditi o respirati un tempo, lo siano di nuovo, nel passato e insieme nel presente, reali senza essere attuali, ideali senza  essere astratti


MARCEL PROUST

Due tribunali si sono occupati del caso di una Eleonora non ancora maggiorenne. Carte insabbiate, fatti sommersi e amicizie influenti. Un nulla di fatto che ha lasciato una minorenne ai suoi genitori, al suo inferno.

Mia madre mi insultava e bastonava urlandomi che non valevo niente, Anche se tornavo da scuola con un dieci! Una volta, ero piccola, mi prese per le gambe e mi appese a testa in giù al di là della ringhiera del balcone.

I libri, la musica, la pittura sono stati la salvezza di Eleonora. Anche in quella realtà di dannazione. Rintanata in un suo personalissimo mondo, salvaguardava la sua mente.

Cercavo un rifugio nelle carezze di chiunque. E invece era la musica il mio rifugio. La mia chitarra, che purtroppo rappresentava un simbolo di gioia inaccettabile, nel contesto in cui mi trovavo. Essere contenta non mi era consentito. Se papà si accorgeva che, di nascosto, la suonavo, la faceva a pezzi.

Poco dopo il compimento dei diciotto anni, Ele si regala la libertà. Decide di andare via da casa. Fugge, lascia tutto. Sparisce e si ricostruisce. Inizia a rimettere insieme qualche pezzo.

Passano molti anni ma poi l’incubo bussa di nuovo alla porta di casa.

Ero riuscita ad avviare una ludoteca e un ufficio di servizi. Avevo preso una casa. Stavo andando avanti.

Tuttavia Ele non era ancora in salvo, non era del tutto concluso il cerchio del dolore.

I miei genitori si rifanno vivi, dichiarando di essere cambiati e chiedendo perdono. Ricompaiono loro e io, che non ho voluto altro per tutta la mia esistenza che essere abbracciata e accarezzata dalla mia famiglia, li accolgo nella mia nuova vita. Perdono e perdo tutto.

In una giornata di agosto, quando Ele ha ventisette anni, conosce Franca. Si trovano in un pellegrinaggio che compiono entrambe verso il santuario dedicato alla Madonna delle lacrime, a Siracusa. Tra loro nasce subito un grande affetto. Qualche mese più tardi il loro incontro si dimostrerà per il miracolo che è stato.

All’ennesimo episodio di violenza, in un terribile mese di marzo, in cui mio padre mi spezza le gambe, Franca mi chiede di trasferirmi da lei. E diventa la mia salvezza. Io lascio ogni cosa. Di nuovo. Perdo la casa e il mio lavoro, che con tanti sacrifici avevo messo in piedi.

Proprio però mentre andava tutto a rotoli, prodigiosamente diventai, per la prima volta, figlia. Cosa significasse essere madre lo sapevo, perché continuavo a cercarne una, in ogni figura femminile che si poneva verso di me in modo gentile. Però è con Franca che ho capito davvero cosa volesse dire essere una figlia.

In un ripostiglio buio e gelido

A ventisette anni Ele conosce la sua mamma adottiva.

Dopo aver passato i primi nove anni con l’affetto della nonna. Dopo aver trascorso altri nove anni accerchiata da orrori, abusi e riti satanici, mentre viveva a casa con i genitori. Passa altri nove anni da sola dedicandosi ai libri e al lavoro, tra alti e bassi e ulteriori dolori. Per incontrare al fine il suo regalo, quella persona che l’ha accolta e restituita al mondo.

Quando la mia mamma mi ha conosciuta ero in pieno autolesionismo e anoressia. Mangiavo, a fatica, un biscotto al giorno. Lei mi ha curata con una quantità di bene, che fino a quel momento non immaginavo esistesse.

Lei mi ha aiutato a studiare e io ho studiato tanto. E sono giunta alla Laurea.

Dobbiamo essere grati alle persone che ci rendono felici. Sono i premurosi giardinieri che fanno fiorire la nostra anima

MARCEL PROUST

In realtà, quando non ero preda dei miei genitori o dei loro amici, chiusa nello sgabuzzino ho sempre aggrappato le mie unghie ai libri. Divorandoli, perché erano gli unici mondi in cui mi sentivo al sicuro. E’ vero, la cultura ci rende liberi.

A proposito di libri…

Oggi Ele è anche la protagonista del romanzo Il dolore sospeso.

