Il peso della valigia: italiani a Londra post Brexit
Ho capito, vivendo a Londra, che due inglesi fanno un popolo, ma 57 milioni di italiani no!
Claudio Ranieri
E’ il 31 gennaio 2020 quando il Regno Unito lascia ufficialmente l’Unione Europea. Con la fine della libera circolazione delle persone da e per i territori della Corona, termina anche la possibilità di partire all’avventura per studiare o cercare un lavoro a Londra e dintorni.
Erano invece altri tempi, esattamente 10 e 9 anni fa, quando in cerca di fortuna Cristian Mantio e Luca Roveri lasciano l’Italia, con una valigia carica di sogni e speranze.
Oggi quei due ragazzi dall’aria timida e con gli occhi buoni, sono degli uomini. A cui mi lega un rapporto di profonda stima e amicizia.
La loro storia è comune a quella di tanti giovani costretti ad emigrare per realizzare i loro desideri di crescita professionale. Dei tanti che in Italia si sono visti porte sbattute in faccia e, a malincuore, hanno scelto di rischiare il tutto per tutto allontanandosi dagli affetti e dal proprio porto sicuro. Per iniziare un nuovo capitolo della loro vita, lontano dai luoghi che li hanno visti crescere.
Conosco quel peso sullo stomaco, quelle lacrime di malinconia, quel groppo alla gola, quella sensazione di incertezza e allo stesso tempo di euforia. Le gambe che tremano ma che vogliono correre veloci, perché sanno di dover correre più veloci di quelle degli altri per farsi strada, per emergere. E sono pochi quelli che ci riescono.
Cristian e Luca sono due di coloro che possono dire di avercela fatta. E oggi fanno parte di quel nutrito gruppo di Italiani a Londra che, dati alla mano, rappresenta la più grande comunità di nostri connazionali all’estero. Un’immigrazione scoppiata in particolare negli ultimi vent’anni e che adesso rischia una brusca frenata per via delle nuove regole e disposizioni imposte dalla Brexit.
Cristian Mantio e i suoi sogni di gloria
Se chiudo gli occhi mi sembra ancora di sentire il suono della sua voce. Mentre camminiamo per le strade del Foro Italico, lui con la sua telecamera in spalla, io con il microfono in mano. E’ il 2009. A Roma ci sono i Mondiali di Nuoto. Sogniamo ad occhi aperti mentre giriamo l’ennesimo stand-up.
L’Italia gli sta stretta. Cristian sogna in grande e ha tutte le capacità per diventare ciò che desidera essere. Ma il suo destino lo attende oltre confine. Oggi è direttore della fotografia e cameraman per la BBC.
Sono nato e cresciuto in una piccola cittadina ligure. Dopo la laurea in Filosofia e Storia all’Università di Genova mi sono trasferito a Roma per frequentare un master in scrittura cinematografica e televisiva. Gli anni nella Capitale sono stati molto formativi e ho stretto moltissime amicizie che mi porterò sempre dietro.
Poco dopo il master ho iniziato a lavorare in televisione, come producer/director per Sky. Da lì è nata la passione per le riprese video. Così mi sono iscritto ad un corso di fotografia per imparare le basi e ho cominciato a lavorare come cameraman. Dentro di me sapevo già di voler lasciare l’Italia ma per farlo dovevo imparare un lavoro dove la lingua non fosse stata una barriera. Le immagini, come la musica, parlano un linguaggio universale.
Dopo qualche anno, esasperato dal panorama lavorativo romano, ho lasciato l’Italia. Ho trascorso tre mesi a New York, dove mi sono focalizzato principalmente sull’imparare la lingua. New York mi ha cambiato radicalmente e mi ha fatto capire almeno due cose. Primo, che non potevo più vivere in Italia e, secondo, che se volevo continuare a fare il lavoro che amavo, Londra era una delle poche città Europee che poteva offrire buone possibilità.
Quando sono arrivato qui ho lottato con ostinazione per continuare a fare il mio lavoro. Ricordo che, dopo un anno di lavoretti saltuari ed aver finito tutti i miei risparmi, alla fine del 2011 mi sono detto che se non avessi trovato lavoro entro un mese avrei lasciato Londra definitivamente.
Il 10 Gennaio 2012, decisi di mandare l’ultimo Curriculum ad una company che avevo trovato su internet. Spensi il laptop e pensai che ne avevo avuto abbastanza. Il giorno dopo avrei comprato il biglietto di ritorno. Avevo perso la mia scommessa con Londra e non aveva più senso insistere. Dopo venti minuti ricevetti una telefonata. Era il manager di quella stessa company. Mi voleva incontrare. Dopo qualche giorno iniziai a lavorare e iniziò la mia nuova vita.
Ancora oggi mi chiedo come sarebbe andata senza quella email.
Onestamente quello che ricordo di più di quel periodo sono…le lacrime!
Cristian Mantio
Dopo qualche anno, quasi per caso, ho risposto ad un annuncio sul sito della BBC. Ho mandato un curriculum, ho fatto un test pratico e due colloqui e mi hanno offerto un contratto di 6 mesi. Ricordo che sono tornato dal mio manager, l’ho ringraziato tantissimo per tutto quello che aveva fatto per me e gli ho detto, quasi a malincuore, che volevo provarci. Lui da vero inglese mi ha semplicemente detto “You have done well here, I can’t stop you. You have to do what you have to do!” (Hai fatto bene qui, non posso fermarti. Devi fare quello che devi fare). Così ho lasciato quella posizione a tempo indeterminato per quel contratto di pochi mesi alla BBC.
Sei anni dopo sono ancora qui, cameraman per le News di Londra. E sono anche diventato rappresentante del sindacato interno, mi batto per i diritti dei lavoratori della BBC. Grazie a questo lavoro ho assistito a storie – e incontrato persone – straordinarie in questi anni. E non è sempre facile. Gli attentati terroristici del 2017, la tragedia di Grenfell tower (ero sotto la torre il giorno che è bruciata) e nell’ultimo anno il Covid. Ma tutto questo mi ha permesso di capire un pochino meglio la complessità di questa incredibile metropoli.
Oltre al mio lavoro principale alla BBC ho collaborato a vari progetti come direttore della fotografia. Ho girato oltre dieci cortometraggi di cui due sono su Amazon Prime in UK & USA e un film (lungometraggio) che è stato distribuito finora in 7 paesi. E per finire insegno Film e TV production in varie università. Diciamo che mi dò da fare.
Sono cambiato molto in questi ultimi anni. Sono anche diventato padre.
Anni dopo posso dire che quella scommessa con Londra alla fine, in qualche maniera, l’ho vinta.
Cristian Mantio
Come sono stati i primi giorni a Londra?
Con un’espressione che usano qui: “overwhelming”. I primi giorni in un posto nuovo sono sempre “exciting”, un misto di confusione, frenesia e nuovi stimoli. Bisogna imparare come funziona un intero nuovo sistema in una delle città più grandi e complesse al mondo. Anche le cose più banali come cercare casa o aprire un conto in banca diventano vere e proprie imprese da raccontare agli amici. E soprattutto portano via tempo, molto tempo. Vorresti goderti un minimo la città ma molto spesso, a fine giornata, ti senti solo esausto. Quando mi sono trasferito qui non conoscevo quasi nessuno quindi ho dovuto imparare tutto questo sulla mia pelle.
Ero già stato a Londra in passato ma sempre per esperienze brevi. E’ diverso quando arrivi qui con l’intenzione di ripartire da zero e senza un biglietto di ritorno in tasca.
Non nascondo che il primo anno è stato difficilissimo, a tratti estenuante. Sono arrivato qui con la mia compagna alla fine del 2010, in piena recessione. Era un periodo molto particolare. Un po’ come ora per certi versi, anche se questa crisi è dovuta esclusivamente al Covid più che ad una situazione economica generale.
Dopo il primo mese di assestamento le giornate si sono allungate incredibilmente, giornate intere passate a mandare Curricula, a compilare working applications, a bussare a porte chiuse. La frenesia iniziale ha lasciato ben presto posto alla paura di non farcela. E la tentazione di mollare e tornare a casa è stata forte.
Sole e pioggia, neve e tempesta. La paura di non farcela accomuna da sempre chi, per necessità o spirito di avventura, lascia la comodità delle proprie quattro mura per esplorare il mondo e tentare la fortuna in terra straniera.
Per molto tempo, gli italiani a Londra hanno abitato nel quartiere Little Italy e venivano identificati soprattutto come “addetti alla ristorazione e bar” per l’innata passione per la cucina, il caffè, la pasta e la pizza. Oggi gli Italiani nella Capitale britannica sono sempre più numerosi e presenti in tutta la città. Si occupano di qualsiasi mansione: negli ospedali, nei tribunali, nelle scuole, nelle banche, nelle grandi aziende, nelle start-up. Eppure trovare un lavoro è e rimane un’impresa tutt’altro che semplice.
Per prima cosa ci sono le difficoltà della lingua. Una cosa è avere un inglese scolastico buono, un’altra è lavorare e interagire in una città dagli accenti così diversi, specialmente se il tuo lavoro richiede un vocabolario ed una terminologia particolare. Secondariamente bisogna capire che qui si gioca secondo altre regole rispetto all’Italia. Imparare a scrivere il CV e la Cover letter (lettera di presentazione) sembrano cose scontate ma non lo sono.
Poi, se si è fortunati, bisogna affrontare il colloquio. Ci sono vere e proprie regole anche qui. Esistono persino persone che insegnano questo. La competizione è altissima e bisogna fare in modo di “stand out from the crowd” come dicono qui (distinguersi dalla folla).
E naturalmente c’è Londra. E tutte le problematiche che si porta dietro una città così dispersiva.
Come sono i londinesi nei confronti degli Italiani?
Iniziamo con il dire che Londra nel panorama inglese è un microcosmo a sé. Questa città si fonda sugli immigrati. Molti degli inglesi che ho incontrato non sono di qui ma si sono trasferiti a Londra per lavoro (da città come Manchester, Leeds, Norwich…). E poi c’è chi è nato e/o cresciuto qui ma spesso ha genitori immigrati. Sono quindi Londinesi ma con una forte identità culturale che appartiene ad altri <Paesi.
Non dico che non ho mai incontrato il razzismo ma in linea di massima i Londinesi sono più “open minded”. Sono abituati agli Italiani come lo sono al resto degli Europei, e non solo.
Un segnale forte di questo è stato dato durante il referendum sulla Brexit. Londra è stata una delle regioni (insieme alla Scozia e il nord Irlanda) dove il “remain” (quelli che hanno votato di rimanere in Europa) ha raccolto più consensi (con una media del 60% e punte del 70-75% in alcune aree). Gli europei sono parte della linfa vitale di questa città. E i Londinesi lo sanno bene.
Ecco forse una cosa si può dire: come Italiani siamo ancora apprezzati per la nostra creatività e la nostra flessibilità mentale. Notoriamente ci adattiamo più facilmente a situazioni nuove e diverse. E questo qui è visto come aspetto positivo, specialmente in ambito lavorativo.
Come funziona il mondo del lavoro a Londra? Quali sono le differenze rispetto all’Italia?
Londra può offrire molto in termini di carriera. Ma anche qui negli ultimi anni è diventato tutto più difficile. Una volta si veniva in Inghilterra in cerca di fortuna. E in molti ci sono riusciti. Ora non è più così scontato. In questi anni ho incontrato tanti ragazzi italiani, laureati e/o con esperienza, che dopo qualche lavoretto in un “cafè” hanno mollato.
Le differenze rispetto all’Italia? Il rispetto. Qui “if you know your stuff” (se conosci il tuo) vieni retribuito di conseguenza. E’ un mercato del lavoro molto flessibile ma c’è sempre un profondo rispetto per chi lavora.
Quando ho lasciato l’Italia ero stufo di inseguire pagamenti che non arrivavano mai. Pagamenti a 60, 90, 180 giorni. Pagamenti, che quando arrivavano, erano visti come un favore. Qui in molti settori, come la ristorazione, si paga ancora settimanalmente. Quando faccio lavori extra al di fuori della BBC sono le stesse persone per cui lavoro che mi contattano per chiedere di mandare la ricevuta. E dopo qualche ora i soldi sono in banca.
Ovviamente anche qui non è tutto rose e fiori. Ma almeno la legge ti protegge. Se non paghi puoi essere portato in corte di giustizia. E i processi sono veloci. Ma soprattutto qui se non paghi, perdi credibilità e rischi di creare il vuoto attorno a te.
E poi sicuramente cambia come viene visto il lavoratore. E su questo ho un piccolo aneddoto. Quando vivevo ancora in Italia e lavoravo a Sky come regista sono andato da quella che era allora la manager dei cameramen. Volevo imparare quel lavoro e ho chiesto di poter iniziare a fare l’assistente nei miei giorni liberi. Lavoravo già in quella società, sarebbe stata una cosa molto semplice. Mi è stato risposto che non sarei potuto mai diventare cameraman perché non avevo studiato per diventarlo e non ne sapevo niente. Discorso finito. Stop. Quando ho iniziato a lavorare qui il mio manager i primi giorni mi ha detto “Lo so che al momento sei confuso e pensi di non sapere niente. Non mi interessa se sbagli, quello che mi interessa è che ci provi. Quello che mi fa arrabbiare non sono gli errori ma le persone che nemmeno ci provano”.
Qui sei visto come un investimento per il futuro. In Italia no.
Cosa ti manca di più dell’Italia?
E’ difficile dire cosa mi manca di più del mio paese. Quantificare cose come gli affetti, la cultura, lo stile di vita. Mancano tante, troppe cose. Anche le piccole cose. Mi manca andare in moto sul lungotevere nelle serate di Ottobre, bere un espresso in riva al mare nella mia Liguria, telefonare ad un amico dopo lavoro per andare a prendere un aperitivo in centro. Qui devi metterti d’accordo almeno una settimana prima per incontrarti, e a volte nemmeno ci riesci. Non c’è settimana che passa senza il pensiero di voler tornare. Poi mi basta aprire un giornale italiano o sentire le storie di qualche amico, o ex collega, per cambiare subito idea.
“Quando uno lascia un paese, tutte le cose acquistano prima della partenza un valore straordinario di ricordo e ci fanno pregustare la lontananza e la nostalgia.”
corrado alvaro
Cosa ti piace della tua vita in Inghilterra?
Mi piace lo spazio che mi sono ritagliato in questa società. La mia famiglia, il mio piccolo mondo. Mi piace essere visto come un professionista e trattato come tale. Vivere dignitosamente e onestamente. Mi piace insegnare ai miei studenti. Insegnare quello che ho imparato attraverso gli errori.
Ah, e mi piace quando mia figlia di quattro anni mi corregge l’accento inglese. E’ una maestrina molto severa.
Rifaresti questa scelta?
Probabilmente sì ma ad un’età differente. Se fossi arrivato qui nei miei vent’anni invece che nei miei trenta probabilmente avrei affrontato il tutto con un’energia ed una spensieratezza che si ha solo a quell’età. Questo forse mi avrebbe aiutato ad affrontare meglio le difficoltà iniziali.
Com’è cambiata la vita di un italiano a Londra dopo la Brexit?
Per quello che mi riguarda personalmente, non molto. Tre anni fa, dopo il referendum – e soprattutto dopo la nascita di mia figlia – ho deciso di prendere la cittadinanza. Nessuno sapeva bene cosa sarebbe successo e non volevo rischiare di aspettare l’ultimo momento.
Negli ultimi sei mesi almeno sei persone che conosco, tra cui la mia compagna, hanno preso la cittadinanza. Per chi vive e lavora qui da molti anni è diventata quasi una necessità, più psicologica che altro. Ti tranquillizza sapere di avere un passaporto inglese nel cassetto in questo marasma generale.
Con il mio lavoro ho avuto la fortuna – e sfortuna – di seguire da vicino il referendum e il processo di mediazione durato quattro lunghi anni. E l’unica cosa chiara è la confusione delle persone.
Certo c’è un nuovo deal e ci sono nuove regole ma ancora è difficile capire i veri effetti della Brexit, anche perché effettivamente siamo usciti dall’Europa solo lo scorso 31 dicembre. E poi c’è la situazione attuale, con il Covid che ha mischiato le carte in tavola ulteriormente.
Che consigli ti senti di dare a un giovane che vuole trasferirsi a Londra per lavoro o per studio?
Innanzitutto il consiglio principale è quello di controllare bene le nuove regole. Il sito della BBC ha molti articoli al riguardo che rimandano direttamente al sito del governo inglese.
Dal 31 Dicembre non è più così facile trasferirsi qui. Fare una cosa come quella che ho fatto io, ad oggi, è semplicemente impensabile.
Se si è davvero convinti che Londra sia la città giusta, il consiglio principale è quello di scrivere un buon Curriculum e una buona cover letter e cominciare a mandare e-mails e contattare le companies. Oggi con Skype, Zoom e internet è tutto più facile. Non aspettate di arrivare qui.
Londra è una città difficile. Moltissime persone che vengono qui per lavoro, anche con carriere avviate, prima o poi decidono di andarsene. Probabilmente succederà anche a me in futuro.
Ma Londra non si ferma mai. Cambia continuamente. E questa città avrà sempre bisogno di europei preparati che hanno voglia di contribuire a questo cambiamento.
Luca Roveri: Londra, all’improvviso
Da Roma a Londra. Da un’emittente locale della Capitale d’Italia a un grande network britannico. Quando fianco a fianco stavamo davanti al computer a montare una delle nostre trasmissioni televisive non avrei mai immaginato che quel ragazzo buono, semplice, appassionato di rugby, avrebbe spiccato letteralmente il volo.
Era il 30 giugno 2012. Dopo poco meno di un mese sarebbero iniziati gli Olympic Games.
Tutto era iniziato per caso in un pomeriggio di primavera. Dovevo fare delle fotocopie a colori. Il tizio che gestisce la copisteria mi dice che ci vuole un po’, così decido di sedermi ad uno dei computer a disposizione e di andare su Facebook senza motivo. All’improvviso si apre la finestra di Messenger ed una mia vecchia conoscenza di nome Cristian mi saluta: so che lui vive a Londra e durante la conversazione scopro che ha trovato finalmente un buon impiego; ancora più all’improvviso mi comunica che, a causa delle prossime Olimpiadi, lo studio cerca più gente. Dico che ci penso, ma nella mia mente so già che a 33 anni è “ora o mai più”.
Dopo uno scambio di e-mail, la rigenerazione del mio curriculum, una settimana di prova mascherata da ferie a lavoro (eh già…), un volo trovato all’ultimo momento e una domenica passata a visionare quattro stanze, mi ritrovo un lunedì mattina a lavorare in una lingua che fino ad allora proveniva solo dallo stereo.
Ho passato 5 anni a 8 mesi a lavorare a Westminster Live Studios imparando nozioni, tecniche e tecnologie che non avrei immaginato prima di allora, ed a ricoprire quasi qualsiasi ruolo possibile per un tecnico audiovisivo in uno studio (tipo Rodrigo Taddei insomma…).
Sono passato alla BBC quasi tre anni fa: ancora una volta fu un ex collega, spagnolo, a segnalarmi l’annuncio, ma ero già deciso a guardarmi intorno a vedere cosa il resto dell’industria televisiva britannica potesse offrire. Feci un colloquio senza troppe pretese, studiando tutte le (benedette) fotocopie con cui negli studios mi avevano inculcato la differenza tra i vari tipi di segnali, connettori, ecc. Volevo solo rompere il ghiaccio per cercare altri lidi, e invece adesso mi ritrovo ad essere chiamato ingegnere, io che non ho mai studiato ingegneria. Il mio ruolo è Operations Engineer in MCR, il che consiste nel premere parecchi bottoni e rispondere ai vari dipartimenti ed uffici della BBC, e a quanto pare a far sì che la BBC sia a disposizione di chiunque voglia vederla e sentirla intorno al mondo (forse è meglio che non rammenti a me stesso il livello di responsabilità).
Quando mi chiedono come va rispondo sempre che non mi posso lamentare. La vita alle volte va così.
Luca Roveri
Com’è stato affrontare questa esperienza lavorativa, ed oramai di vita, lontano da casa e dalla tua famiglia?
Strano, diverso… È difficile trovare le parole perché ci sono momenti in cui ancora mi ritrovo a non rendermi conto di vivere effettivamente qui. Il tempo a Londra passa a grande velocità, e nonostante ci sia abitui alla vita londinese sembra sempre ieri aver salutato la mamma all’aeroporto prima di un volo di sola andata.
La famiglia e gli amici sono le cose che più mi mancano, Roma molto meno onestamente. Eppure ci sono momenti, odori, “affinità culturali” che di tanto in tanto (specialmente dopo qualche birra al pub) ti avvolgono e ti riportano lontano.
Nessuno è immune dalle nostalgie, qualsiasi forma esse prendano.
Luca Roveri
Quali sono state le difficoltà iniziali?
In tutta onestà devo ammettere che non ho avuto il traumatico approccio che molti altri emigranti hanno subito varcando il confine senza alcuna certezza.
Grazie all’aiuto di un amico che avevo conosciuto durante un’esperienza in una televisione locale romana, Retesole, sono arrivato a Londra con un nuovo lavoro: sapere che uno stipendio sarebbe arrivato dopo circa un mese è stato un grosso aiuto. Non ho mai dovuto contare i soldi che avevo in tasca e pensare a quanti giorni mancassero alla fine del mese, e questo è tantissimo.
Detto ciò l’impatto con una città e una vita differente sì all’inizio si è fatto sentire: c’è ovviamente una miriade di situazioni nella vita di tutti i giorni che cambiano all’improvviso, da come è fatto un supermercato a come rivolgersi a un dottore. La lingua è stata inizialmente la preoccupazione principale, nonostante un certo inglese lo masticassi. Ma non c’è altra scelta che provare a capire chiunque tu abbia davanti, fosse il tuo manager che si mangia le sillabe o un tizio che biascica al pub; e dopo mesi passati ad ascoltare un’incomprensibile serie di litanie, ad un certo punto ti rendi conto di parlare meglio di quanto tu creda.
A distanza di quasi nove anni dal giorno in cui arrivai, posso forse dire che certe situazioni e momenti erano forse più difficili di quanto la mia naturale nonchalance me le facesse sembrare all’epoca: però c’è poco altro da fare che rimboccarsi le maniche e cercare di farsi capire il più possibile.
Vivere a Londra quanto costa in media per un giovane che vuole trasferirsi? E dove conviene cercare casa?
Costa tanto, tutto (tranne la birra) costa di più: ed il rapporto è con Roma, col resto d’Italia non so proprio immaginare. Soprattutto se si cerca di mantenere uno stile di vita quantomeno sano e non arrendersi all’obesità e al colesterolo il conto può essere salato. L’affitto è sicuramente la nota più dolente: le case a Londra costano in media almeno il doppio che a Roma.
Londra è una città in cui le zone ricche e molto meno abbienti si intersecano da una strada all’altra: è facile trovare case popolari con problemi di delinquenza a due isolati dalla zona delle villette in cui può abitare il CEO di qualche banca; e molte delle storiche zone meno costose sono ormai gentrificate. Va inoltre considerato il sistema a zone dei trasporti con le sue differenti tariffe: se si trova lavoro al centro, non conviene vivere troppo lontano, perché ciò che si risparmia d’affitto lo si paga per il treno… Nord, Est e Sud-Est sono in genere le aree più battute per il primo approccio, ma bisogna avere pazienza sui siti in cui si cerca.
