Magazzino 18. Parte II

Magazzino 18. Parte II

I morti hanno continuato a morire. I numeri si sono rincorsi. Gli esuli hanno perso case, proprietà e pezzi di famiglia. Un crimine sminuito o giustificato. Istria, Fiume e Dalmazia. Una terra rossa. Una ragazza in bicicletta. Un futuro davanti da non poter raccontare. Le parole spezzate. Le vite dimenticate. Un popolo a cui è stata negata anche la memoria. L’Italia. Il Magazzino 18, rimasto un caso unico nel mondo. Una storia relegata in una stanza, in un silenzio surreale. Un tessuto umano lacerato e mai più ricomposto.

Cinquantasette anni di oblio e indifferenza. Un magazzino che sta lì, sulle soglie del tempo, a raccontare l’infamia e le persone. Uccise perché di lingua e soprattutto di cultura italiana. Nascoste, quasi dimenticate, alla storia.

Però non si può far tacere la verità. Il passato chiede sempre il conto.

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Un calcolo pesante, come quello che è costretto a fare Piero Tarticchio. Scrittore e acclamato pittore, residente a Milano e nato in Istria.

Si ritrova a essere testimonianza del doppio dramma di quegli anni. Suo padre e altri parenti finirono nelle foibe, le spaventose cavità carsiche, e lui fu obbligato ad abbandonare la sua terra, in seguito al trattato di Parigi del 10 febbraio 1947.

La sua commozione, mentre mi legge le pagine dei libri da lui scritti, nel ricordo di quei giorni imbottiti di barbarie, non può lasciare indifferenti. Ascoltare è faticoso, ma doveroso.

Tutto cominciò dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando nell’italiana Istria arrivarono gli emissari di Tito per conquistarla. Volevano l’Istria. Non volevano gli italiani.

Piero era un bambino nella sua Istria, quando il 16 settembre del 1943 la polizia comunista di Tito prelevò un suo parente e lui iniziò a confrontarsi con l’inferno.

Si chiamava don Angelo Tarticchio. Aveva trentasei anni. Lo presero dalla canonica di Villa di Rovigno.

Don Angelo fu percosso, ingiuriato e torturato. Venne lapidato ancora vivo. Gettato in una foiba. Ritrovato completamente nudo, con i genitali recisi e infilati in gola. In testa una corona di spine, in segno di umiliazione e sfregio verso la sua Fede.

La salma di Don Angelo fu recuperata solo due mesi dopo. E ricordo come fosse ieri il suo funerale. In chiesa con una folla immensa che piangeva. Mio padre che mi teneva la mano e che non immaginava che poco più tardi avrebbe fatto la stessa fine.

Quella violenza anti italiana era inarrestabile.

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Piero era un bambino. A cui piaceva giocare per strada e che non voleva andar a letto presto. Una sera, mentre di nascosto ascoltava le notizie che si scambiavano i grandi, sentì il suo papà raccontare della corriera che si era fermata in piazza. Tra i vari passeggeri scesi c’era anche un parroco, col quale scambiò alcune parole. Il sacerdote raccontò di una giovane donna e della sua fine. Era figlia del podestà di Visinada e si chiamava Norma.

Un nome che diventerà, negli anni a venire, il simbolo dell’eccidio compiuto contro gli italiani.

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E’ il settembre del 1943 quando quella ragazza, Norma Cossetto, di 23 anni di Santa Domenica di Visinada, laureanda in lettere e filosofia presso l’Università di Padova, si aggira in bicicletta per i comuni dell’Istria. Sta raccogliendo il materiale per la tesi di laurea, “L’Istria Rossa”. Il colore della sua terra, ricca di bauxite. Una ragazza della sua età. Con un fidanzato, un’amica del cuore e sogni da realizzare.

Il 25 settembre 1943 un gruppo di partigiani fa irruzione a casa Cossetto. La loro è una famiglia in vista.

I partigiani entrano nelle camere e sparano sui letti per spaventare le persone. Il giorno successivo ritornano e prelevano Norma. La ragazza viene portata nella ex caserma dei Carabinieri di Visignano. Qui le viene promessa la libertà e le propongono mansioni direttive.

Le basterebbe collaborare e unirsi a chi la stava tormentando ma Norma rifiuta. E allora la rinchiudono nella ex caserma della Guardia di Finanza a Parenzo, insieme a conoscenti, amici e parenti. Trascorrono lì un paio di giorni e poi vengono tutti trasferiti. Di notte e dentro un camion. Trasportati nella scuola di Antignana. Il luogo del martirio di Norma.

Fissata ad un tavolo con alcune corde, si accanirono su di lei come bestie feroci. Venne violentata da diciassette aguzzini. Picchiata e stuprata fino quasi alla morte. Gettata poi nella Foiba poco distante. Ritrovata sulla catasta degli altri cadaveri degli istriani.

Dal racconto di Licia Cossetto, sorella di Norma:

Ancora adesso la notte ho gli incubi, al ricordo di come l’abbiamo trovata: mani legate dietro alla schiena, tutto aperto sul seno il golfino di lana tirolese. […] Tutti i vestiti tirati sopra all’addome. […] Solo il viso mi sembrava abbastanza sereno. Ho cercato di guardare se aveva dei colpi di arma da fuoco, ma non aveva niente. Sono convinta che l’abbiano gettata giù ancora viva.

Mentre stavo lì, cercando di ricomporla, una signora si è avvicinata e mi ha detto: “Signorina non le dico il mio nome, ma io quel pomeriggio, dalla mia casa che era vicina alla scuola, dalle imposte socchiuse, ho visto sua sorella legata ad un tavolo e delle belve abusare di lei, Alla sera poi ho sentito anche i suoi lamenti: invocava la mamma e chiedeva acqua, ma non ho potuto fare niente, perché avevo paura anch’io”.

Il 9 dicembre 2005 a Norma Cossetto è stata conferita la medaglia d’oro al valor civile, alla memoria, dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. «Giovane studentessa istriana, catturata e imprigionata dai partigiani slavi, veniva lungamente seviziata e violentata dai suoi carcerieri e poi barbaramente gettata in una foiba. Luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio. 5 ottobre 1943 – Villa Surani (Istria).»

La storia della vita e della morte di Norma sono il filo conduttore della trama di Red Land- Rosso Istria.

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Sono i giorni in cui nei territori italiani martoriati dalla guerra scoppia il caos. Il maresciallo Badoglio, capo del governo italiano, chiede ed ottiene l’armistizio da parte degli anglo-americani e unitamente al Re fugge da Roma, lasciando l’Italia allo sbando. L’esercito non sa più chi è il nemico e chi l’alleato. Il dramma si trasforma in tragedia per i soldati, abbandonati a se stessi nei teatri di guerra. Diventa calamità e lutto per le popolazioni civili.

Istriani, Fiumani, Giuliani e Dalmati, si trovano ad affrontare un nuovo nemico. I partigiani di Tito che avanzano spinti da una furia anti italiana.

Alessandro Centenaro è il produttore di Red Land.

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La sceneggiatura del film si basa su un diario di Giuseppe Cossetto, cugino di Norma, ovviamente rivisto per esigenze cinematografiche. Abbiamo sentito anche Licia Cossetto, la sorella di Norma, con la quale avevamo già realizzato anche il documentario Esodo.

Il lavoro di ricerca delle fonti è partito nel 2006-2007 da una mia idea. Alla stesura hanno partecipato Antonello Belluco, in una fase precedente, e pure Franco Nero. L’idea mi venne anni prima quando per strada incontrai una signora molto anziana, scappata da Zara. Mi raccontò che aveva dovuto mollare tutto, mi descrisse ciò che era successo e che era necessario raccontare per non dimenticare.