In-un-ripostiglio-buio-e-gelido
In un ripostiglio buio e gelido

Pagine che sono un viaggio introspettivo nei tormenti, nella rabbia e nella tenerezza. Sensazioni contrastanti. Partenze e ritorni di un dolore che non si può anestetizzare e con cui Ele ha imparato a convivere. Un libro intenso, forte e dolce.

In-un-ripostiglio-buio-e-gelido

Duecentosette pagine, trecentosessantacinque giorni in un cassetto, sei anni per scriverlo. La Dottoressa Maria Antonietta D’Onofrio è la scrittrice, autrice del romanzo, che si è messa in ascolto di un’infanzia massacrata e fatta a pezzi e che con coraggio ha messo mano a quel magma incandescente di sofferenza pura.

.

Il Dolore sospeso descrive il peregrinare di Ele in un mondo fatto di luci e ombre. Di madri e figlie. Di uomini spietati e mostruosi. Tratteggia un dolore che è sempre pronto a riuscir fuori, sospeso nel tempo e nello spazio.

Parla di un’anima ostinata e combattiva. Dell’incubo di una bambina. Di un’adolescente abusata. Di giorni e notti senza cuore e senza anima. Però racconta anche di una giovane donna innamorata della vita.

Eleonora oggi ha trentasette anni e uno scopo: aiutare. Chi ha bisogno di sostegno e protezione e non sa come fare.

Scappare dall’inferno mi ha resa libera. Libera di raccontare per ammonire e dire “non ci si salva da soli, ma insieme. Denunciando, si può fare la differenza”.

Curo l’anima degli altri. Sono una pedagogista, ascolto le sofferenze di bambini, adolescenti e adulti. Perché il mio male nessuno ha mai voluto né vederlo né ascoltarlo. E sono consapevole di quanto sia fondamentale invece non passare inosservati. Io più di tutti so di cosa ha bisogno chi vive nell’angoscia e nel tormento.

Ele ha fondato e presiede AllegraMente Insieme che si occupa di infanzia, genitorialità e riabilitazione alla disabilità.

In un ripostiglio buio e gelido
In un ripostiglio buio e gelido

Porto la mia testimonianza di resilienza e rinascita a tutte le donne, vittime di qualsiasi tipo di violenza, con la fiducia che il segnale arrivi anche solo a una di loro. Non lo faccio per denaro certo, ma per amore.

E pure il romanzo scritto su di me non ha scopo di lucro, ma solo l’intento di sensibilizzare e indicare una luce.

La storia di Ele toglie l’aria, fa mancare il respiro.

Ancora, in questo momento mentre finisco di scrivere, cerco ossigeno. Sono in apnea.

Ho provato e provo un grande senso di rabbia verso chi doveva proteggere quella bambina e invece ne faceva scempio. Mi sono riconosciuta impotente di fronte a una violenza disumana e malata. Insieme a Ele, mi sono sentita io stessa abusata e violata, mentre restavo invisibile e inascoltata.

Ho immaginato quella bambina rinchiusa nel ripostiglio, che pregava affinché nulla le potesse accadere. Ho sentito sul mio viso le sue lacrime calde, che chiedevano affetto e abbracci.

Notti senza cuore Da non aver pietà A parlare agli angeli qualcuno sentirà Notti senza nome Da far tremare il cielo

Notti senza cuore – Gianna Nannini

Nella sua giovane vita Eleonora ha attraversato il rifiuto e l’oscurità. Per arrivare infine a rivedere quel firmamento, che permette ai marinai di orientare la rotta della navigazione, impedendo loro di smarrirsi. Per intraprendere un nuovo cammino di luce e fiducia dopo aver camminato tra le tenebre.

E quindi uscimmo a riveder le stelle

 (Inferno XXXIV, 139) – ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Ascoltare la voce di Ele è come udire una via d’uscita, un segno di speranza per l’umanità. Lei che è riuscita a perdonare la sua mamma biologica e condonare in qualche modo il suo passato. Diffonde un suono che trasmette l’urgenza di vivere, la tenerezza e l’ottimismo.

Possa la tua scintilla vitale, Ele, contagiare tutti noi.

SEGUI DISTANTI MA UNITE! Se ti è piaciuto l’articolo lascia qui di seguito il tuo commento e partecipa al nostro sondaggio perché La tua opinione conta! E soprattutto non dimenticarti di seguire le nostre pagine social Facebook, Twitter e Instagram! Ti aspettiamo con un ricco calendario ogni giorno pensato per voi!

Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *