Mauro Minotto: 30 anni di passione in bianco e nero.

Mauro Minotto: 30 anni di passione in bianco e nero.

Il Gruppo fotografico Mignon di Padova celebra il trentennale della fondazione con tre mostre che ripercorrono l’attività svolta dai suoi membri nel campo della fotografia umanista e documentaria, ispirata ai grandi maestri della fotografia sociale.

Mauro Minotto è tra i suoi fondatori e ci ha raccontato cosa vuol dire fare street photography nella nostra epoca.

Mignon nasce nel 1995, ispirandosi alla grande agenzia internazionale Magnum Photos fondata nel 1947 da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour, George Rodger, William Vandivert.

Fotografia: come riassumerebbe questi 30 anni di passione?

Sarebbe come riassumere la mia intera vita. Ricevetti come regalo del diploma la mia prima macchina fotografica, quindi più di cinquant’anni fa. Ero stato da sempre affascinato dalle foto della mia famiglia in bianco e nero incollate sui vecchi album. Raccontavano momenti di vita miei, dei mie genitori. Fui ispirato al racconto della vita delle persone. Il bianco e nero ha suscitato in me un fascino particolare, credo che riesca a far osservare l’immagine con meno “distrazioni”.

Dunque 30 anni di passione perché proprio nel 1995 con altri due amici fondammo il Gruppo Mignon, un po’ ispirandoci alla più famigerata agenzia Magnum, ma anche perché ci sentiamo da sempre dei piccoli fotografi, modesti osservatori del mondo e del suo abitante principale: l’uomo. Prendendo esempio dai grandi maestri che ci hanno preceduto, che ci hanno regalato delle immagini stupende di umanità.

“Riconosco me stesso negli occhi di ogni sconosciuto”: cosa vuol dire raccontare la vita con lo sguardo di un altro. Qual è il confine tra ciò possiamo considerare cronaca e ciò che invece possiamo considerare arte?

La strada è il grande palcoscenico dove l’uomo è protagonista. Sull’osservazione di questo spettacolo che è la vita si basa la street photography che è il genere che contraddistingue l’attività del Gruppo Mignon.

Ogni persona che incontro è lo specchio di me stesso e quando fotografo penso che ciò che vedo fa parte del mio vivere quotidiano. Dietro ogni volto, ogni sguardo c’è un vissuto che non conosco, ma che potrebbe essere il mio e nel mio agire c’è sempre rispetto per chi incontro nel cammino (“Momenti di Vita” di Mauro Minotto; anno 2020)

Quando con il Gruppo organizziamo le mostre fotografiche mettiamo a disposizione un quaderno dove chi visita può lasciare un proprio messaggio ed è interessante leggere come le interpretazioni della stessa immagine possono essere infinite.

Credo che non ci sia un confine preciso tra ciò che possiamo considerare cronaca e ciò che invece potremmo definire arte. Molte foto di cronaca sono entrate di diritto nella storia dell’arte fotografica. Così come tante foto prese singolarmente possono raccontare una storia ed essere delle vere e proprie icone. Io in definitiva considero la fotografia sempre e comunque un’arte.

Cosa ha significato per lei partecipare a questa rassegna di mostre fotografiche?

La considero come una tappa importante del nostro percorso, perché se penso a un traguardo, lo sarebbe certo di più riuscire a portare la nostra arte oltre i confini nazionali. Ma ritengo che c’è sempre strada ancora da fare, progetti da realizzare e cose da imparare.

Io e i miei compagni abbiamo lavorato tantissimo per dare a più persone possibile l’occasione di godere di una serie di mostre diverse e soprattutto per far arrivare loro un messaggio culturale. Riuscire ad organizzare nella nostra amata Padova un evento che comprendesse i lavori del grande fotografo, ed amico, Walter Rosenblum è stato uno dei nostri sogni che si è realizzato.

Che sapore ha, nell’era del digitale, utilizzare il metodo tradizionale analogico, sviluppando e stampando in camera oscura?

Quando scatto delle foto in analogico (di solito un rullino ne ha 36) cerco di valutare attentamente le situazioni e i momenti che potrebbero diventare quello che si può definire “un bello scatto”. Il fatto di sviluppare in proprio i rullini e poi stamparli dal negativo è un processo che dà tante soddisfazioni. Il digitale ti dà la possibilità di fare molti scatti e poi in post-produzione scegliere il migliore. Con l’analogico, fino al momento dello sviluppo, non sai se hai portato a casa qualcosa di buono. Allo stesso tempo, certe volte non mancano le sorprese; queste rende ancora più affascinante della mia passione. Attenzione, non denigro e demonizzo assolutamente il digitale, che credo sia fondamentale in questo momento storico (ho una figlia che scatta in digitale per lavoro e che considero bravissima quando coglie con il suo occhio femminile l’animo di chi le sta di fronte), ma ne faccio più una questione di tecnica che considero più vicina al mio genere della street photography.

Se può dirlo, quale è lo scatto al quale è più legato?

Difficile dare una risposta. Potrei dire una foto che scattai al famoso Caffè Pedrocchi, o una foto di una sposa a New York, oppure quella che feci ad una coppia di innamorati in un bar di Parigi.

Sono legatissimo a tutti i miei scatti. Sono contento di non riuscire a sceglierne uno su tutti. Devo dire comunque che le foto scattate alla mia famiglia, e torniamo all’inizio della mia storia, restano le più belle in assoluto.

Angela Tassone

Esperta di Comunicazione e Marketing. Componente della FERPI - Federazione delle Relazioni Pubbliche italiana. Socievole e inconsapevole accentratrice, cerca di indirizzare al meglio le proprie energie. E anche se ha imparato che nella vita le cose non si possono mai considerare definitive, il suo amore per la scrittura e i media non passerà mai.

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