Una realizzazione non semplice. Per l’argomento. Per la dotazione delle armature, originali dell’epoca, rinvenute da un collezionista. E per la location delle riprese. Un territorio tra Istria, Veneto e Friuli.

La scena finale che mostra come realmente avveniva l’infoibamento, ha incontrato non pochi problemi. Gli stuntmen che dovevano gettarsi trovavano degli spuntoni di roccia e rischiavano di farsi male.

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La scelta degli attori è stata meticolosa. Li cercavamo di un certo tipo. Maximiliano Hernando Bruno, al suo esordio alla regia, è stato molto bravo. Grandissimi sono stati Franco Nero e Geraldine Chaplin, nel mettersi a disposizione, da veri istrioni e amanti del proprio lavoro. Senza far trasparire alcuna ideologia.

Lo sguardo penetrante e intenso della Chaplin è difficile da dimenticare. Entra nelle ossa e comunica tutto il dolore.

Geraldine si è dimostrata umile e grandiosa. Avremmo voluto Virna Lisi, per quella parte, ma la sua morte ci fece guardare all’estero. La scelta della Chaplin si è dimostrata eccezionale.

Il regista italo-argentino Maximiliano Hernando Bruno e gli interpreti hanno alitato l’anima nei vari personaggi, facendoli vivere sullo schermo. A Selene Gandini il compito di vestire i panni di Norma, Geraldine Chaplin quelli di un’esule sopravvissuta, Franco Nero nel ruolo dell’intellettuale, Romeo Grebenseck il capo dei Titini, spietato e bestiale. Una produzione e un cast capaci di ricreare un microcosmo dell’epoca, con profondità e sensibilità. Quel piccolo mondo marchiato da confusione, rovina e tragedia.

Magazzino 18
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C’era e c’è il dovere di raccontare il male, da una parte e dall’altra. Siamo stati i primi al cinema a mostrare come avveniva l’infoibamento.

Nel 2018 infatti ancora mancava un film che descrivesse in modo dettagliato quel momento spaventoso e crudele.

Le mani fermate col fil di ferro. Le persone legate l’una all’altra, in fila indiana. Ferme, sul baratro della foiba. Il colpo di pistola sulla prima della fila che, come in un domino raccapricciante, trascina giù anche i corpi di tutto il gruppo. Una discesa agli inferi.

Red Land ha contribuito a rendere fruibile al grande pubblico il ricordo di ciò che accadde. Per custodire e ribadire la memoria e l’umanità.

Anche se tantissime cose, molte ricostruzioni, non le abbiamo inserite. Vicende anche peggiori rispetto a quella raccontata, di Norma. Perché a guerra finita i massacri si scatenarono.

Il film dal giorno dell’uscita ha ricevuto molti apprezzamenti e qualche critica.

Tutte le polemiche politiche che arrivano non ci toccano. Siamo persone libere e vogliamo avere il diritto di poter rappresentare artisticamente ciò che ci sembra giusto. In Croazia l’unica proiezione del film è stata a Isola e personalmente credo che dovranno passare altre due-tre generazioni prima che si possa arrivare ad accettare quanto è successo.

Oggi VeniceFilm è in coproduzione di Alida.

In vista del centenario della nascita della leggendaria attrice italiana, Venicefilm e Kublai Film hanno prodotto, in collaborazione con Istituto Luce-Cinecittà e la partecipazione di Rai Cinema, un documentario, finalista ai nastri d’argento.

La pellicola racconta Alida Valli. Lei, nata e vissuta a Pola nella giovinezza, viveva nel ricordo e nell’amore della terra natale, distaccata dallo stato italiano nel 1947.

