L’Afghanistan delle donne che resistono

L’Afghanistan delle donne che resistono

“In mezzo alla guerra e al fondamentalismo, sono cresciute donne leader che comandano eserciti, organizzano la fuoriuscita delle altre donne dalla schiavitù, guidano forze politiche laiche e progressiste, andando villaggio per villaggio a sfidare i talebani. Queste donne praticano la democrazia più avanzata che possiamo immaginare nei contesti meno favorevoli possibili. Testimoniano la rivoluzione necessaria ovunque”

(tratto dal docu-film I’M THE REVOLUTION di Benedetta Argentieri).

In questa settimana siamo stati letteralmente travolti dalle notizie che arrivavano dall’Afghanistan. E per come stanno andando le cose, ne sentiremo parlare ancora per molto tempo. La ritirata delle truppe occidentali, il ritorno dopo 20 anni dei talebani a Kabul e l’imminente scoppio della paura, quella vera, quella che noi possiamo solo minimamente immaginare, sta letteralmente divorando le mie giornate, i miei pensieri e i mie incubi. Certo, io non sono una donna di Kabul. Io sono fortunata. E lo siete anche voi che state leggendo le mie parole, magari dal vostro telefonino sdraiate sotto l’ombrellone. Ma per quanto siamo fortunate, ci è impossibile oggi non pensare alle donne di Kabul. Alla loro libertà persa all’improvviso, ai loro burqua impolverati che hanno tirato fuori da un cassetto in fretta e furia, alla loro paura.

Una foto del dietro le quinte del docu-film “I”m the Revolution” di Benedetta Argentieri

E visto che dovevo capire, comprendere, cercare di dare voce a questa paura, ho voluto conoscere il punto di vista di chi le donne afghane e non solo, le ha conosciute. Di chi ha vissuto con loro, raccontato la loro vita, si è immerso nella loro cultura che per noi è lontana anni luce eppure oggi cerchiamo di capire.

Benedetta Argentieri è una giornalista e regista. Da anni si occupa di donne e Islam. Il suo film “I’m the Revolution” parla di donne che resistono, che combattono per la loro libertà e i loro diritti. Parla delle donne afghane che oggi restano a Kabul. Quelle che non scappano ma che rimangono per aiutare le altre donne.

“In tutti questi anni ho viaggiato in tanti posti e la realtà delle donne afghane è la più difficile in assoluto. Certo, ci sono stati dei miglioramenti dal 2001 ad oggi, ma è anche una questione di tradizioni, di società. Io ho conosciuto tante donne ma soprattutto donne combattenti, donne che resistono, e che oggi con l’avvento di nuovo dei talebani, hanno deciso di rimanere per aiutare le donne afghane”.

Nessuno ha creduto alle parole dei talebani dopo la presa di Kabul. “Le donne potranno esercitare i loro diritti ma secondo la Shari’a”. La legge islamica radicale, quella che impongono i talebani che in realtà alle donne non permette di fare nulla. Di essere nulla.

“La Shari’a non rispetta i diritti delle donne – mi spiega Benedetta. Da oggi per loro cambia tutto: le donne non escono di casa e se lo fanno non possono più indossare l’hijab ( il velo islamico che lascia scoperto il volto), ma saranno costrette a mettere il burqa ( il velo che le copre interamente). I talebani non tollerano alcuna forma di resistenza, qualunque atto fatto da una donna viene inteso come un atto provocatorio e non in linea con la legge islamica”.

C’è una forte preoccupazione giustificata intorno alla presa di Kabul.

“Ciò che fa arrabbiare è che gli USA e la coalizione internazionale sono andati in Afghanistan dicendo che avrebbero, tra le altre cose, liberato le donne. E poi in un mese se ne sono andati senza assumersi alcuna responsabilità”.

Benedetta Argentieri

Ma in Afghanistan ci sono anche donne che combattono. Che non scappano. Che non si arrendono.

Tutte le combattenti rimarranno, non cercheranno di scappare – spiega Benedetta che ha già avuto modo di avere notizie dall’Afghanistan . Perché loro vogliono aiutare le donne e resistere. Hanno già una forte esperienza: è dagli anni ’90 che resistono. Selay è una leader, portavoce del partito della Solidarietà, laico e progressista, minacciata di morte dai talebani. Ha iniziato in Pakistan, poi è entrata in Afghanistan di nascosto. Organizza scuole per sole donne. Loro sanno cosa significa vivere in clandestinità“.

Punto di riferimento per le donne afghane che combattono per i loro diritti e la loro libertà è l’associazione Rawa: Revolutionary Association of the Women of Afghanistan. Le donne di questa associazione vivono in clandestinità e non si sono mai fatte fotografare in volto. In Italia c’é CISDA, Coordinamento Italiano Sostegno Donne Afghane Onlus che offre un aiuto concreto a tutte le donne afghane e sostiene RAWA.

Ora gli occhi del mondo sono puntati sull’Afghanistan ma questo momento finirà. ” I talebani ora sanno che non devono “tirare troppo la corda”. Ma appena lo sguardo dell’occidente si girerà da un’altra parte allora bisognerà vedere cosa faranno. Io temo una strage. Perché già so che faranno esattamente quello che hanno sempre fatto: togliere le libertà individuali e collettive. Togliere diritti. Seminare paura. E le donne allora saranno ancora più sole”.

Nel film “I’m the Revolution”, si racconta la storia di tre donne. Selay è una leader, portavoce del partito della Solidarietà, laico e progressista, minacciata di morte dai talebani. Nel corso del documentario la vedremo litigare in tv con un islamista, presiedere una riunione di partito in una paesino di montagna, sedersi e incontrare una comunità di donne col burqa, raccontarci di suo padre, accogliere a Kabul una donna in fuga dalle minacce della famiglia, organizzare una manifestazione di piazza minacciata dagli attentati.


Yanar Mohamed è un architetto, viveva in Canada ma ha deciso di tornare in Iraq per fondare l’Organizzazione delle donne libere, un’associazione che organizza rifugi per tutte le donne che scappano dal delitto d’onore, dallo schiavismo, dalla tratta, Yanar viene ricevuta all’Onu e fa parte delle commissioni internazionali delle donne, ma nel suo paese l’attività che svolge è fuorilegge.


Rojda è un soldato, più precisamente è il comandante generale delle Forze Democratiche Siriane, l’esercito curdo e arabo che ha conquistato Raqqa, la capitale dell’autoproclamato Stato Islamico.

Queste tre donne sono l’esempio che nei tre paesi considerati più pericolosi e martoriati, Afghanistan, Iraq e Siria, dove le donne sono simbolo solo di discriminazione, esiste chi combatte con la politica, con l’esempio e anche con le armi per la democrazia.


Perché non c’è possibilità di cambiare le società e sconfiggere il fondamentalismo se non si comincia dalla parità tra uomo e donna e dalla libera scelta.

#ostinatamenteEclettica

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Paola Proietti

Classe '77, giornalista professionista dal 2008. Ho lavorato in radio, televisione e, vista l'età, anche per la vecchia carta stampata. Orgogliosamente romana, nel 2015 mi trasferisco, per amore, in Svizzera, a Ginevra, dove rivoluziono la mia vita e il mio lavoro. Mamma di due bambine, lotto costantemente con l'accento francese e scopro ogni giorno un pezzo di me, da vera multitasking expat.

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