Dallo spirito romano del “volemose bene” alla freddezza con cui i londinesi sono storicamente descritti il passo è molto lungo. Ma, come accade spesso, si tratta solo di “miti da sfatare”.
I londinesi sono cortesi e individualisti nei confronti degli italiani come nei confronti di qualsiasi altra persona si presenti loro davanti. Londra non è l’Inghilterra, e l’abitudine che hanno i Londinesi nel convivere con altre 200 nazionalità non si trova veramente quasi da nessun’altra parte (sicuramente non a Roma); ovviamente gli idioti esistono anche qua, ma devo dire che episodi fastidiosi a me finora non sono capitati.
In genere si dice che gli inglesi del sud e i Londinesi siano meno conviviali degli abitanti del nord e degli altri anglofoni. Ed è vero che possono passare mesi prima che un londinese ti rivolga la parola al pub dove vai tutti i giorni, mentre uno scozzese o un irlandese sono propensi ad attaccare bottone dopo un paio di minuti: in genere si inizia con una domanda del tipo “hai un certo accento, da dove vieni?”.
Non è un mistero che a qualsiasi italiano la cosa che manca di più all’estero è il buon cibo. Confermi?
Io ero stato una prima volta a Londra per 3 mesi nel 1998, e devo dire che ho trovato l’educazione alimentare dei londinesi radicalmente migliorata: è più difficile trovare pasta scotta, ed anche gli inglesi hanno capito che certe cose col caffè non andrebbero fatte; inoltre alcune persone rivolgono molta più attenzione al cibo nella vita di tutti i giorni, rispetto al classico andazzo inglese per cui mangiare fa parte della sopravvivenza: meraviglie dell’immigrazione. Detto ciò ce n’è di strada: c’è una differenza culturale abissale, per cui capita ancora di ascoltare chi non apprezza cibi “troppo saporiti” (che vorrà mai dire?), e il sale è un condimento per fare gli snob (per non parlare dell’educazione che l’uso di aglio e cipolla necessiterebbe).
Fortunatamente a Londra si trova quasi di tutto nei supermercati, quindi generalmente se si vuole mangiare come in Italia bene o male si può fare; inoltre storicamente il Regno ha incorporato le cucine del resto dell’impero e oltre, quindi si può sperimentare con ogni tradizione culinaria.
Se si è particolarmente golosi non c’è problema: almeno un quarto della superficie di ogni supermercato è dedicata a caramelle, patatine, cioccolate e biscotti.
Tra le tante novità introdotte dalla brexit c’è lo stop all’Erasmus, il programma universitario che permetteva di fare un’esperienza di studio all’estero. Non solo gli studenti britannici non potranno accedervi ma anche i loro colleghi europei dovranno richiedere il visto per studiare e pagare la retta universitaria (alta) come gli studenti non britannici.
La fine del programma Erasmus è una tragedia per tanti giovani. E immagino che anche le collaborazioni accademiche saranno più complesse. Ma non è detto che la situazione non cambi tra qualche anno: immagino che le relazioni UE-UK finiranno per essere a fisarmonica come quelle storiche tra UE e USA.
La parte più ironica della Brexit è che ha al contempo creato un sentimento europeo che qui non si era mai sentito, soprattutto tra gli studenti: se rimarrà lo scopriremo.
Le storie di Cristian e Luca ci insegnano a coltivare i nostri sogni, senza mai smettere di credere in un futuro, soprattutto professionale, migliore.
Certo: oggi per gli Italiani è più difficile rispetto a qualche anno fa costruirsi una vita a Londra. Il peso della valigia si è fatto ancora più pesante. Ma i sogni e le speranze di cui tanti emigrati nostri connazionali si sono nutriti (e continueranno a nutrirsi) rimangono un bagaglio da tenersi stretto. E quelli, statene pur certi, nemmeno una Brexit potrà mai cancellarli.
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Complimenti a Cristian e Luca molto bravi sono felice per loro. Una mia piccola personale riflessione ” se la bimba di Cristian,
cioè mia nipote, riprende il babbo per l accento inglese, io è meglio che diventi muto!!”
Ottima intervista.