Pola oramai non è più italiana e oggi i nuovi padroni della mia terra mi hanno fatto un’incredibile proposta. Non avendo più nessuno da esibire come eroe nazionale non è loro parso vero di offrire ad Alida Altenburger la cittadinanza onoraria di artista croata. Ho risposto che troppe volte, come la mia città, avevo cambiato pelle, ma…

sono nata e morirò italiana

alida valli

Non dimentighemo

Più volte ho guardato Red Land. Ogni volta mi è arrivato un pugno nello stomaco. A ciascuna visione il senso di nausea mi ha assalita. Il silenzio, col quale va visto il film, diventa un rumore assordante nella mia testa. Un insieme di urla, gemiti, pianti e preghiere. Le scene sono crude e realistiche, senza alcun intento di spettacolarizzazione. Non serve. La ricostruzione precisa dei fatti basta e avanza.

Molto c’è ancora da raccontare. Il dolore deve essere condiviso, partecipato e divulgato. Anche se per troppo tempo si è preferito, come lo sporco spostato sotto i tappeti, gettare la verità dentro la buca.

Il mondo dentro la buca. La violenza… dentro la buca! L’indifferenza… dentro la buca! L’intolleranza… dentro la buca! Se mai qualcuno la cercherà, ditegli pure che sono qua… dentro la buca!

Dentro la buca (Da: Magazzino 18) – Simone Cristicchi

Più ascoltavo Alessandro Centenaro, più mi immergevo nei racconti pieni di emozione e dolore di Marisa Brugna e Piero Tarticchio, meno comprendevo l’oblio fatto scendere su quegli anni.

Finisco la stesura di questo articolo nelle ore dell’8 marzo, giornata internazionale dei diritti della donna. E allora a gran voce oggi chiedo: la crudeltà subita da Norma e da tante altre donne e ragazze, in quell’intento di pulizia etnica, in nome di cosa è stata taciuta e nascosta?

Mi sono resa conto di quante tessere ancora manchino per ricostruire il puzzle.

Disinformazione e un contesto estremamente politicizzato hanno contribuito a rendere nebulosa la storia. Da un lato, chi non voleva far capire che l’Italia aveva perso la guerra, cancellò gli esuli. Li fece sparire chiudendoli nei campi, dietro una rete. Dall’altro, chi voleva giustificare se stesso, negò l’eccidio delle foibe.

Eppure ascoltare la voce tremante dei testimoni mi è bastato. Per abbracciare la sincerità e il grande orgoglio di appartenenza e per dire grazie alla fierezza, mostrata in ogni occasione. Io non posso far altro che condividere la loro memoria. Per tributare loro il doveroso rispetto. In nome della verità 

L’intervista completa a Piero Tarticchio potrete leggerla nella terza e ultima parte di Magazzino 18, la prossima settimana nella rubrica Libera-mente su www.distantimaunite.com. Nell’immagine di copertina: Alida Valli, istriana di Pola.

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Sabrina Villa

Per Vasco “Cambiare il mondo è quasi impossibile -Si può cambiare solo se stessi - Sembra poco ma se ci riuscissi - Faresti la rivoluzione” . Ecco, in questo lungo periodo di quarantena, molti di noi hanno dovuto imparare nuovi modi, di stare in casa, di comunicare, di esternare i propri sentimenti. Cambiare noi stessi per modificare quello che ci circonda. Tutto si è fermato, in attesa del pronti via, per riallacciare i fili, lì dove si erano interrotti. I pensieri hanno corso liberamente a sogni e desideri, riflessioni e immagini e, con la mente libera, hanno elaborato anche nuovi modi di esternazione e rappresentazione dell’attualità. Questa è la mia rubrica e io sono Sabrina Villa. Nata a Roma e innamorata della mia città. Sono un'eclettica per definizione: architettura, pittura, teatro, cucina, sport, calcio, libri. Mi appassiona tutto. E' stato così anche nel giornalismo, non c'è ambito che non abbia toccato. Ogni settore ha la sua attrattiva. Mi sono cimentata in tv, radio, carta stampata. Oggi, come al solito, mi occupo di tante cose insieme: eventi, comunicazione, organizzazione. La mente è sempre in un irriducibile movimento